Amici del Timone n�33 del 20 giugno 2014

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1 CHI HA PAURA DELLE SENTINELLE IN PIEDI?
Bergamo, Trento, Perugia, Lecce... A Siena addirittura il sindaco vuole cambiare il regolamento per impedire ulteriori veglie alle sentinelle (VIDEO: Le Sentinelle in Piazza del Campo)
di Raffaella Frullone - Fonte: Blog di Costanza Miriano
2 INTERROGAZIONE PARLAMENTARE AL MINISTRO DELL'INTERNO SUGLI ATTACCHI ALLE SENTINELLE IN PIEDI
I deputati Pagano, Roccella, Sberna, Binetti, Calabrò, Gigli, Caruso, Nissola pretendono chiarimenti sul passato e garanzie per il futuro (VIDEO: Sentinelle in Piedi a Perugia)
Fonte: Camera dei Deputati
3 IL SINDACO DI SIENA VUOLE IMPEDIRE ALLE SENTINELLE DI SCENDERE ANCORA IN PIAZZA (ECCO IL CLAMOROSO VIDEO)
...e nessuno ha impedito durante la veglia in Piazza del Campo che attivisti LGBT abbiano disturbato con baci tra donne, esposizione di cartelli, cori ''fascisti-fascisti'', palloncini sbattuti in faccia a chi leggeva, frasi rivolte ad anziani definiti vecchi e inutili (PROSSIMA VEGLIA A SIENA: sabato 21 alle 21 in Piazza Tolomei)
di Comitato Sentinelle in Piedi Siena - Fonte: Tempi
4 RIFIUTI: UNA RIFLESSIONE DAL DIZIONARIO DI BIOETICA
Qualcosa che si può ancora utilizzare ma che nondimeno si getta via, nell’ottica che considera utile solo ciò che rientra nel nostro progetto.
di Carlo Bellieni - Fonte: Bioethics
5 L’ABORTO E’ UNA FERITA PER LA DONNA, NON UN AIUTO
La Sindrome post-aborto è una realtà che si cela dietro l’affermazione di un falso diritto
di Marianna Ninni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 EUTANASIA AL GEMELLI: LA BUFALA INVENTATA DAL ‘‘FATTO QUOTIDIANO’‘
Il trucco è chiamare ‘‘eutanasia’‘ quel che invece è la desistenza terapeutica.
Fonte: UCCR on line
7 IL PAPA PARLA CHIARO A PROPOSITO DELL’ABORTO
I media strumentalizzano ogni sua parola, ma la dottrina non è stata cambiata di una virgola, semmai ribadita con forza
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 LA DISCRIMINAZIONE TRA I DISCRIMINATI?
In Belgio, la ‘‘genitorialità’‘ lesbica discrimina gli uomini gay...le forzature sono forzature...
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 EUTANASIA LEGALE: SI RIPARTE CON LA MENZOGNA!
Come i cattolici possono perdere anche questa battaglia...
Fonte: Comitato Verità e Vita
10 IL VERO PRO LIFE COMBATTE LA LEGGE SULL’ABORTO SENZA COMPROMESSI
Intervista a Cinzia Baccaglini: ‘‘Inorridisco quando sento parlare dell’applicazione delle parti buone della legge 194’‘
Fonte: Radiospada

1 - CHI HA PAURA DELLE SENTINELLE IN PIEDI?
Bergamo, Trento, Perugia, Lecce... A Siena addirittura il sindaco vuole cambiare il regolamento per impedire ulteriori veglie alle sentinelle (VIDEO: Le Sentinelle in Piazza del Campo)
di Raffaella Frullone - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 02/06/2014
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 02/06/2014

2 - INTERROGAZIONE PARLAMENTARE AL MINISTRO DELL'INTERNO SUGLI ATTACCHI ALLE SENTINELLE IN PIEDI
I deputati Pagano, Roccella, Sberna, Binetti, Calabrò, Gigli, Caruso, Nissola pretendono chiarimenti sul passato e garanzie per il futuro (VIDEO: Sentinelle in Piedi a Perugia)
Fonte Camera dei Deputati, 05/06/2014
Fonte: Camera dei Deputati, 05/06/2014

