Amici del Timone n�95 del 15 ottobre 2020
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VACCINO? NO, GRAZIE!
L'ansia messianica da vaccino è pericolosa, antiscientifica e immorale
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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NON SARA' IL VACCINO A SALVARCI DAL CORONAVIRUS
La scienza vera invita a diffidare dai facili entusiasmi diffusi dai media: il vaccino non è l'unica forma di prevenzione: non garantisce protezione, e porta molti rischi e dubbi etici
di Paolo Bellavite - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA CINA CI INFETTA MA HA ANCHE IL CONTROLLO DELLE MEDICINE E DELLE MASCHERINE
Il processo di delocalizzazione verso est ci ha resi indifesi e ricattabili
di Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi
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IL DISEGNO GENERALE E' ABOLIRE LA FAMIGLIA
Non è un'ipotesi complottista ma il contenuto di un articolo reale che smaschera i progetti di Soros e Rockefeller
di Roberto Vivaldelli - Fonte: Imola Oggi
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CORONAVIRUS: IL PERICOLO DI UN VACCINO SENZA SPERIMENTAZIONI
C'è il rischio di aumentare gli effetti del virus anziché evitarli e anche di incorrere in gravi danni cerebrali
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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IL CORONAVIRUS AVREBBE FATTO MENO DANNI SE LA FAMIGLIA FOSSE STATA QUELLA DI UN TEMPO
Una ricerca spagnola ha dimostrato quale sarebbe stato il vantaggio se la famiglia avesse conservato la sua struttura tradizionale (tanti figli, anziani tenuti in famiglia, matrimonio indissolubile, ecc.)
di Julio Loredo - Fonte: Osservatorio Card. Van Thuân
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IO NON MI VACCINERO' CONTRO IL CORONAVIRUS
Noi inoculiamo il virus della stagione precedente, ma il virus varia da una stagione all'altra, quindi la vaccinazione anti-influenzale non solo non seve a niente, ma peggiora la situazione, perché per 3 mesi l'organismo è più debole
di Silvana De Mari - Fonte: Blog di Silvana De Mari
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LA DEPRESSIONE PUO' FAR PENSARE ALLA MORTE, MA PURTROPPO ADESSO CI SONO GIUDICI PRONTI A PRENDERCI SUL SERIO
Nel Regno Unito i giudici hanno disposto la morte di un trentaquattrenne malato di una malattia non terminale
di Caterina Giojelli - Fonte: Tempi
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VACCINO? NO, GRAZIE!
L'ansia messianica da vaccino è pericolosa, antiscientifica e immorale
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/05/2020
Se sarà possibile sviluppare un vaccino, dovrà essere fatto rispettando i criteri di assenza di tossicità e nocività. Il fallimento in questo senso dei tentativi fatti per la SARS deve indurre alla prudenza. Da questo punto di vista, un vaccino che si rispetti necessita di un lavoro di almeno cinque anni, non cinque mesi. C'è poi la questione dell'uso dei feti abortiti e di una logica utilitaristica inaccettabile. La fortissima pressione mediatica in favore del vaccino non può diventare un alibi per soprassedere sui valori irrinunciabili. Con il passare dei giorni si stanno susseguendo le notizie e le conferme relative ai successi delle terapie per sconfiggere il Covid-19. Dati sempre più confortanti, che tuttavia – per motivi incomprensibili - vengono accolti spesso con scetticismo, a volte addirittura con sospetto e diffidenza. Al contrario, sembra esserci un atteggiamento di assoluto fideismo nei confronti del vaccino: pochi hanno dei dubbi che arriverà, magari presto o prestissimo, e risolverà ogni problema. Addirittura eminenti esponenti della Chiesa pregano perché venga realizzato quanto prima. Quali siano i fondamenti di questa fiducia, se non addirittura convinzione, non è dato di sapere. Sembrerebbe essere un risultato di una certa martellante campagna propagandistica, che fin dall'inizio della pandemia ha indicato nel vaccino la soluzione del problema. Eppure qualche dubbio sarebbe lecito averlo: non sempre per ogni data malattia è stato possibile realizzare il relativo vaccino, anzi: non c'è vaccino per l'HIV, non c'è vaccino per l'Epatite C (mentre c'è per la A e la B) che è una delle più pericolose malattie infettive, e soprattutto non è mai stato realizzato un vaccino per alcun tipo di Coronavirus, una famiglia di virus che pure conosciamo da sessant'anni. E che dire della SARS? Sappiamo che l'attuale Covid-19 ha un patrimonio genetico molto simile a quello del Coronavirus della SARS del 2002. Come mai ora sarebbe possibile realizzare un vaccino mentre negli scorsi diciotto anni non ci si è riusciti con la prima SARS? A dire il vero, dei tentativi di produrre un vaccino anti SARS erano stati fatti, con esiti assolutamente negativi. Quattro vaccini furono sperimentati su cavie animali, e se è vero che determinavano la produzione di anticorpi per il virus, meccanismo che non è poi così sorprendente come sulla NBQ ha illustrato il professor Bellavite, tutti i topi vaccinati presentarono dei gravi effetti collaterali, e più esattamente un'immunopatologia di tipo Th2 con infiltrazione di eosinofili di rilievo. I ricercatori arrivarono alla conclusione che era opportuno procedere con molta cautela nell'applicazione di un