Amici del Timone n�75 del 10 marzo 2018
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QUELLO CHE NON VIENE DECISO DALLA LEGGE, LO FANNO I GIUDICI
La dittatura della cultura della morte ormai opera con mano libera attraverso lo strapotere dei tribunali, contro ogni legge di natura
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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CREPA, PIANO PIANO: STRAORDINARIO VIDEO SULL'EUTANASIA
La stragegia della cultura della morte è fatta di piccoli passi ben sapendo che con una piccola crepa, piano piano la diga viene distrutta (VIDEO: Crepa, piano piano)
Fonte: Nelle Note
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I BAMBINI SI POSSONO VIVISEZIONARE, CONGELARE E UCCIDERE, MA LE ARAGOSTE NO!
I figli si possono uccidere prima della nascita per mancanza di nutrimento (RU 486) o anche smembrati pezzo a pezzo (aborto chirurgico), ma le aragoste (poverine!) non si possono bollire e se vengono commerciate, devono viaggiare in acqua salata, a pena di multa (anch'essa salata!)
Fonte: Notizie Provita
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L'EDUCAZIONE SESSUALE APPROVATA DALL'UNESCO
Obiettivi di sviluppo sostenibile? In realtà si spinge per la diffusione planetaria di contraccezione e aborto
di Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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LE BUFALE ALIMENTARI AVVELENANO LA TAVOLA
Cercano di convincerci che soia, bistecche sintetiche e insetti commestibili sono la chiave per sfamare il mondo e nutrirci meglio, ma in realtà siamo manipolati (ad es. lo sapevi che il kamut è un grano duro come molti altri?)
di Carlo Cambi - Fonte: La Verità
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CONTRACCEZIONE E ABORTO HANNO LA STESSA RADICE
La cultura della morte insegna a chiudersi alla vita e poi ad uccidere....non c'è sostanziale differenza.
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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L'ABORTO E' IL PRIMO DELLE VIOLENZE SULLA DONNA
Una volta infilata una certa deriva ormai l'uomo non conta più nulla....
di Margherita Borsalino - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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NEMMENO LA DOTTRINA CATTOLICA E' PIU' CHIARA SULLA MORTE?
Nessuno ha mai cambiato l'insegnamento millenario della Chiesa, ma in tanti credono che ormai si sia affievolito
di Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LO STATO VEGETATIVO NON ESISTE PERCHE' NON SIAMO VEGETALI
La vita umana ha significato e scopo anche quando sembra non averne più
di Fabio Cavallari - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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ALFIE EVANS RISCHIA LA MORTE
E un giudice strumentalizza le parole del Papa. Gli interventi di Colombo, Sgreccia e Bellieni.
di Caterina Giojelli - Fonte: Tempi
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QUELLO CHE NON VIENE DECISO DALLA LEGGE, LO FANNO I GIUDICI
La dittatura della cultura della morte ormai opera con mano libera attraverso lo strapotere dei tribunali, contro ogni legge di natura
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/02/2018
Una coppia di uomini "produce" due bambini tramite l'utero in affitto. La genitorialità viene riconosciuta solo al genitore biologico ma anche il partner vuole figurare come genitore biologico. I giudici negano la realtà: "La mancanza di un legame genetico fra i minori e un componente della coppia non è un ostacolo al riconoscimento del rapporto di filiazione". Dopo il caso di Livorno ecco un'altra vicenda in cui due persone dello stesso sesso richiedono il riconoscimento dell'omogenitorialità nei confronti di alcuni minori. La storia è la seguente. Una coppia di uomini si "sposa" in Canada e poi "hanno" due bambini tramite l'utero in affitto. Inizialmente la genitorialità viene riconosciuta solo al genitore biologico ma poi i giudici canadesi l'accordano anche all'altro partner. Attenzione al tipo di riconoscimento. Il partner, che non è genitore biologico, vuole figurare padre del minore come se fosse genitore biologico che ha riconosciuto il nato. Non si tratta quindi di una genitorialità acquisita per il tramite della stepchild adoption o dell'adozione. Bensì il riconoscimento concesso è equivalente all'acquisizione dello status di genitori di marito e moglie che mettono al mondo un bebè e poi lo riconoscono. La coppia ritorna in Italia e chiede al comune di residenza di validare il riconoscimento di genitorialità ottenuto all'estero. Ma l'ufficiale di stato civile nega questo riconoscimento perché sarebbe contrario all'ordine pubblico e poi perché – aggiungiamo noi – nemmeno la legge sulle Unioni civili lo consente. La vertenza approda in Cassazione. I giudici hanno deciso con ordinanza interlocutoria n. 4382/18 di rimettere la decisione al Primo Presidente delle Sezioni unite dato che la materia è assai delicata. Vedremo quale sarà il verdetto. Per intanto è interessante leggere cosa hanno scritto i magistrati d'Appello che avevano accolto la richiesta della coppia: "L'incontroversa insussistenza di un legame genetico fra i due minori e un componente della