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BARILLA COMPLETAMENTE RIEDUCATA: SPAGHETTI SAFFICI PERCHE' E' LA MODA
Ormai pare che per vendere ci si debba allineare senza possibilità di scelta. Ma i consumatori sono tutti uguali?
di Manuela Antonacci - Fonte: Notizie Provita, 09/11/2018
Potremmo dire che siamo alla frutta e invece no, siamo ancora al primo… e che primo! In salsa Lgbt, è proprio il caso di dire. Stiamo parlando degli "spaghetti saffici", quelli che la Barilla ha presentato al Pasta World Championship: una gara culinaria svoltasi a Milano presso La Pelota il 24 e 25 ottobre, con nuove confezioni di pasta (Spaghetti Nº5) disegnate da Olimpia Zagnoli. Il packaging, quantomeno di cattivo gusto (soprattutto per un'azienda alimentare come la Barilla, legata al celebre marchio del Mulino Bianco e ai celebri spot de La Famiglia del Mulino che rappresentavano una classica famiglia italiana dall'esistenza felice, immersa nel verde) ritrae due donne una di fronte all'altra con uno spaghetto esce dalla bocca di una per finire nella bocca dell'altra. Ovviamente l'iniziativa sta meritando gli elogi sperticati del mondo Lgbt. Ormai da tempo, infatti, la Barilla è stata sottoposta a una sorta di "rieducazione" nel campo del marketing e della politica aziendale, ovviamente in salsa omosessualista. Dopo lo tsunami mediatico che si era scatenato, qualche anno fa, contro l'amministratore delegato Guido Barilla, a causa di un suo timido pronunciamento ai microfoni del noto programma radiofonico La Zanzara, nel quale aveva osato dire che (si noti bene), pur essendo favorevole ai matrimoni gay, tuttavia la sua personale idea di famiglia rimaneva quella formata da un uomo e da una donna, l'azienda aveva subito un pericoloso boicottaggio e, neanche a dirlo, un linciaggio mediatico che l'avevano spinta per timore di un tracollo finanziario a piegarsi all'ideologia omosessualista, tanto che secondo il Corporate Equality Index, una sorta di graduatoria stilata dall'Human Right Campaign che individua le aziende più gay friendly nel mondo, Barilla è da anni addirittura ai primi posti. Questo anche perché ormai si è rassegnata a far dirigere le proprie politiche aziendali da organizzazioni Lgbt come Catalyst, GLAAD e The 30% Club. Insomma si può dire, a buona ragione, che la libertà di pensiero (intesa nel senso di libertà di ragionare), nel nostro Paese e non solo, costa e pure tanto! Ma, all'inverso, è sin troppo sottostimato il rischio di cadere nel ridicolo che si corre quando, per salvare capra e cavoli, ci si piega all'ideologia dominante, magari salvandosi la pelle, ma perdendo l'appoggio e il consenso dei consumatori di buonsenso.
