Amici del Timone n�55 del 01 maggio 2016

Stampa ArticoloStampa


1 TUTTE LE BUGIE DELLA CGIL E DEL CONSIGLIO D'EUROPA SULL'OBIEZIONE DI COSCIENZA
Per difendere l'omicidio legalizzato dei bambini si vuole negare il diritto dei medici di essere obiettori, basandosi su dati falsi
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 PER PARLARE DI ABORTO SI DEVE GUARDARE LA REALTA'
L'omicidio di un bambino resta tale anche se gli si cambia nome
di Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 IL MONDO DOMINATO DALLE COMUNICAZIONI HA RESO LA PORNOGRAFIA UN FENOMENO DILAGANTE
I numeri spaventosi di una piaga sottovalutata
di Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 IN SARDEGNA UN UOMO TRANSESSUALE GIOCA NELLA PALLAVOLO FEMMINILE
Intanto a Madrid si fornirà una terapia ormonale ai bambini che manifestino dubbi sulla propria identità (per la serie: ecco come ti squilibro l'infanzia)
Fonte: UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali)
5 L'AGNELLO (ANIMALE) AL POSTO DELL'AGNELLO DI DIO
L'eresia animalista allontana da Dio idolatrando la creatura e così ci si commuove per gli animali e non per i cristiani crocifissi
di Benedetta Moreschini - Fonte: Blog di Costanza Miriano
6 IN SVEZIA DOPO I MATRIMONI GAY VOGLIONO LEGALIZZARE ANCHE INCESTO E NECROFILIA (SESSO CON I MORTI)
Aprire all'impudicizia significa dar libero sfogo agli istinti più immorali... con le ovvie conseguenze che vediamo
di Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
7 MARCIA PER LA VITA A ROMA
Sbagliato arrendersi e smettere di lottare contro l'omicidio legalizzato
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 L'ETICA LAICA ESISTE?
Il discernimento tra bene e male presente in ciascuno di noi non è esercizio di ragione ma la firma di Dio
Fonte: UCCR online

1 - TUTTE LE BUGIE DELLA CGIL E DEL CONSIGLIO D'EUROPA SULL'OBIEZIONE DI COSCIENZA
Per difendere l'omicidio legalizzato dei bambini si vuole negare il diritto dei medici di essere obiettori, basandosi su dati falsi
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/04/2016

