Amici del Timone n�48 del 01 ottobre 2015

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1 NON E' VERO CHE IL PIANETA SOFFRE DI SOVRAPPOPOLAZIONE
Decenni di politiche demografiche basate su presupposti sbagliati
di Carlo Bellieni - Fonte: Comunità ambrosiana
2 I GRANDI SEGRETI DELLE MULTINAZIONALI DEL FARMACO
La pillola fa male ma non si può dire, perché è uno strumento di liberazione della donna e di distruzione della famiglia
di Renzo Puccetti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 ANCHE IN CINA FINALMENTE ARRIVA IL PROGRESSO DELLA COMPRAVENDITA DELLA GENITORIALITA'
L'essere umano non vale più nulla, ma in compenso valgono molto sperma e ovuli venduti sul mercato come merce preziosa
di Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 SE SI RICORRE ALLA PROVETTA L'ERRORE E' SEMPRE IN AGGUATO... E ALLORA....
Il web è invaso da storie dolciastre di gay che accolgono ogni bambino... ma la realtà è che anche tra i gay ci sono i razzisti e i cattivi.... guai a dare l'etichetta di buono solo per politicamente corretto!
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 NON E' DISCRIMINARE, MA DIRE LA VERITA'
Ecco perchè non si può essere a favore delle unioni gay
di Silvio Pecorella - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 TANTE CHIACCHIERE E NESSUNA SOSTANZA
Si dice di aiutare le famiglie, ma la verità è che nel nostro Paese nessuna parte politica ha a cuore le famiglie realmente
di Paolo Nessi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 IL DNA NON BASTA, PRIMA C'E' QUALCUNO
Non vedremo mai le dita del Musicista all'origine della sinfonia del mondo fin che le vorremmo vedere solo con lo scientismo
di Umberto Fasol - Fonte: Il Timone
8 MADRE TERESA: ''IL PIU' GRANDE DISTRUTTORE DELLA PACE E' L'ABORTO''
Nel 1979 nel discorso per l'accettazione del Premio Nobel per la pace disse: ''Se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa ci impedisce di ucciderci a vicenda? Nulla'' (VIDEO: Premio Nobel a Madre Teresa)
di Madre Teresa di Calcutta - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 COME PARLARE DI SESSO AI FIGLI
Quattro regole d'oro per educare i figli alla sessualità
di Roberta Sciamplicotti - Fonte: Aleteia
10 L'ORRIBILE COMMERCIO DI PLANNED PARENTHOOD
Ma se mio figlio può essere ucciso e buttato nei rifiuti, quale principio può impedire ai medici di venderlo? (VIDEO: gli ultimi due video della vergogna di Planned Parenthood)
di Costanza Miriano - Fonte: La Croce
11 OLIMPIADI E PARALIMPIADI: ATLETI DISABILI ANCORA DISCRIMINATI
Bellieni parla di come la nostra società sia di fatto ancora ipocrita, se non supera questo tabù
di Carlo Bellieni - Fonte: Redattore Sociale

1 - NON E' VERO CHE IL PIANETA SOFFRE DI SOVRAPPOPOLAZIONE
Decenni di politiche demografiche basate su presupposti sbagliati
di Carlo Bellieni - Fonte: Comunità ambrosiana, 13/06/2015

«Il Nyt riconosce le falsità sulla sovrappopolazione». L'occhiello dell'articolo del prof. Carlo Bellieni pubblicato oggi 13 giugno sul quotidiano Avvenire introduce la notizia: la sovrappopolazione non è mai stata un rischio reale.
Il New York Times ha pubblicato da poco un articolo intitolato «Gli orrori non realizzati dell'esplosione demografica». L'argomento è quantomai interessante. Vi ricordate gli annunci di disastri da sovrappopolazione che tanti profeti di sventura avevano fatto diventare idea-culto per le masse? Il quotidiano liberal newyorkese li ricapitola e constata che il mondo non è esploso, nonostante quelle funeste previsioni dicessero il contrario. Riporta i racconti di Harry Harrison, che dipingeva un futuro senza spazio per le nuove generazioni, e di Paul Herlich, un biologo di Stanford, autore di The Population Bomb, bibbia dell'antinatalismo e manifesto del neo-malthusianesimo.
Nel libro Herlich spiegava che «la battaglia per nutrire tutta l'umanità è persa» e, prospettando scenari di carestia, prevedeva che «nel 2000 l'Inghilterra non esisterà più», così come l'India. E così oggi sul New York Times si può annotare con ironia: «Come forse avrete notato, l'Inghilterra è ancora dei nostri. E anche l'India». Già, si moltiplicano i mea culpa di tanti profeti di sventura, impauriti forse dal fatto che ormai non nasce più nemmeno chi servirebbe a pagare le loro pensioni.
E anche l'Expo di Milano sta diventando l'occasione per riaffermare l'evidenza: basterebbe un terzo del cibo che nel mondo va sprecato (un totale di 1,3 miliardi di tonnellate) per sfamare chi soffre la fame. Il vero eccesso sono gli sprechi. Fred Pearce, intervistato dal giornale americano, spiega che alla luce dei fatti la sovrappopolazione non è mai stata un rischio reale: lo è il sovraconsumo delle risorse, e questo ricade sulla coscienza dei Paesi più ricchi, ribaltando il mantra che voleva che tutte le colpe (crescita e consumo) andassero attribuite al cosiddetto Terzo Mondo.
Eppure, in questi anni abbiamo assistito a sterilizzazioni forzate in India, politiche del figlio unico in Cina, agli effetti dei terrorizzanti scenari di sovrappopolazione prospettati nei Paesi europei, che nel frattempo sono diventati vecchi e senza bambini… Ora, se il New York Times prende una posizione così netta forse vuol davvero dire che la teoria di Ehrilich comincia a franare. Certamente perché i numeri non gli hanno dato ragione. Ma anche perché era così evidente che un mondo in cui una metà soffre di denutrizione e l'altra di obesità non si aggiusta facendo pressione sui poveri che non hanno pane e spingendo perché non abbiano nemmeno i figli che glielo procurano.
La strada è quella della sobrietà, che anche papa Francesco continua a indicare: far diventare meno avida quella porzione opulenta del mondo il cui cruccio massimo è come stare a dieta questa sera.

Fonte: Comunità ambrosiana, 13/06/2015

2 - I GRANDI SEGRETI DELLE MULTINAZIONALI DEL FARMACO
La pillola fa male ma non si può dire, perché è uno strumento di liberazione della donna e di distruzione della famiglia
di Renzo Puccetti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/09/2015