Fonte: Notizie Provita, 09/11/2018
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CROLLANO LE NASCITE E I MATRIMONI RELIGIOSI
Sono i matrimoni religiosi che potrebbero salvare il Paese, la famiglia cattolica è quella più accogliente la vita
di Sandro Magister - Fonte: Blog Settimo Cielo, 03/12/2018
Proprio nel giorno in cui alla Pontificia Università Urbaniana si apriva una mostra (vedi foto) dedicata all'eroica famiglia polacca Ulma – padre, madre, sei figli più uno in arrivo: "questa numerosa famiglia", ha detto papa Francesco, "fucilata dai nazisti tedeschi durante la seconda guerra mondiale per aver nascosto e dato aiuto agli ebrei" –, in Italia l'Istituto nazionale di statistica ha diffuso i dati sulle nascite e sui matrimoni nell'anno 2017. Altro che famiglie "numerose", come quella di quei martiri polacchi o come tante nell'Italia di un secolo fa. Il crollo della natalità ha qui toccato nel 2017 il suo livello più basso di sempre. In un paese di 60,5 milioni di abitanti sono nati lo scorso anno appena 458.151 bambini, e ancor meno, circa 440 mila, sono i nuovi nati previsti per il 2018, poco più di 7 ogni 1.000 abitanti, un 30 per cento sotto la media dell'Unione europea, che è già la regione del mondo con il record della denatalità. Se si pensa che il tasso di fecondità – o "total fertility rate" – che assicura la crescita zero, cioè il ricambio alla pari della popolazione, è di 2,1 di figli per donna, il dato italiano ne è drammaticamente sotto da decenni e nel 2017 è affondato a quota 1,32, con parecchie regioni ancor più avare di nascite e con la Sardegna addirittura precipitata a quota 1,06. Già questi sono numeri che attestano un'inesorabile marcia verso l'estinzione di un popolo. Ma ancor più impressionanti sono i dati che riguardano i matrimoni. Erano 203 mila nel 2016 e sono scesi a 191 mila nel 2017, il 6 per cento in meno in un solo anno, un decremento secondo soltanto a quello fisiologico del 1975, l'anno successivo all'introduzione del divorzio in Italia. Ma attenzione. A calare non sono i matrimoni con almeno un coniuge straniero, né i secondi matrimoni di divorziati e vedovi. Il vero crollo è dei primi matrimoni – meno 7,3 per cento – e più ancora dei matrimoni religiosi, calati del 10,5 per cento tra il 2016 e il 2017. Così il demografo Roberto Volpi, non cattolico, commenta quest'ultimo dato, sul quotidiano "Il Foglio" del 29 novembre: "Il motivo per cui questo arretramento del matrimonio religioso è ancor più preoccupante di tutto il resto, è presto detto. Ancora oggi il 70 per cento delle nascite avviene in Italia dentro il matrimonio, ma è il matrimonio con rito religioso quello che assicura nettamente più nascite rispetto al matrimonio con rito civile. Quest'ultimo è infatti soprattutto il matrimonio a cui ricorrono divorziati, vedovi e coppie miste di italiani e stranieri, diversamente dal matrimonio religioso che resta di gran lunga il preferito da celibi e nubili, di età più giovane e con una più alta propensione ai figli". E conclude: "L'alta nuzialità ha segnato in Italia gli anni della ricostruzione postbellica, del miracolo economico, dell'intraprendenza e della fiducia degli italiani nel futuro. Sono i matrimoni a dirci quanto siamo sani o ammalati. Attualmente siamo a uno stadio pressappoco terminale. Non sarebbe male se la Chiesa, la prima a pagare pegno, lo capisse e si desse una mossa". Quest'ultima battuta suona paradossale, dopo un doppio sinodo dedicato dalla Chiesa cattolica proprio al tema della famiglia. Paradossale ma vera, visto come quel doppio sinodo è stato premeditatamente bruciato nella disputa sulla comunione ai divorziati risposati e sull'ammissione misericordiosa di ciò che matrimonio non è, dalle convivenze alle coppie omosessuali. Una disputa che ha lasciato libero il campo all'offensiva degli avversari del matrimonio vero. Come nel famoso detto di Tito Livio: "Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur". Mentre a Roma si discute a vuoto, nella città irrompe il nemico.