vaccino SARS-CoV nell'uomo, e di conseguenza non se ne fece più niente. Le notizie quindi di un vaccino già pronto e disponibile entro pochi mesi, forse entro il prossimo inverno, giusto per prevenire la paventata "seconda ondata", sono da accogliere con grande prudenza e senso critico, per lo meno analogo a quanti hanno riscontrato l'efficacia e proposto l'uso terapeutico della Clorochina, dell'Eparina e del plasma. L'attesa del vaccino invece sfiora parossismi quasi messianici. Anche per questo motivo sarebbe opportuno che gli esponenti della Gerarchia ecclesiastica si astenessero dallo sponsorizzare il vaccino, per lo meno fintanto che non sia noto quali tipi di vaccinazione vengano proposti. Da questo punto di vista, un intervento davvero prezioso è quello giunto dal Vescovo americano Joseph Strickland di Tyler, Texas, che ha pubblicamente dichiarato la propria obiezione di coscienza nei confronti di un eventuale vaccino per il coronavirus prodotto utilizzando tessuti provenienti da bambini abortiti. Monsignor Strickland si è distinto in questa pandemia per i suoi interventi in ambito bioetico. In particolare ha avuto il merito di denunciare con forza l'emergere di pratiche eutanasiche nei confronti degli anziani e dei disabili. Alla fine di marzo, ha rifiutato di firmare una "Dichiarazione sulla scarsità di risorse sanitarie" voluta dalla Conferenza episcopale del Texas. «Gli anziani, i disabili e i più vulnerabili - aveva dichiarato - dovrebbero sempre essere protetti e bisognerebbe mostrare un amore preferenziale», in quanto sono «i poveri in mezzo a noi, durante questa pandemia». Il vescovo di Tyler aveva ricordato che ci sono alcuni princìpi di teologia morale che devono sempre essere applicati. «Ad esempio, la famiglia dovrebbe sempre essere consultata e considerata nel prendere decisioni morali vitali come queste». Per quanto riguarda il vaccino, monsignor Strickland ha espresso il suo rammarico per il fatto che «anche con il Covid-19 stiamo discutendo dell'uso di tessuti fetali abortiti per la ricerca medica». Il presule texano ha toccato un tasto davvero dolente: da tempo infatti alcune organizzazioni pro-life statunitensi denunciano che diversi vaccini vengono prodotti utilizzando linee cellulari ottenuti da feti abortiti. Si tratta di vaccini molto diffusi, e utilizzati anche in Italia, come il vaccino quadrivalente Morbillo Parotite Rosolia e Varicella, e il vaccino contro l'Epatite A. Anche per alcuni dei vaccini attualmente allo studio contro il Covid si stanno utilizzando cellule fetali abortite. E non da aborti spontanei, ma da aborti procurati. In un comunicato stampa, l'associazione Children of God for Life ha spiegato come «nella maggior parte dei vaccini antinfluenzali stagionali, la necessità di produrre rapidamente grandi quantità di vaccini è stata un problema per molti anni poiché le aziende farmaceutiche utilizzavano uova di gallina per coltivare i loro virus. Sono necessari diversi mesi e milioni di uova per produrre i vaccini e così tante aziende hanno iniziato a ricercare altre linee cellulari per una produzione più rapida». E queste linee cellulari potrebbero essere quelle umane, ricavate da feti abortiti. I problemi etici sollevati da ricerca, produzione, commercializzazione ed uso dei vaccini non sono pochi e non sono nuovi. Per il Covid potrebbero essere ignorati volutamente in nome dell' "emergenza". La gente potrebbe essere facilmente indotta ad accettare la logica del "fine che giustifica i mezzi". Per salvare dal Covid tante persone, perché non si dovrebbe accettare il sacrificio dei feti? È in realtà questo un vero e proprio ricatto morale, che pastori coraggiosi come Strickland hanno denunciato. Un buon fine non può mai giustificare un mezzo cattivo. Inoltre, l'uso di questi vaccini finisce per essere un incentivo alla ricerca basata su questa perversa "catena di montaggio": produzione di embrioni e loro successiva uccisione per ottenere materiale per la produzione vaccinale. La fortissima pressione mediatica in favore del vaccino non può diventare un alibi per soprassedere sui valori irrinunciabili. Gli entusiasmi di coloro che auspicano, sognano, attendono il vaccino per il Covid andrebbero dunque molto raffreddati. Bene ha fatto monsignor Strickland a porre il problema dell'eticità di questi vaccini, ma esiste anche un principio di prudenza strettamente scientifico. Uno dei princìpi fondanti della Medicina, fin dai suoi albori, è questo: primum non nocere. Se sarà possibile sviluppare un vaccino, dovrà essere fatto dando assolute garanzie in merito alla sicurezza del vaccino stesso, che dovrà rispettare precisi criteri di assenza di tossicità e nocività. Il fallimento dei tentativi fatti per la SARS deve indurre a grande prudenza. Da questo punto di vista, un vaccino che si rispetti necessita di un lavoro di almeno cinque anni, non cinque mesi. In ambito scientifico la fretta è assolutamente nemica del bene. Qualcuno potrebbe obiettare: ma per il Covid si stanno investendo risorse economiche immani, grazie soprattutto a "benefattori" interessati come Bill Gates. E qui davvero si potrebbe rispondere: perché non è stato fatto prima, per altre malattie? Ogni anno muoiono nel mondo milioni di persone per Malaria, Febbre Gialla, Tubercolosi, Tifo Colera e altro ancora. Perché per queste malattie le industrie farmaceutiche e i Governi e le Fondazioni non si sono impegnati con la stessa alacrità e la stessa dovizia di mezzi? Un'ultima obiezione è facilmente immaginabile: e allora se dobbiamo aspettare anni per un eventuale vaccino che offra condizioni di sicurezza e magari sia anche fatto nel rispetto dell'etica medica, che si fa nel frattempo? La risposta è già nei numerosi presidi terapeutici che si stanno trovando. Anche senza vaccino, il Covid può essere curato, può diventare una malattia affrontabile. E infine, e questa è molto più che una ipotesi, il Covid potrebbe sparire, se non sempre per molto tempo, come era accaduto all'influenza H1N1, come era accaduto per la SARS 1. E allora del messianico vaccino non ne avremmo più bisogno.