coppia non riconosciuto quale genitore non rappresentava un ostacolo al riconoscimento del rapporto di filiazione accertato dal giudice canadese, dovendosi escludere che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato, assumendo, invece sempre più importanza il concetto di responsabilità genitoriale che si manifesterebbe nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato anche indipendentemente della relazione biologica con uno dei genitori, in considerazione delle consentite (in molti ordinamenti) tecniche di fecondazione eterologa". Dunque i giudici ci stanno dicendo che il legame biologico non è necessario per diventare genitori. E questo è vero. Infatti basta pensare all'istituto dell'adozione. Però l'istituto dell'adozione non si fonda sull'inesistente diritto degli adulti di diventare genitori bensì sul diritto del figlio a venire educato e accudito anche da adulti non genitori biologici laddove i genitori biologici non potessero farlo (perché ad esempio defunti) o non fossero in grado per incapacità etc.. I giudici d'appello invece, per legittimare la richiesta di genitorialità, hanno fatto riferimento al concetto di responsabilità genitoriale e alle pratiche di fecondazione eterologaormai da qualche anno legittime anche da noi. In merito alla responsabilità genitoriale di una coppia omosessuale, moltissimi studi hanno acclarato ciò che il buon senso aveva già compreso da tempo: l'ambiente omosessuale è dannoso per lo sviluppo armonico del bambino, che ha bisogno per la sua crescita di un padre e di una madre e non di due maschi. Il secondo aspetto chiamato in causa dai giudici per legittimare la richiesta della coppia gay si fonda sulla pratica della fecondazione eterologa. Il ragionamento sotteso non si incardina più sul miglior interesse del figlio, bensì sulle modalità di tutela del diritto di diventare genitore. In breve i giudici affermano che, dal momento che esistono tecniche che consegnano un bambino ad una coppia omosessuale che lo ha richiesto, questo fatto da solo è capace di assegnare ai due richiedenti lo status di genitore. La fecondazione eterologa di fatto ha inserito un minore nella casa di Tizio e Caio e dunque Tizio e Caio sono genitori. E' un equiparazione implicita al concepimento naturale e al parto: come il fatto del concepimento e del parto possono far diventare genitori legali due soggetti biologicamente genitori del nato, così accade anche con la fecondazione eterologa. L'attenzione dei giudici è così focalizzata nel soddisfare le pretese della coppia dello stesso sesso che si chiude non solo un occhio ma entrambi sulla maternità surrogata – tecnica usata dai due uomini per avere i bambini - che ad oggi è ancora considerata reato dalla legge n. 40/2004 ex art 12 comma 6 e punita con la reclusione. Vero è che questo particolare reato commesso all'estero è punibile solo dietro "richiesta del ministro della giustizia ovvero a istanza, o a querela della persona offesa" (art. 9 cp). Però una riflessione sulla responsabilità genitoriale di una coppia che commette reato ci poteva pure stare nella decisione dei giudici. Su altro fronte, e in merito sempre alla maternità surrogata, i giudici hanno individuato alla perfezione la ratio della legge 40 e della sentenza n. 162 della Corte Costituzionale del 9 aprile 2014 che dichiarò incostituzionale il divieto di fecondazione artificiale di tipo eterologo contenuto nella medesima legge n. 40 del 2004. Infatti la legge 40 si fonda su un principio molto semplice: è legittimo produrre un essere umano in provetta. Ora se è legittima questa condotta non si vede perché dire no ad alcune tecniche di produzione umana e dire sì ad altre. Perché legittimare solo l'omologa? Sarebbe non solo un limite irrazionale, viste le premesse, ma costituirebbe anche una compressione immotivata del "diritto" delle coppie richiedenti di avere un figlio. Riconosciuto infatti il diritto al figlio, tale diritto non può conoscere limiti irragionevoli. Questo in buona sostanza fu il ragionamento della Corte Costituzionale nel 2014 che le permise di sdoganare l'eterologa. Ma permessa l'eterologa perché vietare l'utero in affitto? Per le medesime ragioni appena esposte sarebbe contraddittorio accettare alcune tecniche e vietarne altre. Dunque la vicenda dei due uomini che vogliono essere riconosciuti come genitori dà un'altra spallata mortale in un colpo solo all'istituto del matrimonio, a quello della famiglia, al concetto anche giuridico di genitorialità, alla tutela della dignità dei minori, compresi i concepiti, e delle donne che si prestano o sono costrette a diventare incubatrici di carne e alla visione antropologica che rifiuta l'omosessualità. Non male.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/02/2018
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CREPA, PIANO PIANO: STRAORDINARIO VIDEO SULL'EUTANASIA
La stragegia della cultura della morte è fatta di piccoli passi ben sapendo che con una piccola crepa, piano piano la diga viene distrutta (VIDEO: Crepa, piano piano)
Fonte Nelle Note
Fonte: Nelle Note
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I BAMBINI SI POSSONO VIVISEZIONARE, CONGELARE E UCCIDERE, MA LE ARAGOSTE NO!