Nel gennaio del 2013 la Cgil aveva presentato un reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa sulla «violazione del diritto alla salute delle donne e dei diritti lavorativi dei medici non obiettori di coscienza determinata dall'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza e dalla disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni in materia di accesso all'interruzione volontaria di gravidanza». L'aborto è diventato una questione sindacale.
Il Consiglio d'Europa, dopo più di tre anni, ha dato ragione alla Cgil. «Le donne che cercano accesso ai servizi di aborto», si legge nelle conclusioni elaborate dal Consiglio, «continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell'ottenere l'accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge. In alcuni casi, considerata l'urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all'estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall'accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78».
Tutto questo può «comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute». Infine, le strutture sanitarie «non hanno ancora adottato le misure necessarie per rimediare alle carenze nel servizio causate dal personale che invoca il diritto all'obiezione di coscienza, o hanno adottato misure inadeguate». In merito, invece, alla discriminazione che subiscono i medici abortisti, questi sono vittime di «diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti».
Prima di spiegare perché, dati alla mano, tutto quanto ha affermato il Comitato europeo dei diritti sociali ha la portata di una menzogna di dimensioni altrettanto europee, sottolineiamo un inciso del passaggio prima citato che è rivelatore di come in Europa si intenda l'aborto. Il Consiglio afferma che alcune difficoltà interne alle strutture ospedaliere possono dissuadere le donne dall'aborto. Ma la legge 194 fa intendere che l'aborto deve essere l'extrema ratio e che consultori, ospedali, medici dovrebbero far di tutto per dissuadere la donna da questa scelta (poi che la norma sia scritta in un modo tale che questi oneri possano tranquillamente rimanere sulla carta è un altro discorso). Se una donna decide di non abortire perché ci sono lungaggini amministrative- operative, vuole dire che il pericolo alla sua salute non era così serio come invece prevede la legge all'art. 4 e che dunque non c'era necessità di abortire. Per paradosso, l'ospedale che si attarda a procurare un aborto, seppur in modo irrituale, ha fatto il suo dovere: stornare la donna dalla decisione di abortire. Ma per il Consiglio l'aborto ex lege 194 non deve essere l'ultima spiaggia, ma la prima scelta.
Inoltre, il Consiglio afferma esplicitamente che la legge 194 considera l'aborto come diritto. Molti, anche in casa cattolica, sostengono invece che la 194 qualifica l'aborto come reato con alcune scriminanti. Ma non è così, l'aborto è un vero e proprio diritto soggettivo, così come limpidamente affermato dal Consiglio d'Europa. Veniamo però al punto principale: i troppi obiettori non permettono alle donne di abortire in tempi ragionevoli. Magari fosse vero. Volentieri vorremmo dare ragione al Consiglio d'Europa e ci potremmo solo rallegrare di questo. E, invece, in Italia chi vuole abortire di certo non trova un inciampo nei medici obiettori. Sono diverse le fonti che lo confermano.