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/05/2020
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NON SARA' IL VACCINO A SALVARCI DAL CORONAVIRUS
La scienza vera invita a diffidare dai facili entusiasmi diffusi dai media: il vaccino non è l'unica forma di prevenzione: non garantisce protezione, e porta molti rischi e dubbi etici
di Paolo Bellavite - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20/04/2020
Un mondo globalizzato e scristianizzato, già fiero delle sue conquiste tecologiche e informatiche, è ora terrorizzato da un esserino più piccolo di un millesimo di millimetro. La gente si difende nascondendosi goffamente, guarda la TV più che far moto e arieggiare i locali, sperando nel vaccino. Il vaccino è il Salvatore, la scienza è Dio. A proposito, pochi hanno notato che la curva epidemica in Italia è iniziata proprio il 27 marzo, giorno della benedizione in una piazza S. Pietro vuota, bagnata dalla pioggia. Non si preoccupino i lettori: non sono un no-vax, né spero solo nelle benedizioni! Ho insegnato Patologia Generale e Immunologia tutta la vita e ho decantato le lodi dei vaccini, salvo impegnarmi poi motivatamente contro l'obbligo, o ricatto che dir si voglia, di 10 vaccini di cui alcuni per malattie inesistenti e uno imposto dopo corruzione del ministro De Lorenzo. Ne ho relazionato alla Commissione Igiene e Sanità, su invito. Sono un medico scienziato (H-Index = 47) e credo fermamente nella Scienza rigorosa e libera, senza bisogno di "patti trasversali" di qualsiasi sorta. Una Scienza al servzio dell'umanità e dell'ambiente, che non si presta a manipolare l'uomo, né i virus più pericolosi. È venuto il momento del vaccino. Il ministro della salute si è spinto a dire di mantener il lock-down finché arriverà il vaccino-salvatore. Super-esperti all'inizio dicevano che ci sarebbero voluti 18 mesi (perché la cosa più importante, dicevano, è la sicurezza), ora si sente parlare di meo di 6 mesi. Ovvio, perché altri 18 mesi avrebbero creato la delusione e la rivoluzione. Qui faccio alcuni brevi commenti solo su due aspetti fondamentali di vaccinologia: efficacia e sicurezza. Efficacia. Senza dilungarmi in analisi tecniche dei diversi tipi di vaccini, è chiaro che se ce ne sono così tanti è perché non c'è un solo metodo tradizionale che funzioni. Non va bene la proteina attaccata all'alluminio (come l'esavalente, per intenderci), né il virus attenuato (come MPRV, per intenderci): se funzionassero, lo avrebbero già fatto da un pezzo per la SARS e la MERS. Ci sono mille altre idee in competizione, per un mercato ultra-miliardario. Pare che ormai la fretta abbia fatto accelerare gli studi "preclinici" e si passi alle sperimentazioni sull'uomo. La prima sperimentazione si svolge su soggetti sani e forti che si fanno iniettare (a pagamento) il candidato vaccino per dimostrare che si sviluppano anticorpi e per provare se ci sono reazioni avverse gravi e immediatamente evidenti. Per questo test servono pochi volontari perché è ovvio che se si inietta una sostanza estranea - qualunque sostanza estranea - si sviluppa una reazione immunitaria. Quindi dobbiamo aspettarci che questa prima fase – pare sia già in corso con qualche vaccino, compreso uno "italiano" - darà risultato positivo, cioè si formeranno i benedetti anticorpi, il qual successo sarà celebrato all'inverosimile dai media. Volontari? La seconda fase è quella in cui si deve provare che il vaccino sia capace di difendere il vaccinato dall'infezione. Infatti, non è detto che avere gli anticorpi equivalga a protezione dal virus. Per far questa prova in modo corretto, si devono confrontare due gruppi di volontari adeguatamente "randomizzati" (cioè l'appartenenza a un gruppo o all'altro è estratta a sorte), in cui un gruppo riceve il vaccino e l'altro il "placebo". E qui sta il vero problema, perché bisogna aspettare di vedere quanti avranno la malattia nei due gruppi, per fare il contronto statistico. Ma ci vuol tanto tempo. Il più famoso dei virologi ha rilanciato la proposta di accelerare le procedure, facendo il confronto tra due gruppi di giovani volontari sani, infettati artificialmente col coronavirus. Quanto sia etico esporre dei volontari, per quanto ben pagati, ad un pericolo mortale (il rischio vale anche per i vaccinati, se il vaccino non funziona!) non sta a me giudicarlo, mi sia solo consentito avere dei dubbi. Ma resterebbe comunque il problema che questa malattia è grave soprattutto per gli anziani con altre patologie, quindi uno studio di efficacia fatto su volontari sani