Amici del Timone n�23 del 21 agosto 2013

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1 BIOETHICS: DIZIONARIO RAGIONATO DI BIOETICA PER TUTTI
Carlo Bellieni ci regala un nuovo strumento alla portata di tutti per educarsi ed educare alla realtà
di Michele Blum - Fonte: UCCR on line
2 CHE COS'E' LA FAMIGLIA IN TRE PUNTI
Una voce del glossario ragionato di bioetica a proposito della famiglia: una cosa che non ci dovrebbe essere bisogno di spiegare
di Carlo Bellieni - Fonte: Glossario di bioetica
3 L'ABORTO NON E' UN DIRITTO
L'autorevole opinione di un giurista tutt'altro che cattolico
Fonte: UCCR online
4 I MARTIRI CRISTIANI
Un incontro per capire, nell'anno della Fede, come vivono i nostri fratelli cristiani che vivono la persecuzione
di Paolo Delprato - Fonte: Scienza & Vita di Siena
5 LE DISCRIMINAZIONI CONTRO I GAY IN ITALIA ESISTONO O SONO STRUMENTALIZZAZIONI?
Fonti ufficiali confermano indirettamente che il motivo per cui si vuole fare una legge anti-omofobia è un altro
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 OMOSESSUALITA': PERCHE' IL RISPETTO E LA COMPRENSIONE NON VIAGGIANO SULLO STESSO PIANO DELLA RIVENDICAZIONE DI DIRITTI INESISTENTI
Papa Francesco ci indica la strada maestra per non perdere la testa di fronte ai media...
di Roberto Marchesini e Marco Invernizzi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 LA MATERNITA' RENDE FELICI...ANCHE CHI NON LA SCEGLIE
Il 95% delle donne cui è negato l'aborto vive felice...l'aborto non è favore della salute mentale della donna.
Fonte: UCCR online
8 MASSIMO DI CATALDO PRESO DI MIRA SUI SOCIAL NETWORK
Quando la donna è una vittima allora l'aborto fa rumore... il reato discrezionale del nostro ordinamento
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 UTERI IN AFFITTO: BOOM DI RICHIESTE PER LE COPPIE GAY
Centri specializzati offrono un bebè a misura del proprio egoismo e in perfetto stile eugenetico per soddisfare qualunque esigenza
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
10 LACRIME DI COCCODRILLO PER I BAMBINI DOWN
L'ONU ha dichiarato la giornata mondiale per la sindrome di Down, ma poi promuove la soppressione eugenetica dei bambini handicappati
di Renzo Puccetti - Fonte: ProLife News

1 - BIOETHICS: DIZIONARIO RAGIONATO DI BIOETICA PER TUTTI
Carlo Bellieni ci regala un nuovo strumento alla portata di tutti per educarsi ed educare alla realtà
di Michele Blum - Fonte: UCCR on line, 06/08/2013

Se l’etica, oggi, è una disciplina guardata con astio perché pare un attentato alla libertà dell’Uomo, la bioetica ancor di più è vittima di pregiudizi simili perché nuota nelle profonde e vaste acque delle scienze naturali.
Eppure la bioetica, come giustamente sottolinea il professor Carlo Bellieni (neonatologo, bioeticista e consigliere nazionale Associaz. Scienza e Vita), non segue principi, ma la realtà. La realtà, per  chi ama la freschezza del sapere, è l’unica cosa che veramente conta per ogni disciplina scientifica; ecco perché la bioetica diventa indispensabile,  non solo per lo scienziato in quanto tale, ma per ogni altra persona umana che vuole godere della massima espressione positiva della vita.
Il problema è che non tutti possono permettersi di studiare bioetica, non tutti hanno il tempo e le energie per capire i “mattoni” che le fanno da fondamenta. Tuttavia, da qualche settimana, il professor Bellieni cura un nuovo progetto finalizzato ad aprire la bioetica a chiunque.
Una bioetica proposta in modo semplice, piacevole, chiaro e che non si fonda su norme preconfezionate, bensì sulla ragione (partendo dal principio che nessuna censura che nega il reale va accettata), sul realismo (cambiare le idee in base alla realtà e non falsare la realtà per farla assomigliare alle proprie idee) e sull’empatia (amore o comunque interesse per la realtà).
Alla domanda: “perché proporre un glossario ragionato di bioetica?” il professor Bellieni risponde così: “Perché è la ragione che ci aiuta a capire “il perché” delle cose e delle scelte. Non bastano gli slogan o le definizioni. Come insegna Papa Francesco, dobbiamo imparare ad essere buoni medici dell’etica, e il buon medico non pensa di far sparire i sintomi e basta, ma pensa come far sparire la malattia. Il ragionare sui termini ci induce per forza ad un’azione di attacco alla radice dei problemi.”
Il link della pagina è: http://glossario.webnode.it/. Il sito, settimana dopo settimana, presenterà nuove voci che permetteranno ai lettori di creare un rapporto utile e costruttivo con la bioetica.