Fonte: Blog Settimo Cielo, 03/12/2018
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L'IDEOLOGIA INQUINA ANCHE QUEL CHE CI DICONO SULL'AIDS
Da anni non ci dicono la verità su contagi e realtà della malattia
di Intervista a Paolo Gulisano - Fonte: Sito renovatio21
Il 1º dicembre scorso si è celebrata la giornata mondiale contro l'AIDS, indetta ogni anno per sensibilizzare la popolazione alla gravità della trasmissione del virus HIV. Tanti sono stati gli avvenimenti che, non in modo causale, hanno accompagnato questo evento. È di pochi giorni prima la notizia dello scienziato genetista cinese che ha annunciato, attraverso il suo canale YouTube, la nascita di due sorelle gemelle geneticamente modificate con una tecnica di «taglia e cuci" genetico (il CRISPR-CAS9) attraverso il quale Jiankui He ha «silenziato» il gene che controlla il recettore chiamato CCR5. Il CCR5 si trova sulla superficie delle cellule immunitarie, i linfociti T, porta di ingresso per la quale entra il virus HIV. A questo esperimento diabolico, fatto a danno di numerosi embrioni per creare i vaccini umanizzati – o potremmo dire uomini geneticamente e artificialmente vaccinati – si è aggiunto l'annuncio di nuovi finanziamenti mondiali per avanzare la ricerca al fine di inventare i vaccini contro il virus HIV, da iniettare già in età pediatrica. Basti pensare che in Italia i fondi sono stati stanziati all'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma: l'ospedale della Santa Sede. Mutazioni genetiche, vaccini: queste le grandi prospettiva della scienza ufficiale per contrastare l'AIDS. L'altra grande sfida lanciata, di anno in anno, dalla «medicina della prevenzione», è quella del sesso protetto. Tante, dicono, sarebbero le trasmissioni del virus attraverso l'atto sessuale cosiddetto «non protetto». Se il sesso protetto dovrebbe essere la soluzione, dicono, nessuno parla però di un fenomeno largamente diffuso: il bugchasing, un fenomeno che riguarda persone che cercano consapevolmente e volontariamente di contrarre il virus dell'HIV. Il metodo viene utilizzato principalmente dalla comunità gay, è nato negli Stati Uniti e oramai è diffuso in tutto il mondo, compresa, largamente, l'Italia. Il bugchasing è composto da due parti complementari: da una parte c'è il bug-chaser, cioè colui che «cerca il parassita», cioè che vuole materialmente contrarre il virus; dall'altra abbiamo il cosiddetto «donatore», il gift-giver, cioè colui che, già consapevole della sieropositività, è disposto ad aver rapporti sessuali non protetti per trasmettere attivamente il virus. È un fenomeno su cui non esistono dati certi, precisi, giacché chi lo pratica non è solitamente disposto a renderlo pubblico seppur esistano siti in cui si creano gli appuntamenti per lo «scambio». Vi sono poi gli untori, ovvero quelle persone affette da AIDS che non comunicano la loro sieropositività al proprio partner, continuando ad avere rapporti sessuali non protetti. Un caso eclatante, a questo proposito, è quello di Claudio Pinti, arrestato quest'anno per l'accusa di lesioni aggravate alla ex compagna morta per complicanze causate dall'AIDS. Pinti, sieropositivo consapevole, ha avuto rapporti sessuali non protetti con 228 persone diverse, fra cui molti uomini e transessuali. Tutto tace anche sulla promiscuità sessuale connessa al fenomeno immigratorio, in aumento particolarmente in Itala. L'Africa – e a dirlo è il Ministero della Salute e ogni ente internazionale – è il continente più sieropositivo del mondo. Di tutte queste cose di cui nessuno vuole raccontarvi, ne abbiamo parlato con il Dott. Paolo Gulisano, medico infettivologo ed epidemiologo. Dr. Gulisano, anche quest'anno si sono spese tante parole durante la Giornata Mondiale contro l'AIDS, celebrata il 1º dicembre. Oltre alle chiacchiere, quali sono i veri dati epidemiologici, quantomeno in Italia, rispetto a questa malattia? «Conosci il tuo stato» era lo slogan scelto per la Giornata mondiale di lotta all'Aids 2018. Uno slogan molto generico, che potrebbe andare bene per qualunque campagna di prevenzione, dal diabete ai Pap test. In questo caso invece si trattava di un invito a sottoporsi