I figli si possono uccidere prima della nascita per mancanza di nutrimento (RU 486) o anche smembrati pezzo a pezzo (aborto chirurgico), ma le aragoste (poverine!) non si possono bollire e se vengono commerciate, devono viaggiare in acqua salata, a pena di multa (anch'essa salata!)
Fonte Notizie Provita, gennaio 2018
Fonte: Notizie Provita, gennaio 2018
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L'EDUCAZIONE SESSUALE APPROVATA DALL'UNESCO
Obiettivi di sviluppo sostenibile? In realtà si spinge per la diffusione planetaria di contraccezione e aborto
di Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 21/02/2018
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 21/02/2018
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LE BUFALE ALIMENTARI AVVELENANO LA TAVOLA
Cercano di convincerci che soia, bistecche sintetiche e insetti commestibili sono la chiave per sfamare il mondo e nutrirci meglio, ma in realtà siamo manipolati (ad es. lo sapevi che il kamut è un grano duro come molti altri?)
di Carlo Cambi - Fonte: La Verità, 31/08/2017
Fonte: La Verità, 31/08/2017
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CONTRACCEZIONE E ABORTO HANNO LA STESSA RADICE
La cultura della morte insegna a chiudersi alla vita e poi ad uccidere....non c'è sostanziale differenza.
di Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/07/2017
La notizia che arriva da Londra, trasmessa sottotraccia dalle agenzie, è invece una di quelle che dovrebbe far riflettere profondamente. Si tratta di uno studio estremamente significativo condotto sulle circa sessantamila donne che hanno abortito nel 2016 nelle cliniche del British Pregnancy Advisory Service (Bpas), il servizio che riunisce circa 40 cliniche inglesi e che fornisce informazioni sulla "salute sessuale" e assistenza alle donne che decidono di abortire. Nel 2016, emerge dai dati, il 51% delle 60.592 donne che si sono rivolte al Bpas per abortire stava utilizzando almeno una forma di contraccezione quando è rimasta incinta. E il 24%, circa 15.000, ovvero un quarto, stavano usando quelli che sono considerati i metodi contraccettivi più efficaci, ovvero quelli ormonali come la pillola, il cerotto o l'anello vaginale. Inoltre chi ha utilizzato questi metodi ha avuto in media aborti in una fase successiva della gravidanza rispetto ad altre donne, poiché non si aspettava che la contraccezione fosse fallita. Nessun metodo, sottolinea il report, è efficace al 100%. Eppure le pillole contraccettive sono considerate di gran lunga il modo più popolare di "proteggere" contro una gravidanza indesiderata tra le donne, ma la loro efficacia è valutata dagli esperti intorno al 91%: ovvero su 100 donne che la usano 9 restano comunque incinta. Ancora più bassa, come noto, l'efficacia dei preservativi, stimata intorno all'82%. Insomma: incinta nonostante la pillola, questo è il dato epidemiologicamente incontrovertibile che viene dalla Gran Bretagna, dove accade in un caso di aborto su quattro. Per anni la propaganda cristianofobica si era accanita sulla Chiesa Cattolica, "rea" di non fare abbastanza per la prevenzione dell'aborto col suo veto sulla contraccezione artificiale. Ora invece abbiamo uno studio che dimostra scientificamente che le preoccupazioni della Chiesa sulla diffusione della contraccezione farmacologica erano più che fondate. La pillola offre una falsa sicurezza, e quando fallisce, non resta che l'aborto per "ovviare" a questo fallimento. Come non andare col pensiero a Paolo VI e alla sua enciclica del 1968, quella Humanae Vitae che fu anche l'ultima enciclica pubblicata da papa Montini, la cui voce venne poi schiacciata dal furore dei "cattolici adulti", teologi, preti, vescovi, suore, laici "illuminati", che si schierarono con il pensiero mondano invece che con il Magistero della Chiesa. Durante il pontificato di Paolo VI oltre mille scienziati allarmati e scandalizzati dalla posizione contraria agli anticoncezionali della Chiesa firmarono un manifesto per accusarla esplicitamente di essere "responsabile di un genocidio di vaste proporzioni condannando a morte milioni di esseri umani che nasceranno in condizioni da non poter avere né cibo né medicinali". Scosso dalle accuse, Paolo VI convocò una commissione di esperti chiamandone a far parte scienziati, teologi, porporati ed esperti vari. La commissione concluse i suoi lavori raccomandando al Papa di eliminare i divieti, ritenendo che non esistevano motivi morali né religiosi desumibili dalla Scrittura che imponessero il divieto e terminò i propri lavori raccomandando al Papa di legittimare l'uso degli anticoncezionali, pillola e preservativo compresi. Ciononostante, Paolo VI con un atto di grande coraggio ribaltò le conclusioni della commissione e confermò il divieto, motivandolo con una precisione e un dettaglio straordinari sia dal punto di vista medico-scientifico sia teologico sia antropologico. Ora, mentre ci si avvia a celebrare il 50° anniversario della pubblicazione della Humanae Vitae, nel 2018, ci sono fior di teologi che vorrebbero "superarla", ovvero rottamarla. Forse farebbero meglio a leggere con attenzione lo studio uscito in Inghilterra, per meglio valutare gli effetti di quell'"immenso progresso che si è verificato, nel corso della modernità", che sembra affascinare e conquistare molti cristiani, incapaci di vedere come questo progresso si sia tradotto nel tentativo di esercitare un dominio sul mondo e sulla persona da parte dell'uomo, che rivela forse in un grado mai prima raggiunto, la multiforme sottomissione alla caducità e al male. E speriamo che questo documento susciti un analogo interesse anche nel campo medico, dove la prescrizione di anticoncezionali viene fatta anche con leggerezza, e dove i metodi naturali non vengono nemmeno presi in considerazione e se non addirittura derisi. Infine, per tutti, la consapevolezza che la medicina deve essere intesa anzitutto come prendersi cura, farsi carico della salute da salvaguardare e della sofferenza che incontra, della malattia e della morte, in tutte le circostanze del suo lavoro.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/07/2017
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L'ABORTO E' IL PRIMO DELLE VIOLENZE SULLA DONNA
Una volta infilata una certa deriva ormai l'uomo non conta più nulla....