Fonte: UCCR on line, 06/08/2013

2 - CHE COS'E' LA FAMIGLIA IN TRE PUNTI
Una voce del glossario ragionato di bioetica a proposito della famiglia: una cosa che non ci dovrebbe essere bisogno di spiegare
di Carlo Bellieni - Fonte: Glossario di bioetica

Realismo
La parola matrimonio deriva dal latino matrimonium, ossia dall'unione di due parole latine, mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere; il matrimonium era nel diritto romano un "compito della madre", intendendosi il matrimonio come un legame che rendeva legittimi i figli nati dall'unione. Analogamente la parola patrimonium indicava il "compito del padre" di provvedere al sostentamento della famiglia. La famiglia ha la sua radice nella protezione del debole - famulus - che storicamente è la donna e la prole. Dunque il primo passo è un gesto di affetto, il secondo è un contratto che ha una valenza sociale, perché la società si fa garante della difesa dei suddetti soggetti deboli attraverso la famiglia e perché la famiglia è non solo una cellula della società ma la risorsa principale in quanto motore dell’economia e della progettualità. La famiglia pertanto è l’unione di un uomo e di una donna che ha per fisiologico e indiscutibile risultato la prole. Altre forme di convivenza, che non prevedono almeno come possibilità il concepimento di figli sono rispettabili ma non sono una famiglia.
La ragione
Cosa ci importa realmente della famiglia? È un legame naturale indissolubile quello che lega i genitori ai figli, anche nelle famiglie più burrascose e disorganizzate ed è un legame che crea benessere; per questo la società ha interesse di tutelarlo e di agevolarlo. Il legame tra uomo e donna nel matrimonio, pur non essendo genetico, non ha solo una funzione di contratto, ma di parabiosi, cioè di somministrazione reciproca di vita. In altre parole, chi si sposa acquista una natura diversa, perché allarga il suo essere al coniuge.
Tutelare la famiglia rispetto ad altre forme di vita in comune? Certo il matrimonio può diventare una caricatura e spesso lo è diventato, quando le due dimensioni ( classicamente definite eros e agape) “si distaccano completamente l’una dall’altra”, cosa che avviene quando la dimensione di contratto prevale. Questo si è sempre verificato, con matrimoni combinati, di convenienza, imposti; ma ora sembra essere la norma. Allora altre forme di presenza sociale - persone che scelgono di vivere da sole o coppie che non accettano un legame stabile - trovano spazio nella società, ma non sono una famiglia, proprio per l’assenza del concetto di base: accettare un legame “parabiotico” nell’interesse del più debole, capace di concepire una vita nuova. La famiglia è base di consistenza della società, sia per un fatto etico sia per un fatto economico; per questo sostenere le famiglie e favorirne la costituzione è un atto che la società fa nel suo stesso interesse. Una società moderna che non favorisce le famiglie nella misura della loro numerosità e bisogni è una società morente, dato che le famiglie ne garantiscono la forza morale e ne esercitano l’azione di ammortizzatore economico in momenti di crisi.
Il sentimento
Non si può pensare alla famiglia solo come ad un contratto; quando se ne parla in questi termini - fosse anche per sostenerne l'utilità - si distrugge l'idea stessa di famiglia. E paradossalmente non se ne può parlare solo in termini di "amore" o "innamoramento", perché ci sono periodi duri in cui nella famiglia scoppiano conflitti, pur restando una famiglia. Si parli allora di famiglia pensando ad un luogo di accoglienza, condivisione, costruzione e creazione, in cui tutti i giorni si cerca di guardare con uno sguardo positivo al destino degli altri.