La relazione sullo stato di attuazione della 194 consegnata in Parlamento lo scorso novembre afferma che il numero di non obiettori è congruo rispetto al numero di aborti effettuati. Infatti, su 44 settimane lavorative, il medico abortista deve compiere meno di due aborti a settimana (cfr. R. Puccetti Il diritto all'obiezione di coscienza nelle professioni medico-sanitarie), procedura poi che dura meno di un quarto d'ora. Un carico di lavoro non solo, ahinoi, facilmente smaltibile, ma che negli anni sta sempre più diminuendo. Infatti, dal 1978, anno del varo della 194, a oggi il numero di aborti chirurgici diminuiscono e il numero di medici abortisti sostanzialmente rimane invariato. Quindi sempre meno lavoro da spalmare sullo stesso numero di non obiettori.
Nel 2013, quando si accese furiosa la caccia all'obiettore, il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, in occasione della relazione sulla 194 di allora, volle chiudere le polemiche esprimendosi con queste adamantine parole: «eventuali difficoltà nell'accesso ai servizi, quindi, sono probabilmente da ricondursi a una distribuzione non adeguata degli operatori fra le strutture sanitarie, all'interno di ciascuna regione». Insomma, eventuali ritardi nella soppressione industriale dei bambini sono da imputarsi a problemi organizzativi degli ospedali, non agli obiettori. La Lorenzin, nella medesima occasione, aveva anche illustrato i risultati di un'indagine voluta dalla Camera su tutto il territorio nazionale per verificare se i medici obiettori fossero un ostacolo alle procedure abortive. Ecco cosa disse in proposito il ministro: «I dati della relazione indicano che relativamente all'obiezione di coscienza e all'accesso ai servizi la legge ha avuto complessivamente una applicazione efficace».
Nel 2012, il Comitato Nazionale di Bioetica, ente di consulenza del governo, redige un documento dal titolo "Obiezione di coscienza e bioetica". In esso, dopo molte tabelle piene di numeri, così si conclude: «sulla base dei dati disponibili si vede come in alcune regioni all'aumentare degli obiettori di coscienza diminuiscano i tempi di attesa delle donne, e, viceversa, in altre regioni al diminuire del numero di obiettori aumentino i tempi di attesa, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare. In altre parole, non è il numero di obiettori di per sé a determinare l'accesso all'ivg, ma il modo in cui le strutture sanitarie si organizzano nell'applicazione della legge 194/78. Non c'è correlazione fra numero di obiettori e applicazione della legge. In sintesi: le modalità di applicazione della legge (tra cui i tempi di attesa ndr) dipendono sostanzialmente dall'organizzazione regionale, risultato complessivo di tanti contributi che, naturalmente, variano da regione e regione». Avete letto bene: per paradosso dove ci sono più obiettori le procedure abortive durano meno e viceversa. Esattamente l'opposto di ciò che ha sostenuto il Consiglio d'Europa.
Infine, è da ricordare un dato banale, ma significativo. Dal 1978 ad oggi quanti medici o ospedali sono stati trascinati in giudizio perché non avevano soddisfatto le richieste abortive delle donne? Zero. Tutti gli aborti richiesti sono stati eseguiti. Che dire poi della discriminazione che subirebbero i medici abortisti? É palesemente falsa. Anzi è vero tutto il contrario. In tutte le professioni vengono avvantaggiati coloro i quali possono offrire più servizi.
Quando il fronte pro-choice sostiene che i medici non obiettori non bastano, si fa un autogol clamoroso. Infatti, i presunti pochi non obiettori sono ricercatissimi e non di certo messi all'angolo perché devono fare tutto quel lavoro che non sono disposti a compiere i loro colleghi pro-life. E dato che alcuni ospedali non hanno medici abortisti, devono chiamarli da fuori e il medico non obiettore che viene da un'altra struttura è remunerato in modo considerevole.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/04/2016