e giovani non sarebbe applicabile a persone con altro tipo di sistema immunitario e fisiopatologia. Quello che sarebbe fattibile, se ci fosse la volontà di un organismo statale, sarebbe di programmare sin da ora uno studio epidemiologico ben fatto: formare due grandi gruppi di cittadini, il cui gruppo sarebbe formato da volontari che scelgono di vaccinarsi, l'altro da volontari che scelgono di non vaccinarsi. I due gruppi sarebbero poi seguiti nel tempo per rilevare l'incidenza della malattia e altre eventuali modifiche dello stato di salute. Per uno studio di questo genere servirebbero due gruppi abbastanza grandi di volontari (anche per poter "aggiustare" le statistiche sulle diverse variabili anagrafiche, demografiche e cliniche) ma esso avrebbe il vantaggio della sicura eticità e non richiederebbe il pagamento dei soggetti partecipanti. Sicurezza. La sicurezza del vaccino è un parametro fondamentale per la sua validazione e messa in commercio. Il discorso sarebbe molto lungo e articolato, ma qui accenno solo a due aspetti determinanti. Da una parte è necessario che gli studi di sicurezza "pre-marketing", quelli che misurano gli eventi avversi nella fase sperimentale, siano fatti in modo trasparente e controllato da un ente "super partes" rispetto ai produttori del vaccino stesso. Dall'altra è necessario che la rilevazione degli eventi avversi "post-marketing" sia effettuata con metodi validi, basati sulla rilevazione "attiva" degli eventi stessi e non solo sulla segnalazione "spontanea". L'importanza della vaccinovigilanza attiva è nota nella letteratura scientifica. Ma c'è un altro punto-chiave che a molti non è noto: una volta che un evento avverso insorto dopo la vaccinazione sia segnalato, si deve valutare il "nesso di causalità" con il vaccino. Infatti, c'è la possibilità che una malattia sia insorta per caso o per altri motivi nello stesso periodo di tempo. Per far questo, si seguono le linee-guida dell'OMS, pubblicate nel 2018. Purtroppo tali linee guida hanno molti difetti, tali che molti eventi avversi possono essere erroneamente attribuiti ad "altre cause", anche se il vaccino è stato una causa scatenante. In altre parole, l'algoritmo ha un'impronta sostanzialmente negazionista. Ho approfondito e documentato questo grave problema – che intacca la credibilità della stessa OMS, già alquanto scossa in questo periodo - in una pubblicazione scientifica. Infine una cosa sia chiara: chi promette il vaccino ancora non ha idea – perché non può averla - se esso sarà efficace, quanto sarà efficace, quanto duratura sarà l'immunità, quanti e quali saranno gli effetti collaterali. Sentir parlare di obbligo vaccinale da un viceministro, in queste condizioni, fa venire i brividi. Comunque sia, ben venga un vaccino efficace e sicuro, ma in attesa ricordiamoci che la prevenzione si fa in tanti altri modi. Ma questa è un'altra storia.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20/04/2020
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LA CINA CI INFETTA MA HA ANCHE IL CONTROLLO DELLE MEDICINE E DELLE MASCHERINE
Il processo di delocalizzazione verso est ci ha resi indifesi e ricattabili
di Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi, 16/04/2020
La crisi del coronavirus ha fatto prendere coscienza a opinioni pubbliche e governi occidentali che lasciare il quasi monopolio della produzione mondiale di mascherine protettive alla Cina non è stato un buon affare: nel momento del bisogno ci si è ritrovati privi della capacità di produrle immediatamente a livello locale e scaraventati in una lotta darwiniana per contendersi quelle che i cinesi sfornavano dalle loro linee di produzione a ritmi forsennati (oggi la Cina produce 116 milioni di mascherine al giorno, cioè dodici volte di più di quante ne produceva prima dell'inizio dell'epidemia). E ora si fa strada un'altra presa di coscienza, ancora più preoccupante della prima: dalla Cina dipendono le forniture di farmaci generici di tutto l'Occidente, quelle medicine il cui basso costo di acquisto si fonda sul fatto che il brevetto sui princìpi attivi che le rendono efficaci è scaduto. Se per una crisi della produzione come quella che è seguita alla messa in quarantena della provincia di Wuhan a causa del Covid-19, oppure per esercitare un ricatto con obiettivi politici, un domani Pechino decidesse di sospendere le esportazioni, i nostri paesi si troverebbero da un giorno all'altro a dover riorganizzare i propri mercati e a far pagare cifre molto più alte ai propri cittadini, che dovrebbero fare ricorso ai costosi medicinali tuttora sotto brevetto. La maggior parte dei farmaci generici consumati in Europa e negli Usa sono prodotti in India, ma il 70 per cento delle molecole utilizzate per produrli arrivano dalla Cina: è li che gli indiani devono rifornirsi. Per gli antibiotici, la dipendenza mondiale dalla produzione cinese dei princìpi attivi si colloca addirittura fra l'80 e il 90 per cento. Questo succede perché le industrie farmaceutiche occidentali hanno preferito delocalizzare le produzioni dei farmaci meno redditizi in Asia, dove grazie alla manodopera a basso costo si riescono ancora a estrarre buoni profitti anche dai farmaci non più sotto brevetto. Se si considerano tutti i princìpi attivi in circolazione, il mercato europeo nel 2014 (ultima data