Mentre il cardinale Kasper si agita per ribaltare nel Sinodo sulla famiglia la dottrina di duemila anni della Chiesa sulla contraccezione, nella sua Germania, precisamente nella cittadina di Waldshut, il Tribunale regionale dovrà dirimere la causa di risarcimento danni intentata contro il colosso farmaceutico Bayer da Felicitas Roher, studentessa di veterinaria che nel 2009, a soli 25 anni, rischiò di morire a seguito di una grave embolia polmonare occorsa dopo avere iniziato ad assumere la pillola contraccettiva Yasmine, contenente drospirenone come componente progestinica.
Secondo il rapporto annuale della casa farmaceutica tedesca, solo negli Stati Uniti al 31 gennaio 2015 la Bayer ha raggiunto accordi senza ammissione di colpa con 9.500 donne che hanno lamentato danni derivanti dai prodotti contraccettivi contenenti drospirenone (Yasmine/Yaz) per un totale di 1,9 miliardi di dollari in risarcimenti già sborsati. Altri migliaia di casi sono pendenti o in corso di valutazione. Le pillole contenenti drospirenone, per il basso contenuto estrogenico e per le proprietà di contrasto alla ritenzione idrica e all'acne, sono state molto pubblicizzate e prescritte alle fasce di età più giovani, tra le quali, molto semplicisticamente sono state percepite come le pillole "leggere" e come tali innocue, o quanto meno meno nocive.
Le maggiori agenzie del farmaco si sono occupate ripetutamente della questione. Tra il 2011 e il 2012 l'americana Food and Drug Administration (Fda) ha condotto una revisione della letteratura anche con uno studio in proprio per giungere alla conclusione che «le donne dovrebbero parlare col loro medico circa il loro rischio trombotico prima di decidere quale metodo di controllo delle nascite usare. I sanitari dovrebbero considerare i rischi e benefici delle pillole contenenti drospirenone e il rischio della donna di sviluppare trombosi prima di prescrivere questi farmaci». Secondo un grafico della Fda la probabilità annuale per una donna di sviluppare trombosi/embolia è pari a 1-5 casi ogni diecimila, ma l'assunzione delle pillole estroprogestiniche fa crescere il rischio a 3-9 casi. Il rischio trombotico con le pillole contenenti drospirenone risulta più elevato rispetto al rischio connesso alle pillole contenenti come progestinico il levonorgestrel con differenze da studio a studio che vanno dal 50% (studio Fda) fino a raddoppiare in altri studi (Stegeman, British Medical Journal 2013).
Secondo l'Agenzia Europea del Farmaco (Ema) il rischio di trombosi venosa passa da 2 casi ogni 10.000 per le donne che non assumono pillola a 5-7/diecimila per quelle che assumono le pillole di seconda generazione e arrivare a 9-12/diecimila per le utilizzatrici di pillole al drospirenone. Nonostante questo anche l'Ema ha concluso che «i benefici dei contraccettivi ormonali combinati nel prevenire le gravidanze indesiderate continuano a superare i rischi». Questo si deve al fatto che il rischio trombotico durante la gravidanza si situa a 5-20 casi ogni diecimila utilizzatrici e raggiunge i 40-65/diecimila nei tre mesi dopo il parto.
Queste analisi ovviamente non tendono a considerare alcuni fattori come il fumo (il rischio trombotico aumenta associando pillola e fumo) e le donne in gravidanza e dopo il parto tendono a cessare di fumare. E non tengono neppure in considerazione l'effetto esercitato dalla contraccezione nello "slatentizzare" comportamenti sessualmente attivi (effetto noto come compensazione del rischio). Nell'aprile 2014 la prestigiosa rivista PLOSone ha condotto un'analisi dei casi stimabili di tromboembolia in Francia concludendo per 2.497 casi di tromboembolia ogni anno attribuibili all'uso dei contraccettivi ormonali di cui 1.831 (circa il 73%) legati alle pillole di terza e quarta generazione, categoria di cui le pillole della Bayer fanno parte. È invece pari a 19 il numero di donne morte stimato ogni anno di cui 14 connesse all'assunzione di pillole di III-IV generazione. Se consideriamo che il numero di utilizzatrici di pillola in Italia è meno della metà rispetto alle Francia, i numeri dovrebbero essere almeno dimezzati per il nostro Paese.
Certo, in termini assoluti si può dire che si tratta di piccoli numeri, ma quando un evento del genere ti colpisce personalmente allora finisce che la legge della statistica conta come il pollo di Trilussa. Recentemente mi è capitato di visitare una ragazza che ha rischiato la vita per un'embolia polmonare massiva. La ginecologa le aveva prescritto la pillola senza effettuare lo screening per la trombofilia (condizione che si caratterizza per un più alto rischio trombotico a seguito di mutazioni genetiche che alterano la bilancia emostatica). Secondo il documento di consenso CeVEAS/ISS del 2008 «non si raccomanda, né prima di prescrivere un contraccettivo estroprogestinico, né durante l'uso, l'esecuzione routinaria di esami ematochimici generici, test generici di coagulazione, test specifici per trombofilia (compresi i test genetici)».
Tuttavia, questa ragazza ad oggi soffre di una riduzione della capacità respiratoria, deve assumere ogni giorno anticoagulanti orali che le incrementano il rischio di sanguinamento, e psicofarmaci per lenire il disturbo post-traumatico che ha fatto seguito al trovarsi ad un passo dalla morte a meno di vent'anni. A qualche cardinale tardo sessantottino magari gli insegnanti dei metodi naturali di controllo della fertilità fanno storcere la bocca, ma se questa giovane donna avesse avuto la possibilità di conoscere e approcciarsi a questa possibilità, la sua vita sarebbe oggi diversa, e sicuramente migliore.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/09/2015

3 - ANCHE IN CINA FINALMENTE ARRIVA IL PROGRESSO DELLA COMPRAVENDITA DELLA GENITORIALITA'
L'essere umano non vale più nulla, ma in compenso valgono molto sperma e ovuli venduti sul mercato come merce preziosa
di Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/09/2015