2 - PER PARLARE DI ABORTO SI DEVE GUARDARE LA REALTA'
L'omicidio di un bambino resta tale anche se gli si cambia nome
di Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/04/2016

Anche se nessuno la guarda, ancora una volta la realtà si impone mostrando l'ipocrisia delle argomentazioni con cui si è rimessa in discussione l'obiezione di coscienza, dopo che l'Europa ha condannato l'Italia perché non garantirebbe un adeguato accesso all'aborto. Al di là del fatto che i numeri del governo dimostrano l'opposto, la sentenza europea parla di violazione in nome del "diritto di salute della donna". Mentre invece, come ha scritto settimana scorsa su Salon la femminista abortista Camille Paglia, accusando la stessa sinistra di mistificare la realtà nascondendosi dietro a un presunto "attacco alla salute delle donne", bisognerebbe chiedersi: "Chi è la vera vittima qui?".
A gridarlo ai sapienti, oltre al piccolo Down sopravvissuto a 23 settimane a un aborto e lasciato morire in un ospedale di Varsavia, è la vicenda di un altro neonato. Anche questa emersa appena qualche giorno fa a far traballare, insieme all'impalcatura della legge polacca, anche quella inglese, che permette l'aborto fino alla 24esima settimana e in ogni momento se il bambino è handicappato. «Il fatto che avrei potuto abortire oltre la data in cui è nata è una vergogna assoluta, mi fa venire il mal di pancia», ha dichiarato Fionnuala McArdle, mamma della piccola Meabh, partorita l'anno scorso a Belfast, dove la legge abortista è più restrittiva rispetto al resto del Regno Unito.
La donna dopo due aborti spontanei aveva rischiato di perdere anche Meabh: «Quando fui ricoverata in ospedale in procinto di partorire, i dottori mi dissero che aveva pochissime possibilità di vita». Sopravvissuta al parto la piccola è rimasta mesi in ospedale subendo cinque operazioni. Non solo, perché Meabh, affetta da un difetto congenito al cuore e sofferente per la mancanza dell'apporto di ossigeno necessario, aveva «il 50 per cento delle possibilità di diventare cieca».
Ora la bambina è salva e, contro ogni calcolo probabilistico, sta bene. Ma ricordando i mesi di battaglia sua madre ha ribadito che «mi si spezza il cuore pensando che le persone possano abortire un bambino». E sebbene sia «stata la cosa più spaventosa che abbia mai attraversato, ne è valsa la pena», perché «ogni bambino ha diritto a una possibilità». Fionnuola ha voluto raccontare la sua storia mostrando le foto della figlia che con la manina stringe il dito della madre, proprio perché si veda «com'era a 23 settimane».
Piaccia o no, questa è la realtà dell'aborto. E, come ha notato Paglia, bisognerebbe avere l'onestà di ammetterlo. Se non per coraggio almeno per rispetto della propria intelligenza. Eppure, non c'è traccia del bambino nei dibattiti sull'aborto e sull'obiezione di coscienza, dove se non si sente parlare del diritto della madre si sposta l'attenzione su quello dei medici di obiettare. Sempre e solo contrapponendo due volontà sganciate da un bene oggettivo e quindi impedendo una risoluzione del problema.
L'unica possibilità di uscire dal cortocircuito, spesso considerata troppo rischiosa da entrambe le parti, è quella che tiene conto dell'esistenza del bambino. Sebbene occorra poi ammettere, da una parte, che l'aborto è la legalizzazione dell'infanticidio e, dall'altra, che finché il diritto alla vita non sarà affermato con l'abrogazione della legge 194 l'obiezione di coscienza rimarrà sempre in pericolo. Eppure, la verità è così evidente che persino la scrittrice Flavia Piccinini, intervistata dal blog La 27ora, pur cercando di negarla deve riconoscere citando la protagonista del suo ultimo libro: «Lea non ha particolari remore nei confronti di quello che ha fatto, ma ha qualcosa di annidato nel suo inconscio che le dice hai sbagliato. Lea sa di non aver sbagliato, ma quella voce c'è. Non ha sbagliato, ma prova vergogna per averlo fatto».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/04/2016