Fonte: Glossario di bioetica

3 - L'ABORTO NON E' UN DIRITTO
L'autorevole opinione di un giurista tutt'altro che cattolico
Fonte UCCR online

Ogni volta che si sente parlare di “diritto all’aborto” ci si chiede se davvero possa esistere un diritto a sopprimere la vita di un altro essere umano.
Nella moderna ed occidentale dittatura dei diritti (ogni cosa che si vuole diventa un diritto da acquisire!) anche l’aborto si è trasformato in un diritto della donna. Ce lo dicono ogni giorno i fanta-giornalisti de “Il Fatto Quotidiano”, ce lo dice la Consulta di Bioetica Laica (i cui responsabili sono noti per aver teorizzato l’infanticidio), ce lo dice l’Associazione Luca Coscioni (nota manipolatrice di studi scientifici per far dire a loro quel che vorrebbero sentirsi dire).
Eppure -per molti sarà uno scandalo saperlo-, l’aborto non è un diritto. Non lo dicono solo il Tribunale Europeo, il giurista Francesco d’Agostino, il filosofo Tommaso Scandroglio e il costituzionalista Cesare Mirabelli.
Questo ovvio riconoscimento della realtà, tra i più politicamente scorretti che ci possano essere, è stato avvalorato da Vladimiro Zagrebelsky, magistrato ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo aver definito «legislazione estremamente restrittiva» rispetto all’aborto la nuova legislazione dell’Irlanda, -in realtà ancora un orgoglio per i difensori del diritto alla vita!- in un recente articolo ha spiegato che «la Corte europea ha affermato che, in materia così delicata, legata come è a Valutazioni di natura etica, gli Stati hanno un margine di apprezzamento nazionale che giustifica l’adozione di soluzioni diverse. Essa non ha mai affermato che esista un “diritto all’aborto”, anzi ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna. Secondo la Corte, la disciplina nazionale relativa all’aborto riguarda il diritto al rispetto della vita privata della donna, con la conseguenza che sono ammesse restrizioni al suo esercizio. Il diritto al rispetto della vita privata, infatti, non è un diritto assoluto, insuscettibile di limitazioni e regole». «Nemmeno la legge italiana prevede un “diritto all’aborto”», ha concluso il magistrato, «essa regola la difficile, drammatica contrapposizione tra la prosecuzione della gravidanza e la tutela della madre».
Nessun diritto all’aborto, dunque. Nessun diritto a terminare la gravidanza prima del parto, anche perché tutte le leggi sull’aborto prevedono delle restrizioni: in Italia, ad esempio, oltre la 22° settimana e in una situazione ordinaria, alla donna non è permesso interrompere la gravidanza in quanto sarebbe omicidio, essendo ormai evidente che si sta parlando di due vite umane distinte (eppure questa evidenza è oggi chiara dal momento del concepimento, anche se fa comodo fare finta di nulla).
Tanto di cappello a Zagrebelsky per il coraggio di aver detto la verità. Le scalmanate di “Se non ora quando?” reagiranno? Assolutamente no, loro vengono attivate soltanto se a descrivere la scomoda realtà è un personaggio cattolico.

Fonte: UCCR online

4 - I MARTIRI CRISTIANI
Un incontro per capire, nell'anno della Fede, come vivono i nostri fratelli cristiani che vivono la persecuzione
di Paolo Delprato - Fonte: Scienza & Vita di Siena, 21 agosto 2013

I MARTIRI CRISTIANI
La libertà religiosa nel mondo

Intervengono:
Massimo Ilardo - Direttore Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia
Padre Youannes Medat Samir - Sacerdote egiziano

Nel pomeriggio sarà possibile visitare la mostra fotografica di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” nel chiostro di s. Antonio al bosco
Giovedì 5 settembre 2013 - ore 21.00
Casa S. Antonio al Bosco - Loc. S. Antonio al Bosco - Pian del Casone - Colle Val d’Elsa