Una bizzarra pubblicità sta proliferando in Cina, provocando le prime polemiche: "Non hai bisogno di dare via un rene per comprare un iPhone6s: puoi fare abbastanza soldi donando sperma!" Lo riferisce l'agenzia Asia News riportando anche la critica di studenti della facoltà di medicina, secondo i quali "è sbagliato usare il fascino degli smartphone per incoraggiare nuove donazioni di seme maschile". Ma da questo episodio si evincono due cose: che "dare via un rene" per comprare uno smart phone, in Cina potrebbe non essere solo una battuta, ma soprattutto: le banche del seme sono in piena attività, nonostante sia ancora in vigore una politica di controllo delle nascite molto restrittiva.
In Cina, nel 2013, è stata introdotta una riforma alla "politica del figlio unico", che imponeva un solo figlio per coppia. Gradualmente, provincia per provincia, a partire da quelle con il più basso tasso di natalità, sempre più famiglie hanno il permesso di portare a termine una seconda gravidanza. Difficilmente, però, questa parziale inversione di rotta, riuscirà a fermare la crisi demografica. La politica del figlio unico era in vigore dal 1979, voluta da Deng Xiaoping per controllare l'espansione della popolazione e, sulla carta, garantire un maggior benessere a tutti. Al 2012 si poteva già predire un "abisso demografico" nel decennio successivo. Secondo l'Ufficio Nazionale delle Statistiche di Pechino, la popolazione in età da lavoro avrebbe iniziato un declino sensibile nel 2016. La crisi manifatturiera che la Cina sta attraversando quest'anno è un primo sintomo di quel che avverrà a breve. Benché la Cina sia tuttora la nazione più popolosa del mondo, con 1,3 miliardi di abitanti, il tasso di fertilità, a seconda delle stime, è attualmente fermo da un minimo di 1,4 a un massimo di 1,7: per il ricambio generazionale occorre un 2,1. Questo declino demografico implica che sempre meno giovani dovranno mantenere sempre più anziani. Non solo: con la diffusione delle indagini pre-natali, buona parte degli aborti sono stati selettivi e mirati all'eliminazione di nasciture femmine. Col risultato che, al giorno d'oggi, ci sono 118 maschi ogni 100 femmine. Sempre più uomini andranno inutilmente in giro all'inutile ricerca di donne che non ci sono più.
La politica del figlio unico ha avuto un costo umano immenso, con una media di 13 milioni di aborti all'anno, 35.616 al giorno. Per toccare con mano le dimensioni dell'aborto di massa cinese, è come se ogni anno fosse scomparsa una nazione europea popolosa quanto la Grecia o il Portogallo. Queste cifre non rendono ancora l'idea di quel che è avvenuto, ogni anno, ogni giorno, e tuttora avviene sotto il diktat del "figlio unico", soprattutto nelle aree rurali: aborti forzati, sterilizzazioni forzate, veri infanticidi commessi dalle autorità quando una donna si "ostina" a portare a termine la gravidanza, denunce e delazioni di vicini di casa, multe impossibili e sequestri di case per chi trasgredisce alla regola. Una delle ragioni della riforma del 2013 era stata proprio la percezione del pericolo di rivolte sempre più estese contro la politica di denatalità forzata.
Ma come si spiega, allora, che esista un mercato della fertilità, talmente esplicito da promettere lauti pagamenti per le vendite di sperma? Perché è l'altra faccia della medaglia dello stesso fenomeno. Non appena si è aperto uno spiraglio per una maggiore natalità, i cinesi ricorrono anche alla fecondazione assistita. La campagna pubblicitaria di cui si parla, non è il caso più eclatante: nel marzo del 2013, le autorità avevano chiuso una clinica che faceva crescere embrioni in vitro e reclutava sia donatori che madri surrogate, promettendo lauti pagamenti. Si commerciano embrioni per le coppie che possono permettersi un figlio in più, sia economicamente che legalmente. Sono traffici clandestini in Cina, ma esistenti da anni. Per decenni, insomma, si è ricorso allo strangolamento artificiale della natalità, ora c'è il boom di una fertilità altrettanto artificiale. Entrambi i fenomeni rispondono a una disumanizzazione della persona non ancora nata: dopo quasi 40 anni di pianificazione familiare diventa mero oggetto da sopprimere o vendere, a seconda delle necessità.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/09/2015

4 - SE SI RICORRE ALLA PROVETTA L'ERRORE E' SEMPRE IN AGGUATO... E ALLORA....
Il web è invaso da storie dolciastre di gay che accolgono ogni bambino... ma la realtà è che anche tra i gay ci sono i razzisti e i cattivi.... guai a dare l'etichetta di buono solo per politicamente corretto!
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/09/2015

Il vecchio e buon rapporto sessuale, tra gli altri pregi, ha anche quello di farti sapere in anticipo di che colore avrà la pelle tuo figlio. Ma quando di mezzo ci si mette la tecnologia questa certezza antica come il mondo evapora. E' quello che è accaduto a Jennifer Cramblett e Amanda Zinkon, coppia lesbica dell'Ohio.
Quattro anni fa queste due signore si recano presso la Midwest Sperm Bank per trovare il semino giusto per avere un figlio bianco che più bianco non si può. Perché, così spiegano, loro vivono in una zona molto razzista ed avere un figlio di colore potrebbe essere problematico. Ma ecco che ad infrangere i loro sogni di razza caucasica interviene un maldestro tecnico di laboratorio che a posto di un otto scrive un tre. La coppia voleva il bianco donatore numero 380 ma la dea bendata della fecondazione artificiale ha estratto dall'archivio della banca del seme un numero diverso, il 330 che corrisponde ad un donatore afro-americano.
Jennifer in lacrime racconta alla televisione il suo dramma: «Amiamo nostra figlia [che ha ormai tre anni], non faremmo mai cambio con nessuno ma per noi è diventata una situazione di forte stress, e dolore». Insomma il detto "Ogni scarrafone è bello a mamma soja" non vale più da quando c'è la provetta per avere figli. La coppia dunque ama così tanto la piccola che ha deciso di fare causa alla banca del seme chiedendo 50mila dollari di risarcimento. Povera calimero, che agli occhi della madre biologica e della vice mamma lesbica vale solo qualche cucuzza. Lei che è solo un "danno" da risarcire perché nera.
«Tagliare i capelli a mia figlia è uno stress – si legge nella querela - perché per un taglio decente devo andare in un quartiere nero, lontano da dove vivo, dove almeno in apparenza non siamo i benvenuti». Un curioso caso di razzismo: la madre biologica ripudia la figlia perché di colore. Poteva accadere solo laddove l'uomo mette mano alle leggi di natura. Caso di razzismo curioso anche perché viene da una persona che appartiene ad una comunità, quella omosessuale, avvezza spessissimo a brandire il principio di non discriminazione come una clava. Non accettare qualcuno a motivo di una sua diversità è cosa blasfema, ancor più se viene da una lesbica e ancor più quando il soggetto rifiutato è sangue del proprio sangue. Bene dunque amare le differenze sessuali, ma non quelle che hanno la pelle nera.
L'avvocato della banca del seme Bob Summers taglia corto sulle speranze di risarcimento: «Non si può parlare di una nascita "illegale" in quanto la bambina è sana». Ed infatti il giudice ha respinto la richiesta di risarcimento. Avete capito? Se nasceva con qualche malattia la bambina era da considerarsi un prodotto fallato e quindi da risarcire. Qui invece si è scelto un modello bianco ed è stato recapitato per errore uno nero. Come comprarsi un vestito su Amazon e vedersi recapitato il modello giusto ma del colore sbagliato. Nulla più che un banale refuso sull'ordine di acquisto.
La coppia ha comunque avuto già il rimborso di metà delle spese sostenute. La banca del seme è un po' come se avesse detto loro: il prodotto "figlio" lo avete avuto e quindi metà del lavoro è stato fatto, però vi scontiamo metà della spesa perché non è venuto del colore che volevate. In fondo l'orrore e l'idiozia hanno una loro logica.
Jennifer poi racconta che i bancari del seme (l'espressione è ahinoi corretta) sono stati insensibili con lei. E cosa si aspettava da gente che lucra sulla morte dei bambini visto il grado di fallacia delle tecniche di fecondazione artificiale? Benvenuta cara Jennifer sul lato nascosto della luna della Fivet.
Però c'è anche un altro modo di guardare a tutta questa vicenda in bianco e nero. Il vecchio modo di mettere al mondo i bambini apriva ad una serie di incognite: nascerà bello o brutto? Sano o malato? Maschio o femmina? Stupido o vispo? Madre natura è riuscita ad instillare qualche goccia di sana alea anche nella provetta e così da tecnica che tutto vuole dominare e prevedere al fine di avere il figlio su misura e del colore desiderato, ecco che sta diventando sempre più un terno al lotto con figli scambiati già nelle provette, gameti di provenienza non certa, patologie esclusive dei nati con fecondazione artificiale. Il rimescolio della carte della vita non risparmia nemmeno i gay che vogliono diventare "genitori". Non volevate anche voi essere uguali in tutto e per tutto ad una coppia etero? Eccovi accontentati.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/09/2015

5 - NON E' DISCRIMINARE, MA DIRE LA VERITA'
Ecco perchè non si può essere a favore delle unioni gay
di Silvio Pecorella - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01/09/2015