3 - IL MONDO DOMINATO DALLE COMUNICAZIONI HA RESO LA PORNOGRAFIA UN FENOMENO DILAGANTE
I numeri spaventosi di una piaga sottovalutata
di Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/04/2016

Oltre 87 miliardi di video pornografici visualizzati in un anno (una media di 12 filmati per persona vivente) e 4 miliardi di ore spese sul canale PornHub (un periodo di tempo pari a oltre 500 anni). Il 25 per cento delle ricerche internet è legato alla pornografia e, secondo numerosi sondaggi, il numero degli adolescenti che ne hanno fatto uso almeno una volta oscilla fra il 70 e l'80 per cento. Solo la Cina, che rappresenta il 28 per cento dell'industria hard già nel 2006 fatturava oltre 27 miliardi. «La pornografia è una vera piaga che si sta diffondendo e in maniera prepotente fra i giovani. A volte, purtoppo, anche attraverso gli accessi a internet dei genitori. E quando diventa una dipendenza è causa di depressioni, disagi relazionali e divorzi». A parlare di un fenomeno dalle dimensioni mastodontiche, seppur nascoste, è la psicoterapeuta inglese Olivia Raw esperta di problematiche legate all'infanzia e all'adolescenza.
Recentemente il Washington Post ha pubblicato alcuni dati ammettendo che la pornografia ha assunto dimensioni tali da essere una minaccia per la salute pubblica, come dichiarato anche dal parlamento dello Utah.
Lo è in quanto distorce la visione e il comportamento normali delle persone. I giovani dipendenti dalla pornografia non sanno più distinguere la realtà dalla finzione e sprecando tutto il loro eros di fronte al computer cadono nella depressione e nell'apatia. Attraverso la visione della pornografia e l'autoerotismo, si innestano nel cervello processi chimici per cui il soggetto diventa sempre più insensibile alle scene hard, spingendosi quindi a cercare piacere in immagini sempre più estreme. E invece che trovare il conforto e la confidenza che cerca non fa che incrementare la sfiducia in sé e negli altri, anche assumendo atteggiamenti aggressivi. Tramite la pornografia si perde anche di virilità e femminilità: disperdendosi la forza erotica non riesce ad elevarsi. Anche per questo la pornografia indebolisce la persona e la forza dei suoi rapporti sociali.
Dunque la nostra società abbattendo i limiti del desiderio e dell'eros finisce per essere sempre più depressa. È un bel paradosso.
Questo accade perché l'eros e il desiderio senza limiti vengono dissipati, conducendo alla perdita della creatività che nasce dalla sublimazione: cioè dall'incanalare attraverso degli argini la forza erotica, affinché prenda potenza e si trasformi in agape. Questa è un danno per tutta la società, anche perchè l'eros disordinato è distruttivo: diversi studi dimostrano che un'alta percentuale di persone accusate di molestie sessuali ha dichiarato di aver fatto uso di pornografia. Dal punto di vista sociale si rischia poi la perdità della percezione della gravità della violenza sessuale, della fiducia nelle relazioni stabili e nel matrimonio come istituzione perenne e della concezione della monogamia come naturale.
La pornografia ha anche generato un mercato mondiale milionario, basta il business a spiegarne la diffusione?