Fonte: Scienza & Vita di Siena, 21 agosto 2013

5 - LE DISCRIMINAZIONI CONTRO I GAY IN ITALIA ESISTONO O SONO STRUMENTALIZZAZIONI?
Fonti ufficiali confermano indirettamente che il motivo per cui si vuole fare una legge anti-omofobia è un altro
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Gli omosessuali sono realmente discriminati nel nostro Paese? E’ davvero così urgente varare la legge sull’omofobia? Un paio di giorni fa proprio su queste pagine l’on. Mantovano si domandava: “Sono forse disponibili dati oggettivi relativi al numero delle violenze o degli atti di discriminazione realizzati col fine di danneggiare persone omosessuali?” E poco più avanti si dava la risposta: “Il dato certo è che non esistono dati certi”. 
Il giudizio dell’on. Mantovano trova riscontro in due recenti documenti che, a motivo degli autori che li hanno redatti e a motivo dell’orientamento pro-omosessualità che li innerva, non possono essere di certo sospettati di partigianeria eterosessualista. 
Nel recente report del Dipartimento delle Pari Opportunità dal titolo “Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” – report qui più volte messo sotto la lente di ingrandimento – si può leggere che nel 2012 il Contact Center dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha scovato solo 135 casi di discriminazione attinenti all’ “orientamento sessuale” (p. 5). E nella “maggior parte dei casi le istruttorie [sic] vengono aperte direttamente dall’Ufficio” (p. 6). Insomma il fenomeno è così allarmante che nessuno denuncia e se i discriminati non vengono alla scoperto li andiamo a scovare noi dell’UNAR.
Più avanti inoltre si legge a riprova che gli omosessuali non sono discriminati: “Non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, e nel lavoro pubblico o privato” e anche in ambito sanitario. Il dato deve aver creato un certo imbarazzo e allora come spiegarlo? Semplice: gli omosessuali hanno paura a denunciare. Quali prove a sostegno di questa tesi? Nessuna. 
Poi si cita un’indagine ISTAT che riporta le percentuali di omosessuali i quali si sono sentiti discriminati nel trovare un alloggio, sul luogo di lavoro o nella ricerca di un’occupazione. Le percentuali variano dal 10 a quasi il 30%. Il dato è interessante – perché pare contraddittorio - se paragonato al fatto che ammontano a zero i “casi accertati di discriminazione”. Infatti per “accertati” dobbiamo intendere “qualificati come tali da un pubblico ufficiale o un giudice”. Il report quindi ci dice che esiste una bella differenza tra il giudizio soggettivo del presunto discriminato e il giudizio oggettivo – perché terzo – di un arbitro super partes. Essere discriminati è cosa diversa dal sentirsi discriminati. I due aspetti non per forza sempre coincidono.
Passiamo ora ad un secondo documento: “Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (2007-2013)” a firma dell’Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford con il patrocinio del Fondo sociale europeo dell’Unione Europea, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del Dipartimento delle Pari Opportunità. Il documento parte da un’analisi dei giudizi degli italiani sull’omosessualità: emerge un giudizio sostanzialmente negativo sugli atti omosessuali, sul “matrimonio” gay e sull’adozione da parte di coppie omosessuali. Da qui la conclusione secondo gli estensori dello studio che in Italia sono molto diffusi intolleranza, omofobia e pregiudizi (p. 58). In buona sostanza è sufficiente non approvare l’omosessualità – ma non per questo discriminare gli omosessuali, si badi bene – che si è omofobi. 