di Margherita Borsalino - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 25/02/2018
Caro direttore, condivido l'analisi di Marco Lepore riguardo le cause che generano violenza nella nostra società. Ma non posso tacere circa la causa che è la madre di tutte le violenze perpetrate nel nostro tempo, sia per la sua natura che nega la legge naturale stessa inscritta nel cuore di ogni donna, sia per il numero impressionante di casi nel nostro Stato: sei milioni di aborti legalizzati in Italia dalla legge 194 di 40 anni fa. Madre Teresa ci scrisse nel '92: "Se una madre può uccidere il suo stesso figlio nel suo grembo, distruggere la carne della sua carne, vita della sua vita e frutto del suo amore, perché ci sorprendiamo della violenza e del terrorismo che si sparge intorno a noi?". Per lei i concepiti sono i più piccoli, i più poveri, i più indifesi: "Dateli a me!" – implorava. Non siamo più in uno Stato di diritto, viviamo in uno Stato ingiusto perché "una legge ingiusta fa uno stato ingiusto" (Ghandi), uno Stato che permette l'impunibilità dell'uccisione del più piccolo, l'invisibile figlio dell'uomo, il cittadino di domani, che ha così negato la speranza e il futuro di intere generazioni: un genocidio nascosto. Viviamo in una Italia dove tristemente le famiglie si sfasciano per la incapacità di accettare sofferenze piccole o grandi, i limiti dell'altro, ma soprattutto perché il "verme" della morte vive nel cuore di tante madri, padri, fratelli, sorelle che hanno negato il diritto alla vita di un membro della loro famiglia. È triste considerare che a sottoscrivere la "194", 40 anni fa, furono politici sedicenti cristiani. È tristissimo oggi vedere i frutti mortiferi di una legge che, per la pusillanimità di molti parlamentari ed ecclesiastici sedicenti cattolici, nessuno ha più osato, dopo il referendum, ridiscutere quella legge infame alla luce dei risultati deleteri per la società e la famiglia. Anzi, non esiste in Italia la registrazione delle conseguenze dell'aborto, sia fisiche, ma soprattutto psichiche e sociali sulla donna e la sua famiglia. Da ogni lato del parlamento un tacito accordo: "Nessuno tocchi la 194". Sono in gioco interessi ben più forti: la scuola cattolica, l'8 per mille, ICI, o IMU che dir si voglia sulle proprietà della Chiesa! Da questo dilagare di omicidi irragionevoli, disumani, inescusabili, nasce più che da qualsiasi altra causa il dilagare delle violenze piccole e grandi. Se possiamo impunemente, anzi asetticamente, togliere la vita al nascituro, come non potremo addirittura ridere e gloriarci di far cadere a terra il vecchio inerme togliendogli il bastone? Martedì scorso abbiamo festeggiato il giorno natale di Giacinta. La piccola santa di Fatima, dopo aver visto con raccapriccio l'inferno, non smise fino alla morte di offrire sacrifici per le anime dei peccatori. Dal cielo guarda il nostro povero mondo e vede con dolore (non so in che modo si possa vivere il dolore in cielo) l'inferno nel mondo. La Vergine Santa chiese ripetutamente, attraverso Lucia, la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato, perché i suoi errori non dilagassero in tutto il mondo. Non tutti hanno preso sul serio la proposta della S. Vergine. Oggi lo vediamo: in Europa Dio è morto. L'uomo del XXI secolo non deve obbedienza a nessuna legge morale, né a quella naturale scritta nella retta coscienza, né tantomeno alla legge di Dio perché Egli non esiste. In altre parole, da noi sono maturati tutti i frutti venefici del comunismo che, insieme ad un capitalismo sfrenato, si manifestano in tutta la loro potenza distruttiva della società. I 50 anni dal '68, poi, ci hanno regalato gli slogan libertari: nessuna legge, nessun divieto, nessuna autorità, né in famiglia né nello Stato: libertà …. di uccidere. "L'utero è mio e lo gestisco io".