Siamo in una società ipersessualizzata. I bambini fin da piccoli sono esposti a immagini che ormai consideriamo normali e che appaiono su tutti i giornali, le tv, i muri delle nostre città, le metropolitane e i bus. Il livello di sessualizzazione era già preoccupante, ma ora, grazie a internet, agli smartphone e ai tablet, il tasso di esposizione dei giovani è senza precedenti. E' impressionante assistere alla sottomissione delle ragazzine che alla richiesta dei maschi di fotografarsi nude acconsentono senza farsi problemi. Con i genitori, che spesso, di fronte alle brutalità della cronaca, si illudono che finché i figli staranno nelle loro stanze saranno al sicuro. Penso che oggi non ci sia pericoloso maggiore di un ragazzo chiuso in camera da solo con un computer.
Se la dipendenza è sempre segno di un disagio, quale mancanza spinge verso la pornografia?
Il 90 per cento dei casi che prendo in carico viene da situazioni familiari difficili, in cui se i genitori non sono divorziati, hanno comunque problemi relazionali fra loro e con i figli. La crisi della famiglia è la prima causa della frustrazione e del dolore del bambino, il quale trova come unica soluzione il piacere momentaneo che gli offre il mondo. A ciò si aggiunge il fatto che i genitori si comportano come degli amici anziché essere autorevoli e quindi capaci di porre i limiti necessari allo sviluppo sano dei ragazzi.
Come mai se si sente parlare di omosessualità, di droga o di dipendenza da internet, di questo fenomeno si parla poco anche nel mondo cristiano?
Il problema è così diffuso che si teme di giudicarlo per non urtare le persone, dimenticando però che chi soffre una dipendenza ha bisogno di essere aiutato a prendere consapevolezza della natura del proprio disagio. Credo che i primi a doversi interrogare su questa piaga siano gli adulti e le famiglie. Mentre i governi e i parlamenti, se vogliono davvero fare qualcosa, devono impedire che i media diffondano immagini pornografiche o comunque volgari. Servono leader politici e religiosi coraggiosi e psicoterapeuti fortemente legati a una visione cristiana dell'uomo. Soprattutto bisogna che gli uomini e le famiglie ritornino a credere e quindi ad educare.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/04/2016

4 - IN SARDEGNA UN UOMO TRANSESSUALE GIOCA NELLA PALLAVOLO FEMMINILE
Intanto a Madrid si fornirà una terapia ormonale ai bambini che manifestino dubbi sulla propria identità (per la serie: ecco come ti squilibro l'infanzia)
Fonte UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali), 09/03/2016
Fonte: UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali), 09/03/2016

5 - L'AGNELLO (ANIMALE) AL POSTO DELL'AGNELLO DI DIO
L'eresia animalista allontana da Dio idolatrando la creatura e così ci si commuove per gli animali e non per i cristiani crocifissi
di Benedetta Moreschini - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 02/04/2016
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 02/04/2016

6 - IN SVEZIA DOPO I MATRIMONI GAY VOGLIONO LEGALIZZARE ANCHE INCESTO E NECROFILIA (SESSO CON I MORTI)
Aprire all'impudicizia significa dar libero sfogo agli istinti più immorali... con le ovvie conseguenze che vediamo
di Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 26/02/2016
Fonte: Corrispondenza Romana, 26/02/2016

7 - MARCIA PER LA VITA A ROMA
Sbagliato arrendersi e smettere di lottare contro l'omicidio legalizzato
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/04/2016