3 - IL SINDACO DI SIENA VUOLE IMPEDIRE ALLE SENTINELLE DI SCENDERE ANCORA IN PIAZZA (ECCO IL CLAMOROSO VIDEO)
...e nessuno ha impedito durante la veglia in Piazza del Campo che attivisti LGBT abbiano disturbato con baci tra donne, esposizione di cartelli, cori ''fascisti-fascisti'', palloncini sbattuti in faccia a chi leggeva, frasi rivolte ad anziani definiti vecchi e inutili (PROSSIMA VEGLIA A SIENA: sabato 21 alle 21 in Piazza Tolomei)
di Comitato Sentinelle in Piedi Siena - Fonte: Tempi, 03/06/2014
Fonte: Tempi, 03/06/2014

4 - RIFIUTI: UNA RIFLESSIONE DAL DIZIONARIO DI BIOETICA
Qualcosa che si può ancora utilizzare ma che nondimeno si getta via, nell’ottica che considera utile solo ciò che rientra nel nostro progetto.
di Carlo Bellieni - Fonte: Bioethics, dizionario di bioetica per tutti

La definizione di rifiuti in 3 punti:
Realismo
Da “re” e “futare” che viene da “fondere” che significa spargere. Si tratta di ciò che non è considerato più utile. Riguarda sia le eccedenze alimentari e di suppellettili diventate obsolete (cioè di cose ancora utilizzabili) che di parti o strutture ormai inservibili o rotte.
La ragione
Un “prodotto” della società postmoderna. La società postmoderna è la prima società al mondo ad aver creato la categoria di rifiuto. Fino a qualche decennio or sono, anche fisicamente la “spazzatura” era inesistente: cioè che si rompeva si riutilizzava o si aggiustava; le scorie alimentari si davano agli animali o alla terra come concime. Oggi è subentrato il criterio folle che divide le cose in “utili” e “inutili” e siccome siamo in una società fobica che coltiva il culto della perfezione (per cui per non far brutta figura o per un nostro meccanismo interno l’oggetto “peccato” è invivibile e inutilizzabile), le cose inutili che si gettano si moltiplicano. E non si sa dove accumulare e come smaltire le scorie. Di pari passo, è entrato nella mentalità il concetto altrettanto folle che esistano persone “utili” e “inutili”; alle seconde (quelle senza capacità di autonomia) viene semplicemente tolto il riconoscimento di esser “persona”.
Cosa comporta? A questo fenomeno inquietante, la società risponde in maniera sbrigativa ma inefficace: per gli oggetti diventati rifiuto si cerca dove smaltirli (impiegando forze ingenti, dispendiose e inefficaci) senza domandarsi come ridurre la produzione di generi di consumo che non saranno consumati, e come riutilizzare le cose. E creando un senso di colpa nella popolazione sulla quale si addossa l’unico rimedio che viene propagandato come politicamente corretto: riciclare i rifiuti con una raccolta differenziata: cosa buona se non fosse che non risolve il problema, impiega energie per il riciclo talora maggiori di quelle che si vorrebbero risparmiare riciclando. Anche l’idea di riciclaggio — che comporta comunque la distruzione dell’oggetto — deve ormai lasciare il passo all’idea di riparare e riusare il bene: «Riparare un computer è venti volte più ecologico che riciclarlo». Per quanto riguarda le persone giudicate rifiuto (embrioni, feti, neonati, vecchi, disabili mentali – che non vengono riconosciuti come persone – la soluzione sembra quella di agevolarne la scomparsa: le politiche culturali che hanno alla base il culto della perfezione non tollerano che esistano soggetti che per la loro possibile disabilità ricordano al resto della popolazione che il tratto fondamentale della persona è la dipendenza reciproca e non una supposta autonomia; per questo diventa sempre più “normale” accettare soluzioni quali il suicidio, l’eutanasia, l’aborto eugenetico.
Il sentimento

Dividere cose e persone in “utili” e “inutili” è l’inizio della follia, perché dicotomizza il mondo che per sua natura ha un’unità strutturale e che è composto dall’armonia di tutto e tutti. Dividere questa unione intrinseca è segno di una cecità culturale e mentale.