al test HIV, un esame che permette di individuare un'eventuale infezione e nel caso di positività intraprendere un percorso di cura. Poi naturalmente in occasione di tale giornata non mancano mai le iniziative più folkloristiche, come le distribuzioni pubbliche di preservativi o di materiale informativo. Comunque è interessante rilevare che quest'anno l'attenzione sia stata rivolta non tanto alla prevenzione primaria (evitare il contagio) ma a quella detta secondaria, cioè la diagnosi precoce della malattia. Una scelta interessante. Ma i dati epidemiologici cosa ci dicono, relativamente all'AIDS? Ci dicono che in Italia, nel 2016, sono state riportate 3451 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a 5,7 nuovi casi per 100 mila residenti. Il numero delle nuove diagnosi è risultato in calo rispetto all'anno precedente (nel 2015 erano 3549), per tutte le modalità di trasmissione (rapporti eterosessuali; uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini – MSM, Men who have sex with men; utilizzatori di droghe per via endovenosa – IDU, Injecting drug users). Lo riferisce la Relazione Aids 2017 (inviata al Parlamento il 12 settembre 2018) che illustra le attività svolte dal Ministero nell'ambito dell'informazione, della prevenzione, dell'assistenza e dell'attuazione di progetti relativi all'HIV/Aids; le attività realizzate in collaborazione con il Comitato tecnico sanitario (Sezione per la lotta contro l'Aids e Sezione del volontariato per la lotta contro l'Aids) e l'attività svolta dall'Istituto superiore di sanità (ISS), in particolare le iniziative in tema di sorveglianza dell'infezione da Hiv e dell'Aids. Cosa ci dicono questi dati? Quello che emerge è che l'incidenza maggiore di casi si riscontra nella fascia di età 25-29 anni e che nel 2016 la maggior parte delle nuove diagnosi di HIV è stata tra gli MSM tra i maschi eterosessuali (dal 2010 la proporzione di diagnosi in questi gruppi è in costante crescita). In aumento anche la quota degli stranieri con una nuova diagnosi di HIV. Importante sottolineare che oltre la metà (56%) delle nuove diagnosi avviene in fase clinica avanzata, quando il livello di immunodepressione è già serio. Spesso, infatti, la mancanza di sintomi negli anni che precedono la manifestazione dell'Aids non induce a fare il test per l'HIV, anche se ci si è esposti a rapporti sessuali occasionali non protetti. Solo un quarto delle persone con nuova diagnosi ha effettuato il test in seguito a un comportamento a rischio: la maggior parte scopre di essere positivo all'HIV perché ha già dei sintomi che suggeriscono l'insorgenza della malattia o per un controllo fatto per motivi non legati a questa infezione. Questa è dunque la ragione che ha spinto a puntare sulla diagnosi precoce degli infetti più che sulla prevenzione primaria. Per non saper né leggere né scrivere, la novità dell'anno sono i fondi disposti in tre diversi continenti per la ricerca di un vaccino che vorrebbe sconfiggere l'AIDS. Cosa ne pensa? Nell'attuale fase storica i vaccini godono di una popolarità e di un sostegno che non hanno mai conosciuto in precedenza. Si sta inducendo nella popolazione una mentalità fortemente pro-Vax, un consenso quasi acritico nei confronti delle pratiche vaccinali. Un tale contesto sembrerebbe quindi assolutamente favorevole all'introduzione sul mercato di vaccini anti-HIV. Questo spiega le ampie sovvenzioni concesse, magari anche a scapito di altri campi di ricerca. Tuttavia, oltre a quelle che possono essere tutte le perplessità rispetto a tali vaccini, alla loro reale efficacia, ai possibili effetti collaterali e reazioni avverse, temo che la richiesta del vaccino anti HIV – del quale peraltro si parla da più di 30 anni senza che si sia arrivati a produrlo – risponda ad una esigenza culturale preoccupante. Se un individuo infatti fosse vaccinato – magari già da bambino – potrebbe ritenere di essere protetto, sicuro, e questo potrebbe spingere ad una vita sessuale sregolata, disordinata, mettendo a rischio la persona anche per altre malattie sessualmente trasmesse, di cui si parla meno, ma che sono in aumento e rappresentano un rischio per la salute. Un