per la quale si hanno dati statistici precisi) era spartito fra la Cina (33 per cento), l'India (25 per cento), l'Italia (23 per cento), la Spagna (7 per cento), Israele (5 per cento), Polonia (3 per cento) e pochi altri. Ancora più compromessa la situazione degli Stati Uniti se diamo retta a Rosemary Gibson, autrice del libro China Rx che descrive la dipendenza del mercato farmaceutico americano dai prodotti cinesi, recentemente intervistata da Le Figaro: «Migliaia di farmaci generici consumati negli Stati Uniti dipendono dalla Cina per i loro princìpi attivi», spiega la giornalista scientifica e consulente sanitaria. «E i cinesi controllano anche la quasi totalità della produzione delle molecole chimiche che permettono di fabbricare gli ingredienti attivi dei nostri medicinali generici – generici che rappresentano oggi il 90 per cento del consumo di medicinali negli Stati Uniti. Sul mercato c'è anche l'India, che ha la più grande produzione di generici del mondo, ma anch'essa dipende dalla Cina per le materie prime e i princìpi attivi (…) Il ribaltamento della situazione a favore della Cina è avvenuto certamente grazie al basso costo della manodopera e alle loro normative lassiste in materia di protezione ambientale, ma i cinesi non sarebbero arrivati agli attuali risultati se non avessero praticato un dumping massiccio creando cartelli di compagnie cinesi che hanno proposto dei prezzi che hanno battuto ogni concorrenza. Questa politica ha strangolato i produttori europei e americani, cosa che spiega per esempio perché gli Stati Uniti non abbiano più la capacità manifatturiera per produrre la penicillina. Una volta eliminati i concorrenti, i prezzi sono risaliti. Questa conquista di mercati farmaceutici fa parte di un piano industriale cinese più ampio, il cui scopo è di divenire la farmacia del mondo». Per avere un'idea del peso che il quasi monopolio sino-indiano ha sul mercato farmaceutico europeo, si consideri che in Germania i generici rappresentano il 34,6 per cento del valore di tutti i medicinali venduti nel mercato dei farmaci rimborsabili, e ben l'82,3 per cento in termini di volumi! In Italia i generici rappresentavano nel 2018 il 9,2 per cento del valore di tutto il mercato farmaceutico e il 27,9 per cento di tutto il volume. I dati del Regno Unito sono simili a quelli della Germania, quelli della Francia un po' superiori a quelli italiani. S'impone dunque l'imperativo di riportare in Europa (e negli Usa, per quanto riguarda gli americani) la produzione di farmaci strategici per la salute della popolazione, ma l'obiettivo è più difficile da raggiungere di quanto si possa immaginare. «La rilocalizzazione totale è illusoria», dice Olivier Wierzba, specialista per la sanità della società di consulenza internazionale Bcg (Boston Consulting Group), «perché ci vogliono parecchi decenni per ricostruire un tessuto industriale e perché esiste un know-how tecnologico importante nei paesi asiatici». La rilocalizzazione dovrebbe puntare sui medicinali essenziali e che non hanno alternative terapeutiche. Non si annuncia facile perché il numero dei siti di produzione dei farmaci su suolo europeo s'è molto ridotto nel tempo. In Francia, per esempio, ne restano una sessantina, quando in Cina e in India si contano nell'ordine delle migliaia. Inoltre il trasferimento della produzione di una molecola da un fornitore a un altro richiede tempo affinché siano rispettati tutti gli standard regolamentari. Normalmente ci vogliono due anni per una certificazione che permette di avviare la produzione. Il processo richiede dei protocolli di crescita, di convalida e di stabilità, e le registrazioni d'uso. Per progettare, costruire e attrezzare da zero un impianto ci vogliono invece cinque anni in media. Tre mesi prima che l'epidemia di coronavirus scoppiasse, la Efcg, federazione europea di produttori chimici molto coinvolti nei farmaci generici, metteva in guardia dalle penurie di medicinali che già allora si stavano verificando, legate alla dipendenza europea dai produttori asiatici. Fra le sue raccomandazioni, quella di «Istituire una procedura rapida di approvazione per Materie Prime registrate (Rsm) alternative utilizzate nella sintesi delle sostanze attive: crediamo che questo sia necessario urgentemente per evitare penurie dovute a eventi imprevisti (…). Implementare un piano quinquennale-decennale per incoraggiare la Ricerca e Sviluppo di materie prime critiche o tecnologie prodotte in Europa, allo scopo di ridurre la dipendenza della UE dalle forniture estere». Il coordinamento a livello europeo della produzione farmaceutica appare indispensabile se si vuole superare la dipendenza dei singoli paesi dalla Cina. Lo scarto dei prezzi fra Europa e Cina resta forte nonostante lo scarto fra i salari degli addetti del settore si sia ridotto (oggi non è superiore al 5-15 per cento a vantaggio dei cinesi) perché quest'ultima è in grado di produrre quantitativi senza paragone con quelli europei. La situazione rischia di sfuggire completamente di mano a europei e americani se si pensa che a causa della scadenza dei brevetti tra il 2020 e il 2024 è previsto che molecole brevettate per un valore di 160 miliardi di euro diventeranno di pubblico dominio. Senza investimenti e strategie concordate fra gli attori europei la partita è persa.