Fonte: Bioethics, dizionario di bioetica per tutti

5 - L’ABORTO E’ UNA FERITA PER LA DONNA, NON UN AIUTO
La Sindrome post-aborto è una realtà che si cela dietro l’affermazione di un falso diritto
di Marianna Ninni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Sono sempre più numerose le donne che dichiarano di soffrire di sindrome post-aborto. Fenomeno studiato già da diversi anni negli Stati Uniti, gli studi sulla PAS si stanno di recente diffondendo anche in Italia. Sebbene in tanti tendano a negare l’esistenza di questa sindrome descrivendo il fenomeno come l’ennesimo tentativo da parte della Chiesa o delle istituzioni cattoliche di voler ledere o condizionare la libertà di scelta della donna che decide di interrompere volontariamente la gravidanza, non si possono di certo negare le prime importanti testimonianze. Secondo i dati recenti, difatti, ammonta circa al 62% il numero delle donne che hanno dichiarato di soffrire di questa sindrome.
Secondo l’art. 4 della legge numero 194 del 1978, può ricorrere “all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsione di anomalie o malformazioni del concepito…”.
Ci persuadiamo, quindi, di conoscere bene quelle che sono le “condizioni” che fanno liberamente scegliere l’aborto, dimenticando, facilmente quanto questo articolo non specifichi in alcun modo quali siano le reali motivazioni “economiche, sociali o familiari” che possano davvero permettere alla donna di scegliere l’aborto come “soluzione necessaria”. Ci si ritrova, così, di fronte ad un vero marasma secondo cui tutto è concesso e chiunque possa ricorrere per qualsiasi ragione all’aborto. Ci sono donne che scelgono di abortire perché troppo giovani, ventenni convinte di non poter rimanere incinta al primo rapporto sessuale occasionale o sicure che a loro non sarebbe mai potuto capitare; ci sono donne che hanno una reale e oggettiva precaria condizione economica e sono impossibilitate persino a sfamare i loro bimbi; ci sono donne che rincorrono ideali di carriera che non possono in alcun modo essere intaccati dall’arrivo di un nuovo bambino, ci sono donne che vengono abbandonate dal compagno con cui convivono subito dopo l’insorgere della gravidanza e ci sono donne che – questo sembra essere il caso più comune -  dichiarano di non voler un bambino dal compagno con cui stanno. Una situazione drammatica che testimonia quanto nei rapporti umani manchi una progettualità di mettere su famiglia soppiantata da un edonismo dirompente e da una superficialità per cui all’incoscienza di avere rapporti occasionali si aggiunge anche una sempre più diffusa incoscienza di mettere al mondo qualcun altro.
«In un contesto sociale normale o protetto, come poteva essere quello di 30 anni fa, la donna che rimaneva incinta manifestava dei timori. C’era paura, com’è normale che ci sia di fronte ad un compito così grande che consiste nel portare avanti la vita di un altro. Ma queste paure, in molti casi, venivano compensate dall’affetto familiare e dal sostegno del marito. Oggi i rapporti sessuali cominciano dai 14 anni in su e sono rapporti non protetti. Queste ragazze sono convinte che a loro non succederà mai e si coprono dietro una doppia negazione. La prima negazione è quella secondo cui l’atto sessuale porti al concepimento e la seconda negazione è quella che si manifesta nei primi mesi di gravidanza. Si arriva quindi a pochi giorni dal terzo trimestre e si deve decidere in fretta. Il panico prevale sulla razionalità e la scelta più ovvia è quella di abortire. Si capisce quanto in tutto questo manchi, non solo una progettualità, ma persino un reale sostegno psicologico» ci spiega Benedetta Foà, psicologa che da anni si occupa dello stress post-aborto,  co-autrice del libro Maternità interrotte.
Qualunque sia la ragione che spinge queste donne ad abortire, molte manifestano una sofferenza inspiegabile, un senso di vuoto, un dolore con cui non riescono a fare i conti. «La tematica della sindrome post-abortiva, vale a dire il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario, la rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia» diceva Papa Bendetto XVI ai partecipanti dell’Assemblea Plenaria della “Pontificia Accademia per la Vita”, il 26 febbraio 2011. Ed è per far fronte a questo disagio irrisolto che, da diversi anni, sono nati dei percorsi, dei cammini di fede per la guarigione spirituale e psicologica dopo l’aborto volontario.