esempio per tutte le Epatiti di tipo A, per le quali le organizzazioni sanitarie hanno lanciato un allarme recentemente a seguito delle epidemie che si verificano ad esempio dopo ogni Gay Pride. Solitamente, dietro a questi grandi finanziamenti, ci stanno sempre i soliti: Microsoft, Apple, e via discorrendo. Interesse per la salute o interessi personali? L'Organizzazione Mondiale della Salute per anni ha sostenuto che la lotta all'AIDS la si fa con l'ABC, ovvero le iniziali di Abstinence, Be Faithful, Condom. È chiaro che con i primi due metodi, l'astinenza e la fedeltà coniugale, non ci si guadagna niente, in termini economici, anche se molto in termini di salute, visto che hanno una sicurezza del 100%. Con i preservativi il business è già da tempo ben avviato, evidentemente ora tocca a qualcun altro fare profitto. Non crede tuttavia che la ricerca di un vaccino per sconfiggere il virus HIV che causa l'AIDS cozzi con il fatto che, la promiscuità sessuale, sia una delle maggiori cause di infezione? Come dicevo in precedenza, l'illusione di una protezione potrebbe spingere ad una promiscuità sessuale e a comportamenti a rischio ancora maggiore di quella attuale. Un vero boomerang. Promuovere una cultura dell'affettività responsabile è il metodo preventivo più sicuro ed efficace, ma non lo si vuole nemmeno prendere in considerazione. Così si spinge per il vaccino, anche perché è sempre più evidente il fatto che i preservativi non vengono utilizzati, e non certo perché la Chiesa Cattolica li condanna (o dovremmo dire li condannava un tempo), ma perché fa parte di uno stile «disinvolto» di sessualità pericolosa. Nel 2017 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l'84,3% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 45,8%; MSM, Men who have sex with men 38,5%). Soffermiamoci un momento su questo tema del sesso libero e cosiddetto «non protetto». L'Africa ha una percentuale altissima di persone sieropositive. L'immigrazione di massa, specie in Italia, non alza il rischio di infezione da HIV? Per quale motivo? Diciamo subito che in base ai dati epidemiologici in nostro possesso, risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera. Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell'HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani. Un dato che fa pensare. Molti immigrati provengono da Paesi dove la diffusione dell'HIV, così come quella della TBC, è molto più alta che in Europa. Basta far parlare i dati. Il numero dei decessi correlati all'AIDS nel 2016 per grandi aree è il seguente: Africa Sud-Orientale: 420 mila; Africa Centro-Orientale: 310 mila; Nord Africa e Medio Oriente: 11 mila; America Latina: 36 mila, più il dato dei soli Caraibi che è di 9400. Europa dell'Est e Asia centrale: 40 mila; Europa Occidentale e Nord America: 18 mila; Asia e Pacifico: 170 mila. Ora, la lettura di questi numeri ci fornisce delle evidenze molto chiare. L'AIDS è una malattia ormai collegata ad un uso disordinato della sessualità. I casi di infezioni da trasfusioni o da uso di sostanze stupefacenti iniettive sono decisamente rari. È una malattia che nelle zone ricche del pianeta dove c'è accessibilità a farmaci costosi è affrontabile e dove la letalità è scesa molto nel corso degli anni. L'analisi geografica dei casi di morte ci dice che là dove ci sono i cosiddetti «paradisi sessuali» come nei Caraibi o in Oriente, il tasso di morbilità e mortalità è molto più alto. C'è poi il dramma dell'Africa, che presenta numeri ancora impressionanti. È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree. Cosa ci dice del fenomeno del bugchasing? Dove è perché è così diffuso? Il bugchasing è una pratica sessuale che non si deve avere paura a definire una grave forma di perversione. Si tratta di pratiche sessuali con sconosciuti, con soggetti HIV positivi, fatte senza l'uso di preservativi, nella massima promiscuità. I praticanti di questa sorta di sesso estremo, i cosiddetti bugchasers, dichiarano diverse motivazioni relative alla loro scelta: per alcuni il rischio relativo a contrarre il virus dell'HIV aumenterebbe il desiderio durante l'atto sessuale, anche se questi