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 25/02/2018
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NEMMENO LA DOTTRINA CATTOLICA E' PIU' CHIARA SULLA MORTE?
Nessuno ha mai cambiato l'insegnamento millenario della Chiesa, ma in tanti credono che ormai si sia affievolito
di Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2018
Leggere che un giudice ha citato anche un documento del Papa per giustificare una sentenza di morte è qualcosa che sconcerta e addolora. Stiamo parlando della sentenza del giudice Anthony Hayden, che lo scorso 20 febbraio ha deciso che il ventilatore che tiene in vita il piccolo Alfie Evans deve essere staccato (clicca qui). Il documento in questione è invece la lettera che papa Francesco ha inviato a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in occasione di un convegno sul fine vita tenutosi in Vaticano lo scorso novembre (clicca qui per il testo della lettera). Il giudice Hayden ha citato il passaggio in cui papa Francesco parla della sempre più «insidiosa (…) tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona»; e definisce «moralmente lecita» la rinuncia o la sospensione dell’applicazione di mezzi terapeutici «quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure”». Si deve anzitutto stigmatizzare l’uso strumentale che il giudice fa delle parole del Papa per dare una legittimazione etica alla sua decisione, anche in considerazione del fatto che i genitori di Alfie sono cattolici. In altre parole, ai genitori che non vogliono arrendersi davanti alla pretesa dei sanitari di Liverpool di far morire Alfie, il giudice dice: «Perché insistete? Anche il vostro Papa dice che in questi casi si deve staccare la spina». È un modo decisamente scorretto di intervenire - applicando indebitamente al caso in questione parole pronunciate dal Papa in altro contesto -, allo scopo di fiaccare la resistenza dei giovani genitori e far loro accettare la decisione dei medici. Detto questo però, bisogna anche riconoscere che quel famoso messaggio inviato dal Papa ai partecipanti al Convegno in Vaticano, sul punto della definizione dell’accanimento terapeutico, è effettivamente problematico. Non per niente il giudice cita il passaggio che da subito la Nuova BQ aveva rilevato come fortemente ambiguo e, anzi, in alcune parti erroneo (clicca qui). Già allora qualcuno sostenne che il clamore suscitato da quel documento avesse spianato la strada alla legge italiana sulle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) che, di fatto, ha a sua volta aperto la strada all’eutanasia. Oggi infatti vediamo l’uso che se ne fa in un caso molto particolare come quello del piccolo Alfie. Il tutto si situa poi in un contesto in cui anche i bioeticisti cattolici sono divisi. Lo abbiamo visto nei mesi scorsi a proposito del caso di Charlie Gard quando non pochi furono i medici cattolici a sostenere che mantenere in vita Charlie si configurasse come accanimento terapeutico. Anche qui dunque sarebbe doveroso un chiarimento per evitare un uso illecitamente ampio del concetto di accanimento terapeutico. In ogni caso non può essere accettabile che un intervento del Papa venga usato in modo strumentale per supportare la scelta di un giudice civile. È perciò incomprensibile il silenzio osservato finora dalla Sala stampa vaticana, che in altre occasioni si è mostrata molto tempestiva. È un silenzio che scandalizza al punto che da ieri sta girando sui social un appello a papa Francesco «perché faccia sentire chiaramente la sua voce che per nessun bambino il migliore interesse è essere ucciso». Il silenzio è tanto più grave in quanto accetta che il messaggio della Chiesa, invece che elevare un dibattito riportandolo alla sua verità originale sia svilito a strumento di contesa tra opposte fazioni.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2018
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LO STATO VEGETATIVO NON ESISTE PERCHE' NON SIAMO VEGETALI
La vita umana ha significato e scopo anche quando sembra non averne più
di Fabio Cavallari - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/03/2018
Viviana, dopo un danno neurologico cade in uno stato di veglia non responsiva dal quale non si risveglia più fino alla morte, quattro anni dopo. Ma al suo fianco c'è il marito Luca, che cresce il piccolo Mattia e che nella prova di quel dolore capisce come si diventi padre: «Lasciando a Viviana il suo posto di mamma, anche se non poteva abbracciarlo». Questa storia di amore nella vita ora diventa un libro. Luca Nisoli ha da poco compiuto quarant'anni. Ne aveva poco più di trenta quando sua moglie Viviana, dopo un danno neurologico, è caduta in quella condizione che volgarmente i "media" chiamano "stato vegetativo", nonostante la medicina scientifica, oramai da tempo, abbia specificato che il termine sia da considerarsi errato e consigliabile quindi l'uso della ben più consona definizione "veglia non responsiva". Mattia, il loro bambino, era un neonato, all'epoca dei fatti. Per quattro anni, prima di morire, Viviana è rimasta sospesa in quel limbo che pone ancora tante domande, forse troppe per quanto se ne parli spesso con sfacciata disinvoltura. Oltre le parole, al di là dei principi sull'autodeterminazione, Luca, nel giro di pochissime ore, ha dovuto riscrivere la sua vita, quella di suo figlio Mattia, i passi del quotidiano, ogni singola azione, pensiero, progetto. Ora quell'avventura umana, drammatica ma al tempo stesso fonte di straordinaria bellezza, è diventata un libro, "Ti dico la verità - Un uomo racconta a suo figlio come è diventato padre" edito da