Un secondo aspetto: in 352 pagine di report – corredate da moltissimi rimandi bibliografici e studi sociologici, di costume, storici, etc. - nessun accenno statistico su violenza, minacce, insulti, calunnie a danno degli omosessuali. Nulla di nulla. Nemmeno le battutacce da caserma vengono prese in considerazione.
L’unico strumento che viene utilizzato è quello dell’intervista. Ecco qualche dato di rilievo. “Persone che si dichiarano vittima di discriminazione per via del proprio orientamento sessuale”: tra il 2 e il 6% a seconda delle regioni italiane (p. 63). Quindi pochissime. Eppure circa il 50% degli intervistati dice che non si fa abbastanza contro l’omofobia (p. 66). 
Poi però il focus si sposta sui transessuali e la musica cambia. Solo il 14% di costoro dichiara di non aver mai subito discriminazioni negli ultimi due anni. “Gli episodi più frequenti di discriminazione – si legge nel documento - sembrano riguardare insulti, derisione e violazione della privacy. Ad ogni modo, appaiono gravemente frequenti anche episodi di violenza fisica (24%), molestie sessuali (18%) e violenze di tipo sessuale (8%)” (p. 85). 
Ci sono però due particolari da tenere in considerazione per leggere con fedeltà al reale questi dati. Il primo: il 62% del campione si prostituisce. Nulla giustifica percosse ed insulti – nemmeno il lavoro più vecchio del mondo – però è certo che una tale attività espone inevitabilmente ad alcuni rischi. L’obiezione è dietro l’angolo: queste persone finiscono sulla strada perché costrette. Falso. Infatti lo stesso rapporto chiarisce che “la maggioranza […] esercita la prostituzione solo come mezzo necessario per procurarsi reddito e seguire le cure. Va però notato che una significativa minoranza (20 persone, il 40% di chi si prostituisce) dichiara di farlo come scelta libera e soddisfacente”.
Secondo elemento da tenere in considerazione: chi è che maltratta i trans? “Parenti (34%), dipendenti pubblici (31%), forze dell’ordine (23%)”. Possiamo immaginare che tutte queste persone vengano bollate dal transessuale come vessatrici perché, nel caso dei parenti, questi non di rado non sono d’accordo con la sua scelta; nel caso dei dipendenti pubblici il cambiamento di sesso, già avvenuto o in fieri, crei oggettivi problemi anagrafici per ogni atto burocratico; nel caso delle forze dell’ordine, queste non vengano viste da buon occhio, per evidenti ragioni, da chi pratica la prostituzione. 
In buona sostanza ciò che difetta in questa ricerca è il fatto che vengono registrate le percezioni soggettive degli atti discriminatori da parte dei trans e non vengono registrati oggettivamente quali atti discriminatori sono stati realmente compiuti. Una cosa è credere di essere stati oggetto di maltrattamenti, un’altra è esserlo stati veramente. La ricerca esamina solo il primo punto. Stesso limite si riscontra anche in altri passaggi del report.
Ed infatti la stessa ricerca è costretta ad ammettere: “Al di là del dato sulla percezione della discriminazione, che per quanto sostanzialmente coerente è comunque basato su opinioni e punti di vista soggettivi, esistono pochissimi dati quantitativi sulla diffusione e il radicamento della discriminazione ai danni delle persone LGBT […. ] Ad oggi sono state condotte pochissime ricerche scientifiche, specificamente mirate a valutare e misurare questo fenomeno” (p. 79). E dunque la legge sull’omofobia su quali riscontri concreti e oggettivi si fonda?
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Abbiamo avuto difficoltà a reperire articoli realmente esaustivi della questione "Legge contro l'omofobia" e delle conseguenze che porterebbe
Per chi volesse approfondire l'argomento vi inseriamo il link al dossier su BB relativo all'omofobia 
http://www.bastabugie.it/it/ricerca.php?testo_ricerca=omofobia