Uno di questi metodi è quello ideato da Benedetta Foà e prende il nome di Metodo Centrato sul Bambino. Sviluppato attraverso otto incontri, lo scopo principale di questo metodo è instaurare una relazione tra la mamma/papà e il bambino attraverso delle tappe e dei compiti ben precisi per elaborarne il lutto e lasciarlo andare: il primo è quello di dare un nome al bambino, il secondo consiste nell’acquistare un oggettino che serve per far comprendere alla madre che il figlio è altro da sè e togliere la sensazione di con-fusione (nei primi due mesi di gravidanza, difatti, il bambino è totalmente con-fuso con la mamma, è tutt’uno con la mamma e, a livello psicologico, una mamma che abortisce non lo ha mai visto ma pensa di avere ucciso una parte di se stessa); il terzo compito è dedicato alla scrittura di una lettera per esprimere tutti i sentimenti irrisolti; il quarto si sviluppa intorno a delle esperienze immaginative attraverso cui il genitore incontra simbolicamente il figlio, lo riconosce e lo lascia andare; con il quinto compito si seppellisce l’oggetto comprato perché non ha più senso averlo con sé. È proprio attraverso questa tappa che si lascia andare davvero il bambino. Il percorso si conclude con una Santa Messa per il bambino e con la preghiera che questi venga accolto dalla bontà di Dio.
È ovvio, continua la Dott.ssa Foà, che quando parliamo di aborto dobbiamo fare una distinzione. «C’è qualcuno che, dopo l’evento aborto chiude la sua porticina e non ci pensa più; c’è qualcuno che chiude la porticina e dopo molti anni succede qualcosa e tutto si riapre procurando panico e c’è qualcun altro che il mese dopo l’aborto è sul limite del suicidio. In tanti ricorrono al mio aiuto dopo che sono passati 30 anni da questa scelta».
Una consapevolezza che, di conseguenza, può emergere dopo diverso tempo quando si ri-apre quella ferita irrisolta a causa di un qualsiasi evento scatenante. In certi casi può trattarsi dell’arrivo di un nuovo figlio, in altri casi può insorgere con l’arrivo della menopausa, come mi spiega Valeria D’Antonio, psicologa che collabora con l’apostolato La Vigna di Rachele, quando queste donne devono fare i conti con quella scelta che le ha spinte a rinunciare all’unico bambino della loro vita. In altri casi ancora, questo disagio emerge anche in molti uomini. Spesso perché responsabili di aver spinto molte donne ad abortire, oppure perché privati dalle loro compagne della possibilità di vivere il dono della paternità. Alla figura dell’uomo è dedicato il prossimo seminario della Dott.ssa Foà Un papà in lutto che si terrà a Medjugorje dal 15 al 19 giugno.
Ad organizzare numerosi seminari ci sono anche i volontari della Vigna di Rachele. Valeria D’Antonio ci racconta un’esperienza simile a quella di Benedetta Foà: «La Vigna di Rachele si occupa della guarigione spirituale e psicologica dopo l’aborto soprattutto volontario. Nasce negli Stati Uniti quasi 30 anni fa mentre è in Italia da soli 4 anni. A portarla in Italia è stata Monika Rodman. Io sono psicologa e nell’equipe c’è sempre una psicologa o una psicoterapeuta, un sacerdote e alcune ex-partecipanti a ritiri precedenti. Facciamo dei ritiri spirituali di un weekend, dal venerdì alla domenica, e sono dei ritiri molto intensi studiati per questa tematica. Il metodo principale è quello delle scritture viventi, che consiste nella lettura di brani evangelici o biblici su cui vengono fatte delle meditazioni. Il sabato mattina è dedicato al racconto delle storie personali. Molto spesso le cause vanno ricercate anche prima, nell’infanzia, nella vita in famiglia e dedichiamo tutta la mattina del sabato all’ascolto di queste storie. Un altro momento importante è quello in cui si esprimono  i sentimenti irrisolti o la rabbia legati all’aborto attraverso la scrittura di una lettera in cui si confessano le emozioni. Si tratta di un cammino che propende verso il perdono attraverso cui cerchiamo di far capire ai partecipanti che non devono farsi carico del peso di questa rabbia ma devono affidarla ad un Altro. Poi viene costruita una relazione seguendo il processo del lutto: si racconta la storia, si elaborano le emozioni e ci si ricollega con questo bambino perso a cui viene dato un nome. Il ritiro si conclude la domenica. Prima della messa c’è una funzione commemorativa in cui vengono lette le lettere ai bambini, viene fatto un gesto simbolico di affidamento che fa parte del percorso di elaborazione del lutto, e si arriva finalmente a lasciarli andare affidandoli ad una misericordia divina».