Fonte: Tempi, 16/04/2020
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IL DISEGNO GENERALE E' ABOLIRE LA FAMIGLIA
Non è un'ipotesi complottista ma il contenuto di un articolo reale che smaschera i progetti di Soros e Rockefeller
di Roberto Vivaldelli - Fonte: Imola Oggi, 08/04/2020
OpenDemocracy, progetto finanziato da diverse organizzazioni filantropiche statunitensi tra le quali la Ford Foundation, la Atlantic Philanthropies, la Rockefeller Brothers Fund, e la Open Society Foundations del magnate George Soros, che figura anche tra i collaboratori di spicco del sito web di discussione di politica internazionale e cultura fondato nel 2001 da Anthony Barnett, come riporta La Verità, ha da poco pubblicato un editoriale a dir poco controverso curato dalla geografa femminista Sophie Lewis. Il titolo è a dir poco eloquente: "La crisi del coronavirus dimostra che è tempo di abolire la famiglia". Per la verità, quello dell'abolizione della famiglia è un mantra che Sophie Lewis porta avanti da tempo. Secondo l'attivista statunitense, occorre ripensare all'idea di gravidanza e di famiglia per arrivare alla vera emancipazione della donna e superare il capitalismo. È la teoria contenuta nel suo libro Full Surrogacy Now: Feminism Against Family (Verso, 2019) – ossia "Piena maternità surrogata ora: il femminismo contro la famiglia" – che propone l'abolizione del concetto stesso di famiglia naturale e il ripensamento della gravidanza tradizionale a favore di una "piena maternità surrogata". Il delirio femminista sul sito sponsorizzato da Soros e Rockfeller – Nell'editoriale pubblicato su OpenDemocracy, Lewis fa capire che lo slogan "Restate a casa" rappresenta – secondo la sua visione – un problema. Le famiglie nucleari, scrive, "rappresentano il luogo dove ci si aspetta che ci ritiriamo tutti intuitivamente per prevenire la malattia. 'Restare a casa' è ciò che in qualche modo dovrebbe evidentemente mantenerci sani. Ma ci sono diversi problemi con questo approccio" spiega. E quali? "Le persone queer – osserva –specialmente quelle molto vecchie e molto giovani, non sono sicuramente al sicuro lì [casa e in famiglia]". Oltre a evidenziare il problema dei senza tetto, Sophie Lewis rimarca il fatto "la pandemia non è il momento di dimenticare l'abolizione della famiglia". E cita la teorica femminista Madeline Lane-McKinley: "Le famiglie sono le pentole a pressione del capitalismo. Questa crisi vedrà un'impennata nelle faccende domestiche: pulizia, cucina, cura, ma anche abusi sui minori, molestie, stupri intimi con i partner, torture psicologiche e altro ancora". Che le situazioni difficili in molte famiglie esistano, nessuno lo mette in discussione. Ma il problema non è certo il concetto di famiglia in sé, che il femminismo radicale di Sophie Lewis vorrebbe smantellare. Fa inoltre sorridere questa critica al "capitalismo" quando l'autrice pubblica questo articolo su un sito sponsorizzato con i soldi di Soros, Rockfeller e degli altri ultra-Paperoni. Ma all'autrice il principio di non contraddizione sembra non interessare: "Anche quando la famiglia nucleare privata non rappresenta una minaccia fisica o mentale diretta per le persone – afferma –nessun maltrattamento del coniuge, nessuno stupro infantile e nessun attacco queer – la famiglia privata come modalità di riproduzione sociale continua, francamente, fa schifo. Meritiamo meglio della famiglia. E il coronavirus rappresenta un momento eccellente per esercitarsi nell'abolizione". La gravidanza come lavoro – – Come spiegava Sophie Lewis nel suo ultimo libro la gravidanza dovrebbe diventare un vero e proprio lavoro. "Mi sono trovato ad affermare l'ovvio– spiega –la gestazione era già un lavoro prima che esistesse la maternità surrogata. Quindi, come possiamo costruire una politica che colleghi questi due luoghi di lavoro e creare solidarietà trale gestanti pagate e non pagate?". Perché essere madri "non è una sorta di processo meccanico automatico" ma "una pratica di socializzazione radicata". La cosa fondamentale da capire, prosegue, "èche la maternità è un edificio ideologico molto potente. Esiste un'ideologia molto radicata che ci rende incapaci di comprendere che a qualcuno la maternità potrebbe non piacere". Secondo l'attivista, dunque, la soluzione è abbandonare le vecchie ideologie e sposare il concetto progressista di "piena maternità surrogata" che si realizza, naturalmente, smantellando la famiglia tradizionale.