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

6 - OMOSESSUALITA': PERCHE' IL RISPETTO E LA COMPRENSIONE NON VIAGGIANO SULLO STESSO PIANO DELLA RIVENDICAZIONE DI DIRITTI INESISTENTI
Papa Francesco ci indica la strada maestra per non perdere la testa di fronte ai media...
di Roberto Marchesini e Marco Invernizzi - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

In questi giorni, soprattutto nella rete informatica, si dibatte e si discute sulla prossima legge contro l'omofobia. Quello che colpisce è l'assoluta contraddittorietà della posizione di molti cattolici: condividono la premessa fondamentale dell'attivismo gay, ma non vogliono accettarne le conseguenze.
Qual è questa premessa fondamentale?
Quando si parla di omosessualità la questione è una sola; da questa discendono tutte le altre. La domanda è: l'omosessualità è una natura, una essenza, si nasce così, Dio ha voluto che alcune persone avessero questa “cosa”? Oppure è un disordine oggettivo, è accidente e non sostanza, non appartiene alla natura umana?
Questa è la domanda fondamentale alla quale si aggrappa ogni altro discorso.
Perché se l'omosessualità è naturale, se si nasce così, se alcune persone “sono” nella propria natura omosessuali, allora hanno ragione i gay. Non ha senso imporre a queste persone una croce per una tendenza assolutamente naturale; non ha senso tentare di cambiare la loro natura; non ha senso ostacolare le loro unioni, anche se la società (o il moralismo) dovesse pagare un prezzo. Non ha senso impedire loro di adottare e concepire figli. Se così è, se l'omosessualità è una essenza, allora la Bibbia sbaglia a considerare gli atti omosessuali una grave depravazione; allora è sbagliato anche il Magistero, e la Chiesa deve chiedere perdono e vergognarsi per le gravi sofferenze che inutilmente ed erroneamente ha imposto a queste persone. Ma se la Bibbia si è sbagliata, se il Magistero si è sbagliato, allora il cattolicesimo non è la religione voluta da Dio, è solo una morale, una filosofia, una credenza sbagliata, e ciò che è sbagliato merita di scomparire dalla faccia della terra.
Se l'omosessualità è una natura, una essenza, allora è giusto militare per i diritti di queste persone. Ed è giusta anche la legge contro l'omofobia: bisogna vietare che un'idea sbagliata, e dolorosa, continui a circolare.
Se invece l'omosessualità è un disordine oggettivo, se non si nasce così, se non fa parte del progetto di Dio per gli uomini, allora tutto cambia. Da un disordine non possono discendere dei diritti; non è giusto far tacere chi denuncia l'errore con apposite leggi; è giusto che chi desidera uscire da questo disordine abbia la possibilità di farlo.
È bene ricordarlo: il matrimonio gay, l'omogenitorialità, la legge contro l'omofobia, non sono obiettivi del movimento gay. Sono strumenti, mezzi. L'obiettivo è quello di ottenere un cambiamento nella mentalità comune. Ciò che i gay vogliono è che le persone siano convinte che l'omosessualità sia una natura, una essenza, e non un disordine oggettivo.
I militanti omosessualisti lo affermano esplicitamente.
Ricordiamo ad esempio quanto scrive lo storico del movimento gay in Italia, Gianni Rossi Barilli (Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 212):
«Si apre un pubblico dibattito sulle unioni civili, che sempre più diventano la questione prioritaria nell’agenda dell’Arcigay. E questo non accade perché migliaia di coppie omo scalmanate diano l’assedio al quartier generale per poter coronare il loro sogno d’amore. Anzi, il numero delle coppie disposte a impegnarsi per avere il riconoscimento legale è addirittura trascurabile [...].
Ma il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità».

Lo spiega, in modo esplicito e sintetico, Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, parlando addirittura di «matrimonio» gay (C. SABELLI FIORETTI intervista F. GRILLINI, Gay. Molti modi per dire ti amo, Aliberti, Reggio Emilia 2007, pp. 11-12):
"Sabelli Fioretti: Ma perché volete sposarvi?
Grillini: Intanto è una questione di principio. I cittadini omosessuali devono essere considerati alla stregua di qualunque altro cittadino e quindi devono avere gli stessi diritti. Gli eterosessuali hanno il diritto di sposarsi. Perché gli omosessuali no?
SF:La questione di principio l'ho capita. Ma mi chiedo perché abbiate questo desiderio. Un desiderio che negli eterosessuali va scemando...
G:L'esistenza di una legge che consenta alle persone omosessuali di accedere all'istituto del matrimonio o agli istituti equivalenti non implica l'obbligo di usarla. Basta che ci sia. Se poi uno vuole la usa, se non vuole non la usa. L'esistenza di un diritto non obbliga di avvalersi di questo diritto.
SF:Come l'aborto.
G:Bravissimo! È esattamente come l'aborto. Nessuno è obbligato ad abortire. Però deve esserci la libertà di farlo. Una legge ha solo il compito di garantire un diritto ma è anche un fatto educativo. Se esiste una legge che consente agli omosessuali di sposarsi o di accedere a un istituto simile è ovvio che diventa un fatto culturale perché si riconosce nei fatti l'esistenza delle persone omosessuali e si garantisce dignità alle persone omosessuali, anche a quelle che non si sposano, anche a quelle che non utilizzano i Pacs o i Dico. Insomma, la battaglia è rilevante prima di tutto sul piano simbolico, dell'uguaglianza, dell'equità".

È insensato, stupido e temerario opporsi alla legge contro l'omofobia, ai matrimoni omosessuali, all'omogenitorialità se si condivide la premessa fondamentale dell'attivismo omosessualista.
Ora il Papa, tornando dal Brasile, in una risposta a un giornalista ha ricordato il dovere dei cristiani di accogliere gli omosessuali e di non giudicarli, come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Molti hanno esultato, forse dimenticando che da anni il Catechismo impone questa accoglienza. Infatti chi accoglie gli omosessuali senza sfruttarli sono proprio coloro che non li giudicano per la loro diversità, ma chiamano per nome il loro dolore, la loro “croce”, e li aiutano a