Anche in questo secondo caso, le persone che scelgono di seguire questo percorso di fede, lo fanno perché sono in una condizione di malessere che si trascinano dietro da anni. Quel senso di vuoto irrisolto spinge donne e uomini a fare ricerche su internet, a interrogarsi sulla sindrome post-aborto e li motiva a cercare delle risposte. Sono in tanti a maturare molto tardi la consapevolezza delle conseguenze che un atto del genere racchiude in sé. Se all’inizio, difatti, matura vince la convinzione che non c’è nulla di male e che niente cambierà, che tali siamo e tali resteremo, in seguito all’aborto in molte donne e uomini qualcosa crolla. È quello che succede quando la menzogna «dell’io sarò la stessa persona si sgretola» e le donne capiscono che «che prima c’era un bambino che adesso non c’è più».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

6 - EUTANASIA AL GEMELLI: LA BUFALA INVENTATA DAL ‘‘FATTO QUOTIDIANO’‘
Il trucco è chiamare ‘‘eutanasia’‘ quel che invece è la desistenza terapeutica.
Fonte UCCR on line

“Il Fatto Quotidiano” e i Radicali ci hanno provato ancora: manipolare la realtà e l’informazione per instillare precisi ragionamenti, ingannando i cittadini italiani al fine di sponsorizzare leggi contro la dignità della vita e in favore della “cultura dello scarto”.
Tutto parte quando la giornalista Silvia D’Onghia de “Il Fatto Quotidiano” decide di sintetizzare una video-intervista che il professor Mario Sabatelli, neurologo responsabile del centro SLA del Policlinico universitario Gemelli di Roma, ha rilasciato all’associazione “Viva la Vita onlus”. Sabatelli è stato scelto apposta in quanto è medico del cosiddetto “ospedale del Papa”, non a caso nell’articolo più volte si precisa che tutto si svolge in un “ospedale cattolico”. Sotto il titolo, “Eutanasia, neurologo Gemelli: «I miei pazienti possono scegliere di morire»“, la foto-simbolo di Eluana Englaro, anche se non era né terminale né tanto meno malata di Sla. L’articolo cita alcuni selezionati stralci del discorso del prof. Sabatelli dove afferma di aver interrotto la terapia di sostegno a un paziente tracheostomizzato, accanto a commenti ben direzionati da parte della giornalista.
Il giorno dopo alcuni quotidiani hanno ripreso la vicenda e immancabile è stato l’arrivo dei Radicali: «Quello di Sabatelli e dell’ospedale Gemelli è un comportamento ineccepibile, sia sul piano della legge che su quello del buonsenso», ha affermato Marco Cappato. Ma ad arrivare è stato anche il commento del dott. Massimo Antonelli, direttore del Centro di Rianimazione e Terapia Intensiva del Policlinico Gemelli. Al Gemelli ci sono pazienti lasciati liberi di morire?. «Assolutamente no: noi non abbandoniamo mai i malati, neanche nella delicatissima fase terminale della vita, in cui accompagniamo i pazienti, valutando la loro singola situazione caso per caso, anche con le cure palliative, quando non rispondono più ad alcuna situazione terapeutica». Il prof. Antonelli parla degli articoli apparsi come “distorti”, perché «c’è un fraintendimento riguardo al termine eutanasia: si abusa in modo sciatto e inappropriato del termine eutanasia confondendola con un concetto che è precisamente in linea con il Codice deontologico dei medici e con i principi fondamentali della Chiesa cattolica: la desistenza terapeutica».