Lindau e scritto da Paola Turroni. Luca, è un operaio ed un batterista, di un piccolo paese della bassa bergamasca, Brignano Gera d'Adda. È un uomo molto concreto, come lo sono tutti gli uomini di quella terra, così alla domanda "perché hai voluto raccontare la tua storia", risponde con la semplicità sorprendente di coloro che usano le parole solo quando hanno un senso incarnato nel reale. "Mattia quando tutto è accaduto aveva sei mesi. Ora ha otto anni, è ancora piccolo ma si è trovato ad affrontare situazioni che fortunatamente la maggior parte dei suoi coetanei non vivono. Ho sempre dovuto decidere pensando per due, ma non ho mai sostituito Viviana. Le ho lasciato il suo posto, anche se non poteva abbracciarlo, anche se a differenza dei suoi compagni di classe alla "Festa della Mamma", ci dovevo andare io. Gli ho raccontato sempre la verità. Ho cercato di fornirgli tutti i tasselli, affinché potesse costruire per intero il percorso della sua vita. Non ho mai edulcorato nulla, neppure la morte. Il vivere è esattamente questo, anche se spesso tendiamo a nascondercelo. Non siamo esenti da nulla. Ho voluto pubblicare questo libro proprio, per lasciare a lui e a me una traccia. Quando sarà più grande ed avrà ancora più voglia di capire, potrà paragonarsi anche con i miei errori, paure, debolezze". Un libro però, una volta pubblicato diventa qualcosa che va al di là dell'esperienza personale, diventa in qualche modo universale. Soprattutto un testo come questo… Ne sono consapevole. Ho conosciuto nelle strutture molte famiglie, in quei quattro anni, che hanno vissuto il mio stesso dramma. Ancora oggi, alcune le incontro. So che la mia storia può fornire loro uno strumento di confronto e ancor più per chi non sa nulla di tutto questo e che parla per sentito dire, che giudica in base ai programmi televisivi. Il dolore invece è una lama tagliente che lascia cicatrici. Solo l'amore è capace di rimarginare. Ecco, quando in Tv si parla di questi argomenti, io cambio canale. Il più delle volte si tratta di un puro esercizio di stile. La realtà è un'altra cosa." Ad un certo punto nel libro si legge: "Non sapevo quello che era giusto, quale fosse il bene supremo, i principi etici cui appellarmi. Non sapevo niente di tutto questo, avevo solo l'amore per decidere. Ho solo mantenuto una promessa". Si riferisce a quella promessa di matrimonio, "nel dolore e nella malattia…"? Sì. Esattamente. Come si può fare diversamente? Io non potevo cambiare la realtà, mi sarebbe piaciuto, ma non potevo. Con quella dovevo farci i conti. Con quella dovevo lottare. Ho agito sempre così, cercando di fare la cosa migliore, di onorare l'amore, semplicemente. Così sono diventato padre. Nel libro racconta che Mattia crescendo ha iniziato a fare domande e che spesso lei si è sentito come un pugile steso sul ring che aveva l'obbligo di rialzarti. Rispondergli non era un'opzione ma un dovere… Proprio così. Quando un bambino ti fa delle domande, non puoi fuggire e non puoi neppure raccontare delle frottole. Spesso sarebbe più comodo, ma la comodità non fa coppia con la realtà. Mattia aveva sentito da alcuni parenti che la mamma era in cielo, e non capiva, giustamente perché allora andavamo a trovarla al cimitero. Ho cercato di spiegargli che il suo corpo era in quel luogo ma che la sua anima continuava a vivere altrove, proprio in cielo. Di primo acchito è bastata quella risposta, ma poi un giorno mentre giocavamo sul divano, si è fatto silenzioso e mi ha chiesto cos'era l'anima. Io sono sbiancato, ho barcollato per qualche secondo e non avendo in dote molti strumenti per rispondergli gli ho chiesto se mi volesse bene. Lui mi ha risposto di sì, e quindi gli ho spiegato che l'anima è proprio quel bene che vogliamo agli altri e che gli altri vogliono a noi. Un sentimento che va oltre la presenza su questa terra, che trascende il presente. So bene che non è una risposta teologica, ma l'immagine di un bene che non si esaurisce, che perdura, che va oltre le cose di tutti i giorni, lo ha rasserenato e dicendolo ha rasserenato anche me. "Ti dico la verità" è un libro ma è anche lo strumento di promozione del "Progetto Mattia", ci spiega di cosa si tratta? Nel dramma io ho avuto la fortuna di avere una famiglia d'origine che mi ha aiutato a sostenere la sfida, a reggere le fatiche e le sofferenze, ma la solitudine è il dramma più grande per tutti coloro che si trovano a vivere l'angoscia della malattia. Ho pensato così che la mia storia poteva servire anche a sensibilizzare su questo fronte e che poteva diventare un viatico per attivare un progetto sociale a sostegno di famiglie con bambini e ragazzi che oggi stanno vivendo ciò che ho vissuto io. Il progetto pertanto prevede la costituzione di un "salvadanaio" entro cui verranno devoluti i ricavati del libro ed eventuali donazioni private. Il medesimo costituirà il pacchetto da cui si attingeranno le risorse per avviare interventi, nella bassa bergamasca, di sostegno nei confronti delle famiglie bisognose, con personale competente (psicologi ed educatori) individuato dall'Associazione Uno nessuno centomila (infounonessuno@libero.it). Per facilitare l'accesso a tutte le informazioni abbiamo anche aperto un sito ed una pagina Facebook. Ecco, attraverso questo progetto, io, Mattia e Viviana siamo ancora una volta famiglia, corpo unico, cellula della Comunità.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/03/2018
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ALFIE EVANS RISCHIA LA MORTE
E un giudice strumentalizza le parole del Papa. Gli interventi di Colombo, Sgreccia e Bellieni.