soggetti dichiarano di non avere necessariamente un vero e proprio desiderio di contrarre il virus. Alcuni considerano l'essere infettati come qualcosa di estremamente erotico, l'ultimo limite da infrangere, l'ultimo estremo atto sessuale rimasto da compiere. Cosa spinge secondo lei a questa folle ricerca del rischio? In primo luogo la noia. L'ipersessualizzazione della società porta ad anticipare sempre più l'inizio dell'attività sessuale, a sperimentare ogni tipo di rapporto, e se non basta la realtà c'è anche il sesso virtuale, le cyber relazioni, la pornografia e così via. Una persona può arrivare a 30 anni in una situazione di saturazione delle emozioni erotiche. A quel punto si deve andare oltre. È come nelle dipendenze da sostanze: si comincia con le droghe leggere, e poi si finisce per non avere mai abbastanza dalle sostanze psicotrope di cui si diventa schiavi. Oltre a questo, mi sembra che questo tipo di comportamento manifesti un disagio di tipo psichico: una sorta di cupio dissolvi, una tendenza all'autodistruzione. Una specie di emozione estrema, come la roulette russa, che nasce da un disprezzo inconscio per la vita: me la gioco tirando un grilletto, o accoppiandomi al buio con un portatore di HIV. Tanto ne sono il padrone e la posso bruciare come voglio. È il culmine dell' irresponsabilità. Perché non esistono dati certi circa questo fenomeno, e perché si tratta di un tema così poco affrontato anche quando si parla di AIDS a livello mondiale? Perché questo fenomeno smaschera molte falsità diffuse sull'AIDS nel corso degli anni, come quella che sarebbe bastato l'uso del preservativo, osteggiato dagli ambienti religiosi oscurantisti, a sconfiggere la malattia. E smaschera anche le conseguenze dell'edonismo folle della modernità liquida per cui ciò che conta è il divertimento e la ricerca del piacere ad ogni costo. Smaschera, infine, la pretesa di essere i padroni assoluti della propria vita: basta infatti un piccolo virus cui si consente di agire indisturbato a distruggere una vita. Ogni nostra azione porta a delle conseguenze. È bene averlo sempre presente.
Fonte: Sito renovatio21
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L'EUTANASIA DEI BAMBINI STA SCIVOLNDO NELLA PRASSI COME UN ABORTO TARDIVO MA AL PARI DELL'ABORTO E' UN OMICIDIO
Sopprimere bimbi senza dirlo ai genitori: ecco il sogno dei medici canadesi
di Caterina Giojelli - Fonte: Tempi, 18/10/2018
L'ospedale pediatrico di Toronto getta le basi per la "buona morte" infantile. E norma la possibilità di somministrarla ai minori senza il consenso dei familiari, nel nome del diritto alla privacy «I desideri dei pazienti devono essere rispettati», affermano i medici del Toronto's Hospital for Sick Children per giustificare la possibilità di somministrare l'eutanasia ai bambini senza informare i loro genitori. Nell'articolo Medical Assistance in Dying at a paediatric hospital, pubblicato il 21 settembre sul J Med Ethics del British Medical Journal, un team composto da personale, amministratori ed esperti di etica di Sick Kids, con il supporto del Joint Center for Bioethics dell'università di Toronto, ha infatti definito politiche e procedure per praticare l'eutanasia infantile ai loro pazienti qualora la legge lo consentisse. Oggi infatti l'eutanasia è legale in Canada solo sopra i 18 anni, entro dicembre, tuttavia, il Canadian Council of Academies riferirà al Parlamento sulla possibilità di estenderla in circostanze attualmente vietate dalla legge. Nello specifico, si tratta di garantire il diritto alla morte assistita anche a pazienti di età inferiore ai 18 anni, pazienti psichiatrici e pazienti che hanno espresso il desiderio di ricevere l'eutanasia prima di venire interdetti da malattie come il morbo di Alzheimer. In altre parole, dopo avere approvato la "legge peggiore del mondo", gli ospedali pediatrici si preparano a far fronte alle richieste di eutanasia disciplinando ogni scenario, compresa la possibilità per i piccoli di imporre ai medici di non informare né coinvolgere i propri genitori e familiari nelle loro decisioni fino a morte avvenuta. IL TOTEM DEL DIRITTO ALLA PRIVACY CHE ESCLUDE I GENITORI L'idea