Fonte: Imola Oggi, 08/04/2020
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CORONAVIRUS: IL PERICOLO DI UN VACCINO SENZA SPERIMENTAZIONI
C'è il rischio di aumentare gli effetti del virus anziché evitarli e anche di incorrere in gravi danni cerebrali
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/07/2020
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/07/2020
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IL CORONAVIRUS AVREBBE FATTO MENO DANNI SE LA FAMIGLIA FOSSE STATA QUELLA DI UN TEMPO
Una ricerca spagnola ha dimostrato quale sarebbe stato il vantaggio se la famiglia avesse conservato la sua struttura tradizionale (tanti figli, anziani tenuti in famiglia, matrimonio indissolubile, ecc.)
di Julio Loredo - Fonte: Osservatorio Card. Van Thuân, 03/07/2020
Fonte: Osservatorio Card. Van Thuân, 03/07/2020
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IO NON MI VACCINERO' CONTRO IL CORONAVIRUS
Noi inoculiamo il virus della stagione precedente, ma il virus varia da una stagione all'altra, quindi la vaccinazione anti-influenzale non solo non seve a niente, ma peggiora la situazione, perché per 3 mesi l'organismo è più debole
di Silvana De Mari - Fonte: Blog di Silvana De Mari, 09/06/2020
Fonte: Blog di Silvana De Mari, 09/06/2020
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LA DEPRESSIONE PUO' FAR PENSARE ALLA MORTE, MA PURTROPPO ADESSO CI SONO GIUDICI PRONTI A PRENDERCI SUL SERIO
Nel Regno Unito i giudici hanno disposto la morte di un trentaquattrenne malato di una malattia non terminale
di Caterina Giojelli - Fonte: Tempi, 13/06/2020
È morto, anzi, ha "potuto morire", gli è stato dato il permesso di "determinare e controllare la sua vita" fino in fondo dall'Alta Corte inglese. Solo che MSP non era vigile: giaceva sedato, in coma farmacologico indotto in seguito a un intervento chirurgico e incosciente è rimasto finché, in seguito a un'audizione in collegamento video col tribunale, i medici non gli hanno tolto i sostegni vitali. Disidratato e affamato fino alla morte, MSP – queste le iniziali del trentaquattrenne ricoverato al Barnsley Hospital (la corte ha stabilito che non potrà essere identificato fino allo scadere di tre mesi dal decesso e gli avvocati hanno invitato la stampa a valutare "se mai sarà davvero necessario") – è stato dichiarato morto pochi giorni fa.
IL CASO DI "MSP" Di lui non si conosce il nome, ma si conoscono molti dettagli della sua storia personale, resi noti dai genitori e dallo stesso tribunale che ha avallato l'esecuzione con una serie di argomenti che nel Regno Unito, dove eutanasia e suicidio assistito non sono legali, parlano da soli. MSP non era un malato terminale: soffriva di una patologia invalidante ma non letale. Nella sentenza del giudice Anthony Hayden – lo stesso che, dopo aver definito "futile" la vita del piccolo Alfie Evans ha stabilito che morire fosse nel suo migliore interesse – si fa riferimento a quelle che per il tribunale sono "prove evidenti" del fatto che il ragazzo non avrebbe mai voluto vivere la vita che gli si prospettava.
LA STOMIA E LA PAURA DI NON TROVARE "QUALCUNO CHE MI AMI" Nel mese di luglio del 2013 era finito in terapia intensiva dopo un intervento chirurgico per trattare una brutta ulcera gastrica. Da allora aveva sofferto di problemi gastrointestinali importanti finché, nell'ottobre 2019, era stato necessario sottoporlo a un intervento di stomia intestinale temporanea. La stomia è un'apertura sulla parete addominale attraverso la quale si porta all'esterno e viene suturato alla cute un tratto di intestino: come molti malati di patologie intestinali, MPS aveva convissuto per un po' di tempo con un sacchetto di raccolta di feci e urine e "lo odiava", ha spiegato la madre in videocollegamento con i giudici. Aveva pregato loro e la sorellastra di non farne parola con nessuno, "Come posso trovare un lavoro in queste condizioni? Come posso trovare una donna che mi ami?": secondo la mamma, MPS si poneva queste domande in continuazione e più volte aveva dichiarato che mai e poi mai avrebbe voluto vivere con uno stoma permanente, decisione messa anche per iscritto il 4 febbraio scorso.