di Caterina Giojelli - Fonte: Tempi, 08/03/2018
Morte procurata dai medici, la stessa somministrata a Charlie Gard, la stessa che sta per venire somministrata ad Alfie Evans: dopo che la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha dichiarato inammissibile il ricorso dei genitori, il King's College di Londra ha interrotto i supporti vitali di Isaiah Haastrup come stabilito dal verdetto dell'Alta Corte britannica: il piccolino, grave e invalido dal giorno del parto drammatico avvenuto un anno fa, è morto dopo aver respirato per oltre sei ore da solo tra le braccia dei suoi genitori. Stesso destino che, a meno di un miracolo, attende anche Alfie, 21 mesi, ricoverato a Liverpool: i giudici londinesi della Corte d'appello hanno confermato la sentenza di primo grado: continuare a vivere per il bimbo affetto da una malattia rara e ancora sconosciuta non è «nel suo migliore interesse». Proprio il caso di Alfie viene oggi affrontato in un puntuale intervento, pubblicato su ildonodellavita.it e sottoscritto dal cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, dal professor don Roberto Colombo, docente di biochimica alla facoltà di Medicina e Chirurgia A. Gemelli. In base ai dati clinici disponibili, raccolti e riassunti nella sentenza del giudice Hayden del 20 febbraio, Colombo spiega che, pur di fronte ad una patologia non contrastabile con le conoscenze diagnostiche e terapeutiche disponibili, dunque, ad una malattia attualmente "inguaribile", «il bambino, secondo il criterio cerebrale di accertamento della morte, non è considerato come deceduto. E neppure versa in prossimità della morte, la quale, pur prevedibile sulla base del quadro clinico neurodegenerativo, potrebbe verificarsi anche a distanza di parecchio tempo». Non solo. I genitori, Kate James e Thomas Evans, non stanno chiedendo di sottoporlo ad una terapia, ma che questo figlio possa continuare a vivere «tutti i giorni che gli restano da vivere (quanti, nessuno lo può dire), circondato da amorevoli cure essenziali che il personale sanitario e loro stessi possono dargli per tutto il tempo che sarà necessario». In pratica chiedono cure palliative che se autentiche «uniscono al controllo dei sintomi (incluso quello del dolore, con una appropria analgesia che può giungere, in alcuni casi, alla sedazione a scopo analgesico, quando ogni altro approccio antalgico risulta inefficace) la fornitura di un apporto idratativo, nutrizionale e, ove richiesto dalla fisiopatologia respiratoria, anche ventilatorio». A questo proposito, spiega Colombo, da quanto si apprende dalla sentenza del giudice britannico, i medici del Bambino Gesù, nell'offrire la loro consulenza per la cura palliativa di Alfie e la disponibilità a realizzarla presso il loro ospedale vaticano, hanno prospettato come appropriato «che venga eseguito un prolungato supporto ventilatorio con una tracheostomia chirurgica. Nutrizione e idratazione sono state fornite artificialmente da diversi mesi attraverso un tubo nasogastrico, ed è evidente l'indicazione di una gastrostomia» (Peg) per continuare questi due supporti vitali nel passaggio alle cure palliative che accompagneranno il paziente fino all'esito terminale della sua malattia, senza anticiparne la morte. Ma quanto chiesto dai medici di Liverpool e deciso dal giudice Hayden sembra andare – come avvenne per Charlie Gard – nella direzione di una concezione della palliazione che ha uno scopo e applica dei protocolli differenti: trattamento con analgesici e sedazione profonda non servirebbero esclusivamente a controllare i sintomi algici derivanti dalla patologia , ma verrebbe attuato – con altre composizioni e dosaggi diversi – al fine evitare la sofferenza del piccolo paziente in conseguenza della sospensione dei supporti vitali (ventilazione, idratazione e nutrizione), «sospensione che risulterebbe la causa prossima del suo decesso anticipato attraverso un atto eutanasico omissivo». Sorprende inoltre che nel verdetto della Corte di Giustizia londinese venga citato per esteso, a sostegno della motivazione della sentenza, un ampio brano del Messaggio di papa Francesco del 7 novembre scorso: «In nessuna delle parole del Papa da lui citate (e in nessun passo del Messaggio o di altri testi di papa Francesco e del Magistero cattolico precedente) tale riconosciuto "supplemento di