è semplice: secondo il Sick Kids non esiste una distinzione etica tra un paziente che sceglie di rifiutare un trattamento gravoso davanti a una morte inevitabile o un paziente che sceglie di morire prima che la malattia faccia il suo corso. Siccome in Ontario un minore non ha bisogno del consenso dei genitori per rifiutare ulteriori trattamenti, non c'è alcuna ragione legale per cui i genitori debbano essere informati nel caso in cui scegliesse di morire: considerata praticamente ed eticamente equivalente ad altre decisioni mediche sul fine vita, il diritto alla privacy riguardo all'eutanasia, dicono, dovrebbe essere garantito allo stesso modo. QUINDI L'EUTANASIA VERRA' SUGGERITA AI BAMBINI? Seguendo la stessa logica dovremmo anche chiederci se i medici saranno solerti nel suggerire l'eutanasia ai bambini in base all'obbligo di informare i pazienti delle loro opzioni sanitarie. E che dire della reale comprensione dell'opzione di un giovane? «Di solito, la famiglia è intimamente coinvolta in questo processo decisionale (al termine della vita)», scrivono i medici. «Tuttavia, se un paziente in grado di intendere e di volere indica esplicitamente che non vuole coinvolgere i familiari, anche se i medici possono incoraggiarlo a riconsiderare la propria posizione», in ultima analisi «i desideri dei pazienti, nel rispetto della loro privacy, devono essere rispettati». Descrivendo come si sarebbe verificata una morte indotta dal medico al Sick Kids, gli autori non menzionano alcuna conversazione con familiari o genitori su come il bambino sarebbe morto fino a dopo l'avvenuto decesso, durante quello che nel documento chiamano "periodo di riflessione". Non c'è da stupirsi, ha commentato la bioeticista Bridget Campion, «ora che l'eutanasia è legale va da sé che ogni ospedale si chieda "e ora come si fa?"». «I TEMPI SONO ORMAI MATURI» Nel 2017, a un anno dalla legalizzazione di suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria in Canada, la Canadian Paediatric Society ha pubblicato uno studio condotto su 1.050 medici: oltre il 10 per cento di loro afferma di avere avuto colloqui con genitori e ragazzi sul suicidio assistito o l'eutanasia per malati terminali sotto i 18 anni. Sessanta bambini hanno esplicitamente richiesto se fosse possibile ottenerli e i genitori di oltre 400 bambini hanno toccato l'argomento con i pediatri dei loro figli. Solo il 33 per cento dei medici intervistati è convinto che il suicidio assistito debba rimanere off limits per tutti i minori, indipendentemente dalle circostanze, la metà ritiene invece che «i tempi sono ormai maturi» per dare a tutti questa possibilità. «LA FORZA DI GRAVITA' DEGLI ABISSI» Oggi l'obiezione di coscienza in Canada è appesa a un filo: in una società che considera l'uccisione una risposta alla sofferenza umana e la soppressione di un paziente un atto compassionevole e misericordioso, chiunque si rifiuti di farlo è diventato il nuovo peccatore. Accettato l'omicidio del malato terminale, il passo verso quello del matto, del disabile e perfino del bambino è brevissimo, arginare ai morenti la lista di attesa è praticamente impossibile. È un film già visto in Belgio, dove un bambino di 11 anni con la fibrosi cistica ha appena ricevuto l'eutanasia, e in Olanda, dove «i medici hanno eliminato i malati che lo chiedevano, i disabili che lo chiedevano e, da ultimi, i nuovi nati che non lo hanno mai chiesto», raccontava a Tempi Wesley Smith, intellettuale libertario americano, autore di decine di saggi sulla "morte pacifica" e fra i testimoni in Florida del diritto alla vita di Terri Schiavo. «Se si apre a questa cultura non c'è più modo di fermarsi. Quando iniziarono a uccidere i pazienti depressi ma non fisicamente malati dissero che solo i coscienti con un desiderio "razionale" di morire ne avrebbero "beneficiato". Poi, quando iniziarono a uccidere i disabili, come i malati di Alzheimer, cantarono sommessamente: solo i pazienti che lo avrebbero chiesto. Poi sono passati ai bambini. Anche senza il consenso dei genitori. È l'implacabile forza di gravità degli abissi».
Fonte: Tempi, 18/10/2018
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