Ecco il punto in cui ha provato l’inganno la redazione de “Il Fatto”: «Indipendentemente dal malato che mi trovo di fronte», ha chiarito il medico, «se il paziente è in condizioni di terminalità e i miei supporti vitali sono di fatto cure sproporzionate, ho il dovere umano e morale di rispettare la dignità del malato e di operare una desistenza terapeutica, dando cure appropriate come quelle palliative. Questo non significa sospendere i trattamenti essenziali: nelle situazioni più delicate, ad esempio, quando il malato soffre di patologie in forma avanzata come la Sla, che è irreversibile e che peggiora con il tempo, e dove anche la ventilazione può non essere più sufficiente, ma anzi complicare ulteriormente la situazione del malato, non ha alcun senso continuare un trattamento a cui il malato non risponde». Si tratta, però, di «casi estremi, che riguardano una ristrettissima minoranza», e che al Gemelli vengono trattati all’interno di «un’alleanza terapeutica che coinvolge il medico, il paziente, la sua famiglia, tramite un’équipe multidisciplinare che accompagna il malato in ogni stadio della malattia. Mai l’abbandono», ha concluso il dott. Antonelli, deplorando «un’attenzione mediatica che distorce, non consentendo di affrontare temi così delicati con la dovuta serenità e pacatezza». Di qui l’invito ad «abbassare i toni», nel nome del «rispetto del malato, della persona che soffre e che ha bisogno di aiuto».
Anche il professore di Medicina Legale dell’Umberto I, Enrico Marinelli, è intervenuto spiegando che togliere la ventilazione non significa praticare eutanasia: «Non potrebbe che essere così, perché quelli sono pazienti curati in reparti specializzati in pneumologia, quindi se rifiutano la ventilazione diventano pazienti da seguire in altro modo, a casa chi può o in strutture idonee a erogare cure palliative. Non significa metterli in mezzo a una strada ma toglierli da un reparto destinato ad altri scopi». Ed in ogni caso: «Il paziente deve essere messo sempre in condizione di rifiutare una terapia, anche se questa è stata iniziata. Ma se viene accompagnato adeguatamente, avvisandolo prima che la decisione di accettare una terapia sarà, di fatto, senza ritorno, il problema è molto raro, direi quasi più teorico che pratico».
Il quotidiano “Avvenire”, dopo aver mostrato l’intera video-intervista del dott. Sabatelli, ha affermato: «Discorso chiaro, eppure Sabatelli ieri è stato ripreso, tagliato, reinterpretato e manipolato». Sabatelli parlava dell’alleanza tra medico e paziente e sul cambiamento del piano terapeutico quando le cure non sono più proporzionali. Oltretutto, altro passaggio censurato da “Il Fatto”, Sabatelli si è detto contrario al testamento biologico: «non do valore notarile a nessun documento, tutte le scelte vengono modificate via via con il paziente». In caso di mancata coscienza «il parere del partente è assolutamente nullo, io intervengo» salvandogli la vita con il respiratore, «poi, se è lucido, potrà rivalutare la decisione». Solo ora viene citato come paragone il dott. Riccio, che staccò il respiratore di Welby (e che la giornalista Silvia D’Onghia definisce «il medico di Eluana»).
Il dott. Massimo Antonelli, collega di Sabatelli, è stato intervistato anche da “Avvenire”, dove ha ribadito che «il grave fraintendimento è che si scade nel concetto di eutanasia per ciò che è anzi l’opposto. Desistenza terapeutica non significa abbandono ma stare sempre vicino al malato in tutte le evoluzioni della malattia, l’esatto opposto di certi titoli. Recedere dalla tracheostomia non significa staccare il respiratore ma passare alla maschera, meno efficace ma anche meno invasiva, accompagnando il paziente in una assistenza continua: vivrà un po’ di meno ma in modo dignitoso e con meno sofferenze».