LA TRAPPOLA DELLE DAT Nelle direttive anticipate sul fine vita il giovane aveva compilato un elenco meticoloso di disposizioni da attuare in caso in cui le sue condizioni fossero peggiorate e la qualità della sua vita fosse stata notevolmente compromessa. "Rifiuto TUTTE le cure o le procedure/interventi medici mirati a prolungare o sostenere artificialmente la mia vita in caso in cui si verificasse una o tutte le seguenti condizioni": e MPS le aveva dettagliate con precisione maniacale, segno per il giudice che ogni scelta fosse stata ponderata con la massima attenzione, dal numero massimo di settimane che avrebbe accettato di passare in stato di incoscienza in attesa di recupero, al numero di dita che avrebbe potuto perdere, alle deturpazioni fisiche in cui avrebbe potuto incorrere fino, appunto, alla formazione di uno stoma, in seguito a intervento chirurgico, permanente o con una possibilità di inversione al di sotto del 50 per cento. Anche sulla musica da suonare mentre fosse caduto in coma era stato precisissimo. A rigor di legge al documento mancava una seconda firma ma per il giudice in quelle parole c'era già tutto per definire il miglior interesse di MSP.
L'IMPREVISTO E IL COMA INDOTTO Il 14 maggio scorso, su richiesta del giovane, l'operazione era stata invertita. Pochi giorni dopo però MSP rischiò di lasciarci la pelle: tornò in ospedale con sepsi, sanguinamento, occlusione intestinale e in condizioni gravissime. Il chirurgo gli spiegò che per salvargli la vita bisognava tornare insala operatoria e ricorrere alla stomia. E contrariamente a quanto espresso nelle disposizione anticipate, MSP acconsentì. MSP tornò sotto ai ferri, l'intervento si rivelò più complicato del previsto, e qui, secondo i resoconti dei giornali, i medici stabilirono che il decorso sarebbe stato lungo e la stomia irreversibile. Mamma e papà erano terrorizzati dalla reazione che avrebbe avuto una volta che si fosse svegliato. Avrebbe potuto anche uccidersi. I medici decisero allora di mantenere in stato di incoscienza MSP e rivolgersi alla Corte di protezione, deputata a pronunciarsi al posto delle persone in stato di incoscienza e prive della capacità mentale di prendere decisioni da sole, per capire se ci fosse un modo per rispettare la volontà dell'uomo di non vivere in quello stato.
IL GIUDICE PESA LA VITA DI MSP Ebbene, secondo il giudice Anthony Hayden molte persone vivono vite perfettamente piene e realizzate con una stomia, ma non era il caso di MSP che aveva espresso un messaggio chiaro e coerente: l'uomo aveva già sopportato un "decennio di gravi malattie" e secondo la sua visione la qualità della sua vita era stata "disperatamente ridotta", "letteralmente, qui non si parla di scegliere di morire, ma della capacità di un uomo adulto di determinare e controllare la fine della propria vita". Nella sentenza ricorda che il giovane si sentiva bello, come diceva alla sorellastra, e che durante il ricovero in terapia intensiva nel 2013 fece molti incubi in cui si sentiva stuprato, probabilmente a causa dei tanti tubi che imprigionavano il suo corpo dopo l'intervento. Ricorda i suoi aspetti narcisistici, la sua esuberanza, la depressione dopo la stomia, la profonda vergogna che gli dava l'eventualità di un intervento salvavita che avrebbe però leso la sua autostima per sempre.
"SEDATELO E LEVATEGLI L'IDRATAZIONE" Hayden ha stabilito pertanto che i medici potessero procedere nel "miglior interesse del paziente" in questo modo: posto che esiste una possibilità "tra il 60 e il 70 per cento" che il ragazzo sopravviva al ritiro della ventilazione, "se si desidera che le volontà di MSP siano attuate, si dovrebbe interrompere la nutrizione e l'idratazione artificiali con una sedazione continua che possa alla fine compromettere la respirazione e porterà MSP alla morte". Così nella sentenza che dichiaratamente e ipocritamente aggira il divieto di eutanasia e suicidio assistito nel Regno Unito.
MEGLIO LA MORTE CERTA DI UNA VITA DI INCOGNITE MSP non stava per morire, non era incapace di esprimersi, non poteva farlo solo perché i medici avevano mantenuto incosciente, non aveva bisogno di essere attaccato alle macchine per vivere. Come ha scritto il bioeticista Wesley Smith, a MSP è stata propinata un'eutanasia in slow-motion: drogandolo perché restasse incosciente, perché il suo corpo richiedesse sostegni vitali per vivere, perché la corte potesse deliberare di ritirarli assicurandogli una sedazione terminale (ben diversa dalla sedazione palliativa che accompagna la fine naturale di un paziente e molto in voga tra medici olandesi nauseati dalle iniezioni letali). Un procedimento di allestimento del fine vita che nulla a che vedere con il tanto sbandierato diritto all'autodeterminazione e molto invece con l'abbandono dell'uomo: nessuna presa in carico dell'angoscia umanissima di MSP data dal disagio della stomia, nessuna possibilità che (come accaduto per le migliaia di persone – citate dallo stesso Hayden – sottoposte alle stesse procedure) il trentaquattrenne potesse uscire dalla depressione e avere una vita pienamente degna di essere vissuta, nessuna possibilità di recupero, di essere felici, di trovare un lavoro, di trovare una donna: tutto era già stato deciso da genitori, medici e giudici di MSP. Che pur di non accompagnarlo ad una vita fatta di incognite lo hanno abbandonato a morte certa.
Fonte: Tempi, 13/06/2020
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