Una disamina del disegno di legge Cirinnà, impone immediatamente, risalendo al vertice del sistema normativo italiano, la considerazione che l'art. 29 della Costituzione esprime un'opzione inequivocabile per la famiglia fondata sul matrimonio, nel solco peraltro di una tradizione giuridica pre-cristiana, e più precisamente pagana, nient'affatto omofoba. Il matrimonio, etimologicamente il dono della madre, crea, infatti, la famiglia, l'istituto su cui, in un certo qual senso, si fonda la stessa società: il seminarium Rei publicae, il semenzaio della Repubblica, secondo la felice espressione di Cicerone. Il consorzio umano non può infatti affrancarsi - al di là di ricostruzioni che corrispondono a desideri, ad aspirazioni, ma non alla realtà delle cose - dall'istituto della famiglia: anzitutto dalla famiglia in senso stretto. E la famiglia è intrinsecamente fondata su un modello sessuale (uomo/donna) ineludibile.
Come è stato giustamente osservato, il matrimonio, inteso come rapporto tendenzialmente stabile, basato su un modello sessuale tradizionale, in cui i genitori si assumono ben precise responsabilità, crea quel nucleo di base che la stessa Costituzione definisce "società naturale" e che nella sistematica costituzionale rappresenta il primo articolo del Titolo II della Parte I, rubricato "Rapporti etico-sociali". La famiglia è cioè individuata dall'ordinamento come pietra angolare, appunto, dei rapporti etico-sociali. La rilevanza ordinamentale che deve essere riconosciuta ad un'unione tendenzialmente prolifica, non ammette dunque surrogati che sotto falsa denominazione spostino l'asse dei rapporti etico-sociali da un istituto tendenzialmente - al di là cioè del caso concreto, che non necessariamente corrisponde al modello ideale - produttivo di nuove forze, di storia, di futuro, ad un modello di unione che nasce costituzionalmente ed inderogabilmente sterile. I modelli sessuali alternativi esulano cioè completamente, e non a caso, dall'orizzonte della Costituzione. Il profilo etico, poi, non va comunque disgiunto, nella natura delle cose, dalla concretezza dei fatti e dalle stesse implicazioni che l'istituto familiare ha sull'economia di un Paese.
Il fondamento dei rapporti etico-sociali - la famiglia - rappresenta, in ultima analisi, anche la ricchezza materiale di un Paese. Gli stessi benefici economici, variamente denominati, che lo Stato elargisce alla famiglia, costituiscono in effetti il riconoscimento di questa funzione sociale dell'istituto. Paradossalmente, ma realmente, se non vi fosse la famiglia, e con essa un bilancio positivo per il futuro (non vi sarebbe Res publica senza seminarium Rei publicae) nessun beneficio, a nessun soggetto, a nessuna istituzione e di nessun genere sarebbe concepibile. La scelta degli artt. 29 e ss. della Costituzione è dunque, nelle sue esplicite ed implicite innervature con il sistema vigente, una scelta meditata. Non si può pertanto creare un sistema alternativo di rapporti sostanzialmente equiparati al modello familiare, ma radicalmente diversi quanto a natura, senza stravolgere da un lato la realtà delle cose; e dall'altro senza devastare l'assiologia costituzionale, equiparando la società naturale senza cui non esisterebbe lo Stato, a fattispecie non convenzionali di società che a questo modello non corrispondono affatto. Anzi, a fattispecie che pretendendo di essere giuridicamente analoghe - quando non sostanzialmente identiche - alla famiglia, per ciò stesso usurpano il ruolo ed i diritti dell'istituto familiare.
L'escamotage di parlare di "unioni civili" (anziché di matrimoni omosessuali) di cui tutto il ddl Cirinnà è intriso, appare - senza alcuna intenzione di offendere, ma nella mera prospettiva di descrivere la realtà dei fatti per come essi appaiono - un espediente nominalistico, intellettualmente disonesto, per fondare ex novo un istituto larghissimamente modellato sul matrimonio, ma non definito come tale per evidenti ragioni giuridiche e politiche. Unione civile è anche, infatti, un possibile sinonimo di matrimonio civile fra uomo e donna. Il ddl Cirinnà, a riprova di quanto or ora asserito, al di là delle parole detta una disciplina che comprova come le unioni civili altro non siano che un'autentica parodia del matrimonio civile. Lo sono nella celebrazione dell'unione pseudo-familiare, che, come il matrimonio, viene effettuata dinanzi all'ufficiale di stato civile, con la presenza di due testimoni (art. 1, c. 1 ddl). Lo sono nell'individuazione delle cause impeditive dell'unione, per cui - esemplificando - l'esistenza di un precedente vincolo matrimoniale o di una precedente unione civile, impedisce la costituzione dell'unione civile, allo stesso modo che l'esistenza di un precedente vincolo matrimoniale impedisce l'instaurazione di un nuovo matrimonio (bigamia) (art. 1, c. 3, lett. a), dd).
Il che dimostra, senza peculiari sforzi, che l'unione civile omosessuale, per Cirinnà e colleghi, è, dal punto di vista giuridico, un matrimonio e cioè crea fra i "coniugi" esattamente gli stessi vincoli di un matrimonio. Lo sono, e cioè le unioni civili sono una parodia del matrimonio, per il continuo, pedissequo richiamo che il ddl Cirinnà, senza neppure uno sforzo di elaborazione, fa alle singole norme con cui il codice civile regola l'istituto del matrimonio. Lo sono perché si prevede il cognome unitario dell'unione, in analogia con quello della famiglia (art. 1, c. 6 ddl). Lo sono, perché i diritti ed i doveri della coppia omosessuale, come esplicitati dagli artt. 143 e ss. del codice civile per il matrimonio, sono mutuati piattamente e richiamati in maniera esplicita uno ad uno ed elevati a diritti e doveri delle unioni civili (art. 3, c. 1 ddl). Il termine "coniugi" diventa cioè, in senso sostanziale - anche se non formale - il sinonimo giuridico di "coppia omosessuale". Cambiano i nomi, non muta affatto la sostanza: una legge truffa, insomma.
Proseguendo: l'unione civile è la parodia del matrimonio dal punto di vista dei diritti successori (art. 4 ddl). Per lo scioglimento dell'unione civile, poi, si richiama la disciplina sul divorzio (art. 6 ddl). Un plagio può essere più o meno raffinato. Nel ddl Cirinnà, il plagio del matrimonio presenta una vastità impressionante: senza raffinatezze di sorta. Obiettività vuole dunque che si ammetta che i proponenti si sono limitati a fingere un'ossequiosa adesione al dettato costituzionale, impiegando la denominazione "unioni civili" per non entrare troppo apertamente in rotta di collisione con l'istituto matrimoniale. Ed è appunto a proposito del matrimonio, che diviene necessario interrogarsi su un profilo di grande rilievo: quello dell'eventuale rapporto fra genitori dello stesso sesso (e dunque tra falsi genitori: almeno uno dei due) e "relativi" figli. In via preliminare, è anzitutto opportuno prescindere da ciò che la proposta Cirinnà prevede concretamente in materia di "genitorialità" omosessuale. É necessaria, infatti, una consapevolezza di fondo: una volta ammesso il principio eversivo, sopra brevemente descritto, per cui le unioni omosessuali sono sostanzialmente equiparate alla famiglia, la concessione di figli innaturali a queste coppie è già implicitamente contenuto nella disciplina sopra brevemente illustrata.
Il perché è semplice. Accogliendo, sotto mentite spoglie, l'istituto del "matrimonio" (ma anche solo del paramatrimonio) omosessuale, si apre nell'ordinamento una falla di immani proporzioni. A questo punto è solo di una questione di tempo: l'attribuzione di figli all'unione omosessuale rappresenta infatti la naturale declinazione dell'innaturale principio per cui il rapporto omosessuale si chiama unione, ma è invero un "matrimonio" omosessuale, o quantomeno una realtà negoziale/contrattuale ad esso affine. In ogni caso, i proponenti non hanno voluto lasciare dubbi sulle loro intenzioni ed hanno preteso che l'unione "matrimoniale" omosessuale, in quanto tale, abbia il diritto alla "propria" prole. Hanno così espressamente previsto che il figlio di uno dei membri della coppia omosessuale, possa, in un caso particolare, essere adottato dall'altro membro della coppia (art. 5 ddl). Si tratta, nella fattispecie, di un'adozione con cui si crea un legame adottivo particolare con la coppia omosessuale, senza che però i vincoli con la famiglia di origine possano essere sciolti. All'unione omosessuale si applica in tal caso l'art. 147 c.c., relativo ai doveri dei genitori nei riguardi dei figli (art. 3, c. 1 ddl).E così, gli inconfessabili "coniugi" omosessuali diventano anche inconfessabili (ma indubbi) "genitori" giuridici del malcapitato minore. Con una differenza, però, rispetto alla varie forme di vera adozione: l'adozione, come dicevano i giuristi romani, imita la natura (adoptio naturam imitatur). In un contesto come quello del ddl Cirinnà, non si imita la natura: se ne fa piuttosto, lo si deve ribadire, un'impressionante parodia.