saggezza" considera come uno scrupolo deprecabile il continuare a fornire al malato inguaribile il supporto fisiologico che gli consente di vivere. Al contrario, un simile sostegno vitale non terapeutico – "nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta a quesiti della Conferenza episcopale statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali, 2007) – non può mai venire lecitamente interrotto. Farlo significherebbe anticipare intenzionalmente con un atto omissivo la morte del paziente, pur inevitabile nel tempo, e questo non rientra negli scopi delle cure palliative né in altro compito della medicina». Non solo, gli stessi medici di Alfie hanno constato uno «stato semi-vegetativo» – condizione clinica che lo avvicina a quella oggetto del discernimento operato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede – ma «se è vero, come ricorda una parte del Messaggio del Papa non citata dal giudice britannico, che dobbiamo "sempre prenderci cura" del malato "senza accanirci inutilmente contro la sua morte", nello stesso paragrafo il Santo Padre ci ricorda il dovere morale di curarlo "senza abbreviare noi stessi la sua vita". Perché "l'imperativo categorico" – sono sempre le sue parole, anch'esse non riportate nella sentenza – "è quello di non abbandonare mai il malato", di non scartare alcuna vita umana condannandola ad una morte anticipata perché giudicata (con che diritto?) non degna di essere vissuta». Se una sentenza intende giustificare un ulteriore passo verso la "cultura dello scarto e della morte", conclude Colombo nel suo intervento sottoscritto da Sgreccia, «non lo faccia usando strumentalmente alcune parole del Papa, il cui significato, nel testo stesso e nel contesto del Magistero della Chiesa, si muove nella direzione opposta, quella della "cultura dell'accoglienza e della vita", di ogni vita umana che ha origine da Dio da Lui solo è fatta giungere al termine dell'esistenza terrena». Contro la morte procurata di Isaiah e Alfie e le ambiguità sul dolore, si è scagliato anche Carlo Bellieni, neonatologo senese, una vita in Terapia intensiva neonatale che da vent'anni studia il dolore nel bambino ed è autore di un'imponente letteratura nel settore: «Questi casi di sospensione della ventilazione a bambini molto piccoli e gravissimi reclamano chiarezza sul fatto che è inaccettabile che si sospendano le cure a chi ha possibilità di continuare una vita, seppur con disabilità o addirittura con grave danno cerebrale se le cure non sono futili; e che la futilità o la gravosità devono venire oggettivate da dati misurabili». Bellieni cita oggi su Avvenire i dati inquietanti provenienti dall'Olanda e pubblicati sulla rivista Acta Paediatrica di febbraio: si possono sospendere le cure in base alla qualità di vita attesa. Nell'avanzare di una "medicina consumistica" (per ottenere ciò che si chiede) o una "medicina delle scorciatoie", che si arrende troppo presto «per la pigrizia di non aver raccolto tutti i dati o per il pregiudizio», il rischio, spiega Bellieni, è che dunque «si sospendano le cure non per inutilità o insopportabilità ma di fronte a una vita con disabilità grave. Ma disabilità non significa necessariamente sofferenza, se non nei casi in cui la medicina sa e deve misurare, diagnosticare e curare per via ordinaria o con palliazione, arrendendosi solo nell'impossibilità di trattarla». In altre parole, se una cura dà dolore e il dolore è incurabile, essa va sospesa. Ma esiste davvero un modo per misurare il dolore in chi non parla o è addirittura in coma? Bellieni risponde di sì, «misurando ad esempio il livello di cortisolo o adrenalina, ormoni che sono segno di stress» o valutando altri indicatori di disagio, «come lo stato del sistema nervoso autonomo». Perfino in casi di adulti gravi è possibile determinare quanto il livello di depressione o ansia patologica alterino la lucidità nelle richieste di fine vita, fenomeni su cui si può e si deve intervenire secondo la rivista Psyco-oncology. «Troppe volte abbiamo sentito motivare sui media richieste di sospendere le cure con l'interesse del paziente, per evitargli sofferenze senza capire se questa fosse reale. Ora abbiamo strumenti che ci aiutano a determinarlo e non si può non tenerne conto».
Fonte: Tempi, 08/03/2018
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