Paola Binetti ha giustamente commentato questa bufala montata dal quotidiano di Padellaro: «è una manovra de “Il Fatto” per portare a casa la legge sull’eutanasia». Ribadiamo il nostro consiglio: per essere davvero informati smettiamo di acquistare i quotidiani (“Avvenire” e “Osservatore Romano” a parte). Un saggio uso del web basta e avanza.

Fonte: UCCR on line

7 - IL PAPA PARLA CHIARO A PROPOSITO DELL’ABORTO
I media strumentalizzano ogni sua parola, ma la dottrina non è stata cambiata di una virgola, semmai ribadita con forza
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Si chiama paralogismo, e ai bei tempi in cui si studiava ancora la filosofia - che non si riduce alla storia della filosofia - lo si presentava agli studenti come modello della deduzione sbagliata, in latino «non sequitur», cioè una conseguenza che non segue logicamente dalla premessa. «Mia nonna ha sposato mio nonno, mio nonno è un maschio, dunque mia nonna è un maschio». Il paralogismo è finito in prima pagina a proposito delle dichiarazioni del segretario della Conferenza Episcopale Italiana mons. Nunzio Galantino il quale ha criticato chi protesta contro l’aborto fuori degli ospedali. «Mons. Galantino sembra aprire all’aborto, il Papa ha nominato mons. Galantino, dunque il Papa apre all’aborto». È la stessa logica per cui la nonna diventa un maschio, ma non l’abbiamo sentita solo su «Radio Radicale»: chi osanna il Papa in modo manipolatorio, o chi non perde occasione per parlarne male, continua a riproporci lo stesso ragionamento.
La vicenda - mi permetto di scriverlo - mi ha ricordato il ruolo indispensabile che svolge La nuova Bussola quotidiana quando tutti i giorni, metodicamente, spiega ai lettori che cosa ha veramente detto il Papa. Non, come scrive qualcuno, «arrampicandosi sugli specchi» ma semplicemente aprendo e chiudendo, con pazienza, le virgolette per far conoscere le parole esatte del Papa e non le loro più o meno maliziose interpretazioni.
Che cosa insegna Papa Francesco sull’aborto non è oggetto di illazioni, né abbiamo bisogno di chiederlo a mons. Galantino. L’espressione coniata da San Giovanni Paolo II (1920-2005) e ripresa da Benedetto XVI per opporsi all’aborto e all’eutanasia - la vita si difende «dal concepimento alla morte naturale», oppure la sua difesa è fasulla - torna costantemente nel Magistero di Papa Francesco.
Ne cito solo alcuni esempi. Nel Regina Coeli del 12 maggio 2013 , salutando i partecipanti alla Marcia per la Vita e alla raccolta di firme «Uno di noi», il Papa ha sottolineato «il tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento» e il dovere per gli Stati di «garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza».
Il 15 maggio 2013, nell’udienza generale, il Pontefice ha voluto ricordare «a tutti la necessità di promuovere e difendere la vita umana dal concepimento al suo naturale declino». Il 19 agosto 2013 Papa Francesco ha scritto ai partecipanti al Meeting di Rimini, auspicando che i loro lavori dessero spazio «all’unicità e preziosità di ogni esistenza umana dal concepimento fino al termine naturale». Il 20 settembre 2013, parlando alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, il Papa ha affermato: «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo». «La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita. Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni e alcuni di essi sono più preziosi; ma è quello il bene fondamentale, condizione per tutti gli altri (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre 1974, 11). Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte, ci troviamo in situazioni dove vediamo che quello che costa di meno è la vita».
Il 24 marzo 2014, rivolgendosi alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, il Papa ha ripetuto che «nella custodia e nella promozione della vita, in qualunque stadio e condizione si trovi, possiamo riconoscere la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, dal concepimento fino alla morte». L’11 aprile 2014, incontrando il Movimento per la Vita, Papa Francesco ha voluto «ribadire la più ferma opposizione ad ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa, e il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia. Ricordiamo le parole del Concilio Vaticano II: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli”». Il giorno successivo, il 12 aprile 2014, agli specialisti di chirurgia oncologica il Pontefice ha detto che «la condivisione fraterna con i malati ci apre alla vera bellezza della vita umana, che comprende anche la sua fragilità, così che possiamo riconoscere la dignità e il valore di ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi, dal concepimento fino alla morte». L’8 maggio 2014, ai dirigenti - in gran parte abortisti - delle Nazioni Unite Francesco ha ricordato che «proteggere la vita dal suo concepimento alla sua fine naturale» è un imperativo che «deve essere sempre al di sopra dei sistemi e delle teorie economiche e sociali».
Va aggiunto il riferimento - implicito ma terribile - all’aborto nella predica del 18 novembre 2013 dedicata al romanzo «Il padrone del mondo» di Robert Hugh Benson (1871-1914) e ai «sacrifici umani» imposti dalla dittatura del «pensiero unico» nei tempi ultimi. «Ma voi - ha chiesto il Papa - pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono».
Concludo con il documento più importante, la carta programmatica del pontificato: l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Un documento lodato da tanti per la sua attenzione agli «ultimi». Gli «ultimi»: certo. Ma, spiega l’esortazione apostolica, quando si parla di deboli e di ultimi, non di deve poi mai dimenticare che tra loro «ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo». Spesso si cerca di «ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri». Ma la violazione del diritto alla vita, con la moltiplicazione del numero degli aborti, «grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo». Sbaglia di grosso, precisa Papa Francesco, chi si aspetta «che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana».

Questa è la posizione di Papa Francesco. È troppo chiedere che i suoi interessati «amici» e i suoi detrattori, nei media, nei blog, in televisione e alla radio, e pure i vescovi e i sacerdoti, quando la riferiscono siano anche loro «del tutto onesti al riguardo»?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