Date queste inquietanti premesse, alcuni commentatori, nel solco travisante del ddl Cirinnà e dello stesso stato alterato di coscienza ad esso sotteso, hanno preteso di difendere questa proposta legislativa con un richiamo alla giurisprudenza costituzionale. A loro giudizio la Consulta, nella sentenza n. 138 del 2010, avrebbe aperto alle unioni civili, con l'ammettere che la Costituzione non cristallizza i rapporti sociali con riferimento agli anni '40, e dunque non vieta le unioni civili. Al contrario, si obietta che quella sentenza costituisce una delle principali ragioni per cui nella redazione del ddl Cirinnà le unioni civili hanno assunto una denominazione fasulla: unioni, anziché matrimoni. Come hanno ricordato i giudici costituzionali, l'unione omosessuale non può costituire vincolo matrimoniale, perché in tal modo agendo si inciderebbe sul «nucleo della norma, (costituzionale, n.d.r.) modificandola».
La Carta costituzionale è, infatti, chiara, ha ricordato la Corte, e la sua opzione per il rapporto matrimoniale uomo/donna è indiscutibile: «Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un'interpretazione creativa. Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto». La giurisprudenza – di qualunque corte – potrà dunque, in futuro, travisare questi concetti, ovviamente simulando un ossequio ipocritamente formale alla Carta costituzionale, ma è chiaro che se ciò dovesse avvenire si tratterebbe invero di pronunce creative.
O forse, meglio, distruttive del sistema vigente. Si deve aggiungere, fatte queste premesse, che da recentissime notizie di stampa sembra che la Cirinnà intenda rivedere, almeno in parte, il disegno. Si comprenderà meglio nei prossimi giorni in cosa consisteranno queste modifiche: certo è che restando in vita – e non si vede come possa venir meno – il principio per cui le coppie omosessuali debbono ottenere un riconoscimento giuridico di speciale favore in quanto tali, e cioè in quanto istituto quantomeno analogo al matrimonio, non muterà la sostanza del problema: dal principio germinerà infatti la conseguenza, come dal bruco si sviluppa la farfalla.
Individuati dunque i termini generali della mistificazione in atto, appare più agevole proporre alcune brevi considerazioni relative ai costi economici e sociali dell'istituto del matrimonio omosessuale. Va premesso che oggi sono in atto - il che è a tutti noto - gravi criticità, anche proprio in termini di oneri sociali, nella gestione dei rapporti familiari tradizionali. Ci troviamo infatti di fronte ad un sistema familiare che (per una serie di ragioni su cui non serve qui indugiare) appare in grave crisi. In ogni senso. Ora, estendere l'istituto del matrimonio - sia pur denominandolo unione civile - al campo dei rapporti omosessuali, moltiplica problemi e costi economici. Non è possibile addentrarsi nelle ramificazioni di un rapporto familiare ed in tutto ciò che ne consegue sul piano dei costi. D'altronde che la famiglia abbia dei costi è a tutti noto. Vero è, di contro, che la famiglia costa, ma è del pari indubbio che essa produce storia umana, come si diceva e come in buona sostanza ammette anche un omosessuale onesto quale ad esempio ha dimostrato di essere il noto stilista Dolce. E pertanto produce ciò che, altrimenti, neppure esisterebbe, laddove questa "produzione" va scontatamente intesa non solo in un'arida prospettiva contabile, ma anche nell'accezione più alta e nobile del termine.
Venendo al dunque, per una parzialissima, ma utile verifica delle criticità economiche che il matrimonio omosessuale contemplato dal ddl Cirinnà comporterebbe, si propone un caso di rilievo economico paradigmatico, in quanto ben noto alla previdenza italiana e, teoricamente, allo stesso Parlamento oggi chiamato ad approvare le cosiddette unioni civili. Tutti conoscono il fenomeno dei matrimoni celebrati fra badanti ad assistiti in età avanzata, matrimoni finalizzati a lucrare le pensioni di reversibilità dei presumibili, prossimi morituri. Al fine di impedire abusi di siffatta natura, è stata adottata una normativa specifica, che fra l'altro è a rischio di declaratoria di illegittimità costituzionale (art. 18, c. 5, L. n. 111/2011). In un rapporto fra badante e assistito, comunque, perché la macchinazione matrimoniale abbia un effetto è quantomeno necessaria la delicata fase della circuizione del morituro. Certo è, in ogni caso, che i costi previdenziali crescono qui in maniera preoccupante e che di conseguenza il legislatore ha per l'appunto cercato di correre ai ripari: il rischio sociale che si corre è infatti quello di pagare per decenni la pensione di reversibilità al giovane coniuge-parassita.
Si prefiguri, alla luce di queste premesse, quale possa essere la proiezione economica della pensione di reversibilità, ove la stessa venga impiegata in chiave strumentale nel caso di "matrimoni" omosessuali celebrati in extremis, allo specifico scopo di beneficare un amico/a omosessuale con la propria pensione. Di più, è importante rendersi conto che se la pensione di reversibilità è forse il fronte economico su cui è più agevole puntare il fuoco dell'attenzione, la posta in gioco è invero molto più elevata. Infatti, il ddl Cirinnà esplicita un principio generale devastante: il concetto di membro dell'unione civile, costituisce, salvo eccezioni ben precise, sinonimo giuridico della nozione di coniuge, di marito e di moglie (art. 3, c. 3, ddl). Questo criterio, dunque, che equipara ai più disparati fini giuridici ed economici i coniugi veri e i "coniugi" omosessuali, si riferisce ad un numero a priori indefinito di leggi e regolamenti relativi ai rapporti coniugali e schiude pertanto orizzonti immensi al sorgere di oneri che non è affatto facile preventivare.
A ciò si aggiunga che l'unione omosessuale pone anche un quesito di principio, a monte, e cioè a prescindere da un'ipotetica analisi dettagliata dei costi. É ragionevole che da un lato si sottraggano risorse a ogni settore della spesa pubblica e delle forme di assistenza e previdenza sociale più meritevoli, compreso il sempre più penalizzato settore pensionistico; e che, dall'altro, si aprano, tanto nel settore pensionistico, quanto in altri settore del bilancio, nuove voci di spesa a favore delle unioni omosessuali, in simmetria con quelle previste per la famiglia, come se questa fosse pari a quelle? Si noti: in questa prospettiva critica, all'omossessuale non si negano né i benefici che l'ordinamento gli ha riconosciuto come figlio di un rapporto necessariamente tradizionale fra uomo e donna, né quelli che la civitas gli riconosce come uomo, come lavoratore, come come invalido, come parte contraente di un qualsiasi contratto, ecc.. Gli si nega solo uno status di favore sotto il profilo "matrimoniale" o paramatrimoniale. In definitiva, considerato che, come si diceva, la famiglia resta imprescindibile perché è l'unico istituto che possa dare un futuro alla collettività, è giusto, anche eticamente, che una parodia della famiglia finisca per gravare, in quanto istituzione, sulla vera famiglia?