«Quando la notte guardo Miriam mi rendo conto che non poteva essere un grumo di cellule, ma solo mia figlia, solo Miriam, e per questo non potrà mai deludermi!». Queste sono le parole della mamma di Miriam, giovane studentessa universitaria che voleva abortire. La sua amica Sara, meno di un anno fa, le aveva fatto ascoltare una canzone intonata dal palco della Marcia per la Vita svoltasi a Roma nel 2015. La musica e soprattutto le parole di quella canzone hanno fatto breccia del cuore della giovane mamma che ha deciso di far nascere la figlia che custodiva in grembo.
Questo è alla fine il senso ultimo della Marcia per la Vita (clicca qui per il programma completo) che quest'anno si svolgerà proprio l'8 maggio, festa della mamma: scuotere le coscienze, quelle coscienze che considerano abortire fatto normale come respirare. Se anche una sola vita sarà salvata grazie a questa iniziativa ne sarà valsa la pena. Scopo finale della Marcia allora è quello di non aver più ragione di essere organizzata, di essere cancellata dal calendario dei pro-life, perché ormai gli anticorpi della società saranno in grado da soli di lottare contro tutte le minacce rivolte alla vita nascente e morente.
Il cardinal Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lettera di due pagine indirizzata a Virginia Coda Nunziante, portavoce della Marcia, benediceva questa sesta edizione con le seguenti parole: «di cuore mi congratulo con tutti coloro che si adoperano per difendere, promuovere e tutelare in ogni modo la vita umana, dato che questa si pone al vertice di quei beni che sono irrinunciabili e che costituiscono valori talmente essenziali da non consentire deroga, eccezione o compromesso a loro riguardo». Forse il minimo comun denominatore di ogni partecipante alla Marcia è proprio questo: la radicalità nel rifiutare qualsiasi compromesso sulla vita umana.
Un "No" tondo tondo che fa il paio con un "Sì" altrettanto rotondo nel difendere la vita in ogni circostanza. É il significato originario di ortodossia: un giudizio retto, cioè diritto, che non tollera deviazioni, che non deflette perché conscio che via più veloce e più pulita per arrivare alla verità è propria quella retta. Anche quest'anno i partecipanti verranno da mezzo mondo. Francia, Olanda, Spagna, Polonia, Romania, Germania, Svizzera, Croazia, Slovenia, Romania, Irlanda, Malta, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti: da questi Paesi molti pro-life l'anno scorso hanno marciato per le vie di Roma ed altrettanti lo faranno a maggio.
Gli organizzatori, proprio perché la Marcia si svolge un mese prima delle amministrative, vogliono sottolineare che l'iniziativa, così come è accaduto negli anni precedenti, ha carattere apolitico. Questo perché il suo Dna è soprattutto culturale e, si voglia chiudere un occhio sul termine un po' impreciso ma forse suggestivo ed evocativo, esistenziale. La Marcia, infatti, da una parte vuole essere un richiamo per cuori e menti non solo dei credenti, ma di tutti coloro che hanno per l'appunto un cuore battente e una mente pensante. Ecco il perché di incontri culturali, conferenze e convegni che negli anni precedenti, come in quello presente, si sono svolti nei giorni prima della Marcia. Il valore "esistenziale" dell'iniziativa romana sta invece nel dare voce non solo a intellettuali, giuristi e alti prelati, ma anche e soprattutto a chi ha guardato in faccia l'aborto di persona. Donne che hanno abortito, bambini salvati dall'aborto con la presenza delle loro madri si alterneranno sul palco per raccontare la loro esperienza.
La Marcia riuscirà ad eguagliare il numero di partecipanti del Family Day? Quasi certamente no. Per quale ragione? Il motivo è duplice. Da una parte il popolo cattolico ed anche chi sta ai piani alti è arciconvinto che indietro non si torna e che la battaglia sull'aborto è persa in modo definitivo. Inutile chiamare a raccolta le truppe dato che da tempo tra capi di Stato maggiore cattolici e quelli abortisti è stato firmato un trattato di non belligeranza a tempo indeterminato che ha consegnato mani, piedi e le nostre intelligenze migliori al nemico. In cambio abbiamo avuto pillole abortive, fecondazione artificiale, divorzi istantanei e "nozze" gay. Non male. Al suo confronto il Trattato di Versailles è stato una benedizione per i tedeschi. Inutile a dirsi che questa anoressia culturale che ammorba lo spirito di rivincita deriva in ultima istanza dalla mancanza di fede di molti. Satana sarà pure il principe di questo mondo, ma è Dio il Signore della storia e a Lui niente è impossibile.
Altra ragione per cui i numeri della Marcia per la vita non saranno quelli del Family è quella a cui abbiamo fatto cenno prima: l'aborto è diventato fenomeno assorbito dai più, metabolizzato, interiorizzato come pratica normale. Il compianto Mario Palmaro, già membro del Comitato organizzatore della Marcia, ebbe a scrivere una volta che, di fronte alla spaventosa carneficina dell'aborto, le coscienze erano come anestetizzate, narcotizzate, in preda ad un attacco decennale di letargia morale. Ciò non è ancora accaduto – ma è probabile che accada in futuro – per i temi legati alla teoria del gender e all'omosessualità, temi che, almeno sino ad oggi, vengono percepiti da una buona fetta di mondo cattolico come un grave pericolo per l'istituto della famiglia. Ecco allora un appello a tutti coloro che si sono riuniti al Circo Massimo a gennaio: partecipate anche voi alla Marcia perché se ritenete abominevole uccidere la famiglia a maggior ragione dovreste giudicare altrettanto abominevole uccidere un bambino.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15/04/2016