8 - LA DISCRIMINAZIONE TRA I DISCRIMINATI?
In Belgio, la ‘‘genitorialità’‘ lesbica discrimina gli uomini gay...le forzature sono forzature...
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Nel 2003 il Belgio introduce il “matrimonio” omosessuale. Successivamente apre anche all’adozione da parte dei “coniugi” gay. Ad inizio maggio è stata infine approvata la legge sulla co-genitorialità. Si tratta di questo: Tizia e Caia si “sposano”. Poi decidono di avere un bambino con la fecondazione artificiale. Tizia partorisce il bambino. Fino a ieri Caia, per figurare ufficialmente come genitore del piccolo, non poteva far altro che adottarlo. Ora invece scatta la presunzione di genitorialità. È dunque sufficiente che una delle due donne lesbiche partorisca il figlio affinché quest’ultimo automaticamente sia anche “figlio” della seconda donna.
La legge sulla presunzione di genitorialità ricalca in modo palese l’istituto della presunzione di paternità presente in molti ordinamenti giuridici. Se Maria è moglie di Roberto e partorisce un bebè, si presume per legge che Roberto realmente ne sia il padre, almeno fino a prova contraria. Ma nel caso delle donne lesbiche è scorretto parlare di presunzione, perché presumere che colei che non ha partorito l’infante sia madre biologica è assolutamente falso. Non si tratta dunque di una presunzione, bensì di una finzione, di un inganno.
Per quale motivo i legislatori belgi si sono inventati una norma così bizzarra? Perché in tal modo il bambino – così si legge nelle motivazioni – “non percepirà la disparità dei suoi due genitori. Questo riconoscimento è simbolico e permette alla coppia di rassicurare il bambino”. A parte che ci sono una montagna di studi i quali provano che un bambino cresciuto all’interno di una coppia omosessuale è tutto fuorché felice, ma al di là di questo le comunità gay non ci hanno ripetuto fino alla noia che la “disparità” tra genitori eterosessuali e omosessuali non viene percepita dal bambino, perché quello che conta è “l’amore”? Ora invece veniamo a scoprire che il bimbo potrebbe risentirsi nello scoprire che una della due donne è più madre dell’altra. “Disparità” questa che la legge sulla co-genitorialità di certo non potrà cancellare dato che una delle due avrà portato a termine la gestazione e avrà messo a disposizione il proprio ovocita per la fecondazione. Insomma il figlio anche con questa legge sarà figlio genetico e biologico solo di una delle due.
I legislatori paiono accorgersi che questa norma è tutta una montatura ed infatti parlano di “riconoscimento simbolico”. E qui si scoprono gli altarini gay. Perché non c’è nulla da fare con madre natura: fino a quando la tecnica non permetterà che un bambino venga concepito da due donne – ma il bioeticista John Harris in un suo articolo scientifico ci informa che la meta non è poi così lontana (cfr. “John Harris, il bioeticista che gioca con la vita”) – si possono ottenere sulla natura solo vittorie simboliche, di bandiera.
In realtà la norma appena varata mira, come sempre, non alla felicità dei futuri pargoli di coppie gay bensì a soddisfare i desideri di queste, la voglia di sentirsi “genitori” anche se non lo sono. Se non puoi essere genitore biologico, almeno che sia riconosciuto il diritto di immaginarsi come tale.
Tale decisione del Parlamento belga ha poi creato un curioso cortocircuito. Da questa normativa sono escluse le coppie “coniugate” maschili. Infatti l’unico modo perché almeno uno dei due partner possa essere genitore biologico è quello di passare attraverso la pratica dell’utero in affitto, pratica vietata in Belgio. Ad oggi le coppie omosessuali possono diventare “genitori” solo tramite l’adozione praticata da entrambi. Le comunità gay maschili sono insorte protestando e dichiarando che questa legge è solo una discriminazione bella e buona. Uno strano caso di discriminazioni tra omosessuali (e qui maschi e femmine una volta tanto gongolano). Una discriminazione che per paradosso ricorda a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda che per davvero maschi e femmine sono diversi – dato che nel caso specifico ad esempio i primi non possono partorire - così empiricamente diversi che addirittura una legge gay friendly come questa lo riconosce per iscritto.
Lo smacco a questa nuova legge sulla co-genitorialità è ancor più cocente perché gli intenti della normativa andavano nella direzione proprio dell’egualitarismo più assoluto: «Le coppie hanno sofferto psicologicamente di questo mancato riconoscimento [della co-genitorialità automatica]. Nessun genitore, biologico o meno, è secondo all’altro. Non c’è un genitore numero uno e la filiazione omosessuale non può che migliorare il benessere e il funzionamento della coppia e della famiglia».

Ma è inevitabile che le cose andassero così. La logica di assegnare la patente di diritto ad ogni vezzo di chicchessia porta ad ampliare a dismisura il catalogo dei diritti e moltiplicando questi all’infinito di certo non tutti i diritti avranno pari peso, non tutte le condizioni avranno meritato dal legislatore uguale attenzione e tutela. Però questo meccanismo perverso porta alla fine a ricalcare per assurdo ciò che accade nella realtà. Infatti anche la vita, ahinoi, discrimina tutti noi perché uno lo fa nascere più bruttino di un altro, un altro meno ricco e un terzo più stupido. C’est la vie.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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