La proposta Cirinnà, sul piano giuridico, politico, valoriale, trova il proprio principale aggancio implicito nel principio unionista della non-discriminazione per ragioni di orientamento sessuale. È peraltro evidente che la nozione di non-discriminazione non è declinabile, nella legislazione italiana, scardinando la Costituzione, cui non a caso si appellano, con toni rassicuranti, persino i fautori delle unioni omosessuali. Non può essere sancito, e men che meno applicato senza intelligenza (e cioè indiscriminatamente), un criterio che negando la possibilità di cogliere il discrimen fra unioni omosessuali e matrimonio demolisce le fondamenta di carattere etico-sociale e dunque giuridico dell'ordinamento (v. ancora una volta artt. 29 e ss. Cost). Il discrimen fra le due diverse fattispecie è scontato e le considerazioni che precedono, senza pretesa alcuna di completezza, valgono a comprovarlo. Accogliendo il principio opposto, la famiglia tri o plurilaterale, e cioè con tre e più coniugi contestuali, ed ogni altra ipotesi di orientamento sessuale, acquisirebbero progressivamente diritti nell'ordinamento. Questa affermazione potrebbe parere eccessiva, ma in effetti non lo è.
Benché, infatti, taluni orientamenti sessuali ritenuti gravemente devianti ed offensivi di beni giuridici tutelati dall'ordinamento costituiscano attualmente reato (la pedofilia, ad es.), e dunque vengano sanzionati, il punto nodale non è quello della sanzione (contingente e superabile), o quello della tendenza, attuale, a riprovare date condotte sessuali. Il punto nodale è piuttosto quello della linea di principio. Ciò che dunque si deve tenere ben presente, è che le unioni omosessuali debbono restare nel campo del diritto comune: non debbono cioè poter vantare un corpo di norme speciali a loro favore. Se infatti pretendono per sé uno status di favore, analogo rispetto alla famiglia (persino in una versione giuridica molto meno sfacciata del ddl Cirinnà), una volta aperta la porta a questo principio eversivo, si scenderà ogni scalino: sino in fondo. Quando Cristo e Barabba vengono posti, dal pavido Pilato, sul piano dell'analogia, la conclusione da cui Pilato stesso crede di potersi facilmente affrancare lavandosene le mani, è a tutti nota.
Se dunque in forza del principio di non-discriminazione si riconosce anche solo una remotasomiglianza fra matrimonio e unione omosessuale, allo stesso modo, nel rispetto dell'orientamento bisessuale (peraltro difeso a spada tratta all'interno dello schieramento pro Cirinnà), diverrà appunto doveroso aprire progressivamente alle unioni con più di due partner, i quali con il tempo diverranno "coniugi", ecc.. Ora, che lungo questa china "libertaria" si possa andare molto lontani, non è solo un'ipotesi futuribile: in Europa è già, in nuce, una realtà. Con delibera del 25 settembre 2014, il Deutscher Ethikrhat, autorevolissimo Consiglio nazionale tedesco per l'etica, i cui indirizzi, benché non vincolanti, sono tenuti in notevole conto dal mondo politico e giuridico tedesco, ha auspicato, in nome della libertà, la depenalizzazione del reato di incesto, che è stato definito un semplice "tabù sociale". La Corte costituzionale tedesca ha immediatamente applicato il principio in una fattispecie concreta, sospendendo la pena nel caso dei fratelli Stuebing, amanti incestuosi e genitori di ben quattro figli. Questa ulteriore evoluzione, nichilistica nei suoi esiti (per incidens: la distruzione è, per tradizione germanica, l'esito ampiamente prevedibile di una potente fase "costruttiva"), non va affatto trascurata.
Quando (plausibilmente a breve) in Germania i rapporti incestuosi rientreranno nell'orizzonte comune del tedesco medio, sarà ragionevole pretendere che i sottoposti meridionali si adattino alle regole della notoriamente più civile ed avanzata società teutonica. Tanto più che l'incesto non sarebbe un orientamento sessuale meramente tedesco, ma uno degli innumerevoli, possibili orientamenti sessuali che l'Ue ha inserito senza alcun distinguo (indiscriminatamente) fra i valori da tutelare. É' intellettualmente e moralmente doveroso, a questo punto, rendersi conto che se non si pone con nettezza un argine a questa deriva, si apre la strada che conduce all'incesto - accogliendo anzitutto la proposta del modello tedesco - e ad ogni ulteriore "libertà". Dovremo ammettere, cioè, che i rapporti sessuali tra fratelli, fra genitori e figli, fra nonni e nipoti, ecc., costituiscono una scelta buona e giusta, nonché istituzionalizzabile. E via discorrendo, nella direzione di ogni, possibile istituzionalizzazione.
Riprendendo dunque le fila delle considerazioni già fatte in ordine all'unione omosessuale intesacome istituto giuridico, non è irrilevante concludere con un richiamo alla storia di questo Paese. Nonostante la società odierna, a ogni livello, sia propensa al ripudio sostanziale del cristianesimo - pur ritenendosi e definendosi in larga misura cristiana - la nozione di mos maiorum, di costume degli avi, quantomeno pagano, può essere utile a suggerire una meditazione sincera e non ideologica sulle unioni omosessuali. È dunque doveroso tener presente che il diritto romano non ha mai contemplato né il matrimonio omosessuale, né comunque norme peculiari, e cioè un corpus giuridico, per regolare le unioni omosessuali. Le fonti giuridiche non danno alcun valore a questi matrimoni; quelle storiche e letterarie riferiscono i fatti, per giunta riportando, fra l'altro, commenti sarcastici che suggeriscono spunti per comprendere di quale considerazione godessero queste opzioni alternative a Roma. Ebbene, il mondo pagano aveva piena contezza di cosa fosse l'omosessualità maschile, ed in una misura apprezzabile la praticò con una certa disinvoltura, ma ciononostante non istituì mai neppure - si badi - una figura che fosse anche solo analoga al matrimonio omosessuale.
Si soggiunge che - nel contesto di mistificazioni in cui si muove l'ideologia delle unioni civili - èopportuno rammentare come questo rappresenti un dato storico-giuridico alla portata di chiunque. Costituisce infatti verifica effettuabile anche dal profano di questioni giuridiche, quella attuabile consultando quotatissimi manuali di diritto romano su cui si sono formate generazioni di giuristi, allievi a loro volta di storici-giuristi, molto meno propensi alla fantasia ed alle suggestioni ideologiche di quanto non lo siano alcuni commentatori odierni. Ovviamente questi commentatori ideologizzati si guardano bene dal citare correttamente le fonti giuridiche e la loro inequivocabile chiarezza sul punto.
Preferiscono equivocare fatti eccezionali (e notori) che non sono mai assurti a dignità di diritti,utilizzando le eccezioni storiche come argomento per insinuare il dubbio. L'eccezione, in quest'ottica, anziché confermare la regola la metterebbe in discussione. Al contrario, il giurista romano, il suo rigore logico e definitorio, la mentalità romana stessa, non accettarono né mai avrebbero potuto accettare che il matrimonio (dono della madre), «unione di uomo e donna e consorzio di tutta la vita» (Modestino), fondamento della famiglia, che è «principio della città» (Cicerone), rapporto che è contratto al fine di dare prole e continuità al consorzio umano («liberorum quaerendorum causa»), come attestano varie fonti giuridiche, potesse assumere un significato linguistico e giuridico contraddittorio, grottesco e caricaturale.
A Roma l'omosessuale aveva dunque uno status giuridico, individuale e sociale, in quanto essereumano e cioè a prescindere in toto dall'omosessualità in sé se per sé considerata. In quel contesto pagano, vi era dunque la consapevolezza che la messa in scena dei matrimoni omosessuali non sfiorava neppure il mondo del vero diritto e cioè dell'architettura di regole che ordina (ordinamento) i rapporti sociali. Questa è dunque la linea etico-giuridica di un ordinamento tutt'altro che omofobo. Siamo certi, concludendo, che con l'istituzione delle unioni civili omosessuali – secondo il modello del ddl Cirinnà o comunque anche secondo un modello più raffinato ad acuto - non si scardini in maniera definitiva il fondamento dei rapporti etico-sociali, e cioè la famiglia, come riconosce anche la Costituzione vigente? Che non si vada troppo oltre nel rinnegamento dei valori che, nel mondo pagano ed in quello cristiano, hanno costituito l'asse portante della civiltà italica? Che non sia un terribile azzardo, gravido di incalcolabili conseguenze, rigettare il peso di quasi 2800 anni di storia?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01/09/2015