8 - L'ETICA LAICA ESISTE?
Il discernimento tra bene e male presente in ciascuno di noi non è esercizio di ragione ma la firma di Dio
Fonte UCCR online, 05/03/2016

Secondo Richard Dawkins, il più famoso militante ateo del mondo (anche se poi si è definito agnostico, ed infine cristiano culturale), «l'universo che osserviamo ha precisamente le caratteristiche che dovremmo aspettarci se non vi è, in fondo, nessun disegno, nessuno scopo, nessun male e nessun bene, nient'altro che una cieca e impietosa indifferenza» (R. Dawkins, River out of Eden, p. 131,132).
L'ex zoologo inglese ha ragione: senza Dio non può esistere alcuno scopo all'incidente evolutivo della vita umana, così come non possono esistere i valori oggettivi e assoluti, nessun "giusto" (comportamento retto) o "ingiusto" (comportamento non retto), nessun bene e male assoluti. Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l'University of New Haven, ha spiegato: «poiché sono un ateo devo abbracciare l'amoralità. Senza Dio, non c'è moralità, niente è letteralmente giusto o sbagliato». Il bioeticista Peter Singer ha esemplificato meglio: «Se a te piacciono le conseguenze allora è etico, se a te non piacciono le conseguenze allora è immorale. Così, se ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora questo è etico, se non ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora è immorale».
Senza un Bene e un Male preesistenti all'uomo dire, per esempio, che la pedofilia è un male diventa una mera opinione, con lo stesso valore dell'opinione contraria. Chi decide, infatti, chi ha ragione? In base a quale assoluto? Tutto è relativo a cosa pensa la maggioranza per cui, in una società a maggioranza pedofila anche la pedofilia diventa un bene. Certo, un non credente può senz'altro affermare che abusare i bambini è sbagliato e si tratta di un male assoluto, che rimane tale anche se tutto il mondo pensasse il contrario. Ma la sua posizione è irrazionale perché non riesce a giustificare il fondamento assoluto della sua dichiarazione. Come spiegato dal filosofo Emanuele Severino, «in chi è convinto dell'inesistenza della verità, e in buona fede rifiuta la violenza, questo rifiuto è, appunto, una semplice fede, e come tale gli appare. E, non esistendo la verità, quel rifiuto della violenza rimane una fede che, appunto, non può avere più verità della fede (più o meno buona) che invece crede di dover perseguire la violenza e la devastazione dell'uomo» (C.M. Martini, "In cosa crede chi non crede?", Liberal 1996, p.26).
E' stato proposto recentemente un esperimento mentale per capire meglio tutto questo. Immagina di essere un atleta sano di 20 anni sulla riva di un grosso fiume in piena. All'improvviso noti qualcosa nell'acqua e ti rendi conto che è una persona che sta annegando, è una donna anziana in preda al panico, senza fiato. Vagamente la riconosci come una povera vedova del villaggio vicino, ti guardi attorno ma non c'è nessuno, sei da solo. Hai pochi secondi per decidere se restare fermo oppure tuffarti e salvarla, consapevole che così facendo metterai la tua vita in serio pericolo. E' razionale rischiare la vita per salvare questa straniera? E' moralmente buono farlo?
Il cristiano, ad entrambe le domande, può rispondere un deciso "sì". Non c'è vita che non abbia un valore assoluto, perché voluta da Dio e non dal caso evolutivo. Siamo chiamati ad emulare l'esempio di Gesù che, non solo ha rischiato ma addirittura sacrificato la sua vita per il bene degli altri. La coscienza non è un'illusione, un epifenomeno del cervello che si può tranquillamente trascurare, e ci spinge a tuffarci nell'acqua. Per l'umanista secolare, invece, nascono grossi problemi e dilemmi. Tutto è soggettivo, biologicamente ed evolutivamente parlando il giovane del nostro scenario non ha nulla da guadagnare nel tuffarsi per salvare la donna, lei è povera ed anziana e non otterrà alcun vantaggio finanziario o riproduttivo. L'umanista secolare potrebbe riconoscere, intuitivamente, che il mettere a disposizione la propria vita per salvare l'anziana è una buona azione, un'azione morale. Ma non ha alcuna base razionale per dirlo e farlo, la decisione è tra l'empatia verso un estraneo (da una parte) e l'utilitaristico interesse personale dall'altro. Se il giovane deciderà di sedersi e guardare annegare la donna, l'umanista secolare non può criticarlo. Ha semplicemente agito in modo razionale. «Niente è letteralmente giusto o sbagliato», ci spiegano i filosofi atei.
Questo è effettivamente un esempio calzante che abbatte l'esistenza di una presunta etica o morale laica. Ovviamente, non significa che l'ateo non può prendere decisioni etiche, tutti abbiamo amici non religiosi che vivono vite estremamente morali e ammirevoli. Il problema è che queste loro decisioni non possono essere giustificate se non su mere ed effimere opinioni e gusti personali, non ci sono imperativi morali vincolanti. Che sia bene sedersi ad osservare un bambino indifeso che viene torturato è un'opinione, valida quanto il suo opposto. Per lo stesso motivo, come abbiamo già scritto, chi non crede in Dio non può nemmeno credere davvero nei diritti umani.
L'"argomento morale" aiuta quindi a comprendere come chi esclude Dio dall'esistenza è poi costretto, per coerenza, ad abbracciare l'amoralità e il relativismo, a parlare solo di opinioni e sentimenti/sensazioni personali. Non di "bene" e non di "male", non di "coscienza", non di "giusto" e non di "sbagliato". L'ateo che si sente a disagio in questa condizione dovrebbe comprendere che allora esiste una legge morale dentro di noi che ci indica cosa è davvero bene (non torturare i bambini) e cosa è davvero male (torturare i bambini), e ci convince che non si tratta di una mera opinione personale ma di un assoluto che rimarrà tale per sempre, indipendentemente da tutto perché è una legge preesistente all'uomo stesso. Una coscienza che non è un'illusione, quindi, ma la firma che il Creatore ha lasciato dentro di noi.

Fonte: UCCR online, 05/03/2016

Stampa ArticoloStampa


- Scienza & Vita - Il materiale che si trova in questo sito è pubblicato senza fini di lucro e a solo scopo di studio, commento didattico e ricerca. Eventuali violazioni di copyright segnalate dagli aventi diritto saranno celermente rimosse.