6 - TANTE CHIACCHIERE E NESSUNA SOSTANZA
Si dice di aiutare le famiglie, ma la verità è che nel nostro Paese nessuna parte politica ha a cuore le famiglie realmente
di Paolo Nessi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01/09/2015

Renzi che parla di abolire Tasi e Imu (ma poi spuntano altre tasse), Renzi che parla di un non meglio precisato piano famiglia (ma poi si dà da fare per allargare il concetto di famiglia). Annunci cui ormai abbiamo fatto il callo, dato che i politici tutti, parimenti i premier, vivono in una dimensione di campagna elettorale permanente. In attesa di qualcosa di più concreto, resta il fatto che il quadro d'insieme, per quel che riguarda le politiche familiari, è allarmante. Anche se è evidentemente sbilanciata la classifica del 2015 Family Life Index di InterNations, che pone l'Italia al 32esimo posto su 41 Paesi esaminati (anche dopo Uganda e Filippine) quanto a luoghi ove crescere una famiglia, non c'è dubbio che il nostro non è un Paese accogliente per i nuclei familiari.
L'Italia, storicamente, all'interno dell'Unione Europea, è uno dei Paesi la cui quota di spesa sociale dedicata alla previdenza è tra le più alte in assoluto, quella dedicata alla famiglia tra le più basse (quota che comprende benefici legati al sostegno al reddito, alla tutela della maternità e della paternità, agli assegni familiari, agli asili nido, alle strutture residenziali per le famiglie con minori, all'assistenza domiciliare per famiglie numerose). Nel 2013 (ultimi dati Istat disponibili) la spesa per prestazioni sociali era dedicata alla funzione "vecchiaia" per il 50,4% (in crescita dell'1% rispetto al 2007), seguita da "malattia/salute" (23,6%), "superstiti" (9,3%), "disoccupazione" (6,3%), "invalidità" (5,5%), "famiglia" (4,2%, in calo dello 0,2% rispetto al 2007) e "altra esclusione sociale" (0,7%). Le proporzioni non derivano solamente dall'invecchiamento della popolazione, ma anche da precise scelte politiche. Per dirne una, il Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire agli enti locali risorse aggiuntive perché garantissero l'offerta di servizi per anziani, disabili, minori e famiglie in difficoltà, è passato dagli 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 43,7 milioni nel 2012, per poi risalire nel 2014 a 297,4 milioni. Tra il 2007 e il 2014, la contrazione è stata dell'81%.
Chiaro che la responsabilità di tali dinamiche non sia ascrivibile interamente al governo Renzi. Ma ha la sua buona dose di colpe. Si può dare atto all'amministrazione attuale di aver introdotto alcune suggestive migliorie, come gli 80 euro in busta paga o il bonus bebè. L'effetto di tali innovazioni, tuttavia, è stato sterilizzato dall'aumento complessivo della pressione fiscale certificato, tra gli altri, dallo stesso ministero dell'Economia. Le entrate tributarie e contributive del primo semestre 2015, infatti, «evidenziano un aumento dell'1% (+3,252 miliardi), rispetto all'analogo periodo 2014», spiega il Mef. Il dato tiene conto dell'aumento dello 0,6% (+1,319 miliardi) delle entrate tributarie e della crescita delle entrate contributive dell'1,9% (+1,933 miliardi). I numeri sono influenzati dal gettito della mini Imu versata a gennaio 2014, ma di competenza dell'anno 2013 e, soprattutto, dal gettito dell'acconto Tasi 2015, pari a 2,388 miliardi, ovvero a ben il 220,1% in più rispetto all'anno precedente. Ad oggi, in ogni caso, il danno più grande è stato fatto con la riforma dell'Isee (clicca qui); sbandierata dal governo come un trionfo di giustizia sociale, ha introdotto, in realtà, il conteggio delle forme di reddito fiscalmente esenti (assegno al nucleo familiare, indennità di accompagnamento, rendite Inail ecc…) ai fini del calcolo del reddito Isee. Le famiglie con disabili, quindi, vedranno notevolmente ridotte le prestazioni sociali a cui, fino a pochi mesi fa, avevano diritto.
Val la pena spendere una parola, infine, sul disegno di legge sulle unioni civili. Senza entrare nel merito delle relative questioni etiche, ci limitiamo a una sola considerazione: il 10 marzo, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, prevede che il costo delle pensioni di reversibilità derivanti dal provvedimento si aggirerà sui 40 miliardi di euro. Il 23 luglio, il ministero dell'Economia replica che gli oneri complessivi per le casse dello Stato andranno dai 3,7 milioni nel 2016 ai 22,7 milioni nel 2025. Ad di là di chi abbia ragione, non si è mai visto un tale zelo da parte del governo che, per difendere il ddl Cirinnà, ha fatto gli straordinari, così da rispondere in tempi record. Giusto per fare un paragone, si pensi alla commissione Giovannini, nominata il 3 agosto del 2011 per dirci se i politici italiani guadagnano troppo, specie in rapporto agli omologhi di Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria. Dopo quasi 8 mesi, il 30 marzo 2012, dopo essersela presa con calma, l'organismo presieduto dall'allora presidente dell'Istat gettò la spugna, con questa motivazione surreale: «i vincoli posti dalla legge, l'eterogeneità delle situazioni riscontrate negli altri Paesi e le difficoltà incontrate nella raccolta dei dati non hanno consentito alla Commissione di produrre i risultati attesi».
Più di 8 mesi per non rispondere a un quesito a misura di bambino, poco meno di quattro per elaborare complicate proiezioni sugli oneri di spesa futuri. Per restare in tema: tutti, più o meno, condividono l'idea che l'unica rivoluzione in materia consisterebbe nell'introdurre il fattore famiglia, un parametro per determinare gli oneri fiscali dei nuclei familiari in misura inversamente proporzionale al numero dei figli e delle spese per il loro mantenimento. L'obiezione principale dei governi avvicendatisi negli anni, ha sempre suonato, più o meno, così: «Il fattore imporrebbe la revisione completa dell'intero sistema fiscale: è troppo complicato. E poi, durante la legislatura attuale, non ne avremmo il tempo».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 01/09/2015

7 - IL DNA NON BASTA, PRIMA C'E' QUALCUNO
Non vedremo mai le dita del Musicista all'origine della sinfonia del mondo fin che le vorremmo vedere solo con lo scientismo
di Umberto Fasol - Fonte: Il Timone, giugno 2015 (n. 144)
Fonte: Il Timone, giugno 2015 (n. 144)

8 - MADRE TERESA: ''IL PIU' GRANDE DISTRUTTORE DELLA PACE E' L'ABORTO''
Nel 1979 nel discorso per l'accettazione del Premio Nobel per la pace disse: ''Se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa ci impedisce di ucciderci a vicenda? Nulla'' (VIDEO: Premio Nobel a Madre Teresa)
di Madre Teresa di Calcutta - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/12/2014
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/12/2014

9 - COME PARLARE DI SESSO AI FIGLI
Quattro regole d'oro per educare i figli alla sessualità
di Roberta Sciamplicotti - Fonte: Aleteia, 17/07/2014
Fonte: Aleteia, 17/07/2014

10 - L'ORRIBILE COMMERCIO DI PLANNED PARENTHOOD
Ma se mio figlio può essere ucciso e buttato nei rifiuti, quale principio può impedire ai medici di venderlo? (VIDEO: gli ultimi due video della vergogna di Planned Parenthood)
di Costanza Miriano - Fonte: La Croce, 01/09/2015
Fonte: La Croce, 01/09/2015

11 - OLIMPIADI E PARALIMPIADI: ATLETI DISABILI ANCORA DISCRIMINATI
Bellieni parla di come la nostra società sia di fatto ancora ipocrita, se non supera questo tabù
di Carlo Bellieni - Fonte: Redattore Sociale, 01/09/2015

In molti le vorrebbero unite, ma almeno per i prossimi sette anni Olimpiadi e Paralimpiadi continueranno ad essere due eventi distinti e separati, sebbene molto vicini. Le edizioni estive di Rio de Janeiro 2016 e Tokio 2020, oltre a quelle invernali di Pyeongchang 2018 (Corea del Sud) e Pechino 2022, vedranno tutte dapprima lo svolgimento dei Giochi Olimpici e poi, negli stessi luoghi e impianti, ma un paio di settimane più tardi, quello dei Giochi Paralimpici. Una decisione che i due comitati internazionali, quello olimpico (Cio) e quello paralimpico (Ipc), hanno preso da tempo e che lascia nel breve periodo poche speranze a quanti vorrebbero invece l'integrazione completa dei due avvenimenti in un unico grande evento.
Recentemente, l'idea di fondere insieme Olimpiadi e Paralimpiadi - questione che è aperta da tempo - ha travalicato l'ambito sportivo ed è atterrata sulle pagine di un'autorevole rivista scientifica inglese, "Sport, Ethics and Phylosophy" (Taylor and Francis ed.) con un articolo del neonatologo e bioeticista italiano Carlo Bellieni. Il testo affronta il tema della scarsa visibilità pubblica dello sport praticato dalle persone con disabilità, affermando che la separazione dei due eventi "sembra indicare una separazione morale tra persone con e senza disabilità". Bellieni fa notare che come la separazione fra sport praticati da uomini e donne è ormai superata e obsoleta, così non dovrebbe esistere quella fra persone con disabilità e senza disabilità. Lasciare le Paralimpiadi come un evento "a parte", una sorta di appendice rispetto alle Olimpiadi, le relega "a latere" rispetto all'evento principale.
Bellieni sostiene che le Paralimpiadi aiutano a vincere tre "errori morali": la discriminazione (intesa come esclusione sociale); il "superumanismo" (inteso come il concetto che solo le persone sopradotate, incluse quelle con disabilità, possono essere veri atleti); la miopia morale secondo cui le persone con disabilità devono accontentarsi delle soddisfazioni che si possono procacciare da sé, esentando gli Stati dalla loro responsabilità sociali. Un messaggio positivo che – dice Bellieni – può trovare amplificazione se le Paralimpiadi si unissero per osmosi (e ovviamente con lo sforzo organizzativo necessario) alle Olimpiadi, dando il messaggio finale di unità degli sportivi, indipendentemente dall'essere o non essere normodotati e non più di una – per quanto nobile – collateralità.
L'articolo di Bellieni ha ravvivato anche in Italia e anche fra le associazioni delle persone con disabilità un dibattito che sempre più spesso viene proposto e affrontato (la cooperativa sociale Spes contra Spem ne ha fatto anche un sondaggio online). In realtà, il dibattito è aperto anche al più alto livello internazionale, che per il momento ha optato per mantenere una formula che assicura una continuità dell'esperienza organizzativa (stessa città, stessi impianti) pur con un lieve sfasamento temporale(in genere di due settimane). Il marchio Paralimpiadi (che è sempre più anche un prodotto commercialmente appetibile) vive di vita propria: le singole gare non rischiano di essere oscurate da quelle dei campioni olimpici e l'organizzazione è completamente concentrate sulle esigenze particolari che gli atleti paralimpici hanno.
Il destino dei prossimi anni è ormai già segnato. A Rio de Janeiro, le Olimpiadi andranno in scena dal 5 al 21 agosto 2016, le Paralimpiadi dal 7 al 18 settembre 2016. Tutto deciso anche per le successive tre edizioni, che si disputeranno tutte in Asia. APyeongchang (Corea del Sud), i Giochi olimpici invernali si disputano dal 9 al 25 febbraio e quelli paralimpici dal 9 al 18 marzo; le Olimpiadi estive di Tokio 2020 saranno dal 24 luglio al 9 agosto, le Paralimpiadi dal 25 agosto al 6 settembre; infine le Olimpiadi 2022 appena assegnate a Pechino si disputeranno dal 4 al 20 febbraio, lasciando spazio alle Paralimpiadi dal 4 al 13 marzo. Questo, almeno, è lo stato dell'arte al momento. Non è affatto escluso però che qualcosa col tempo possa cambiare e che un giorno si possa arrivare ad un unico grande appuntamento con lo sport.

Fonte: Redattore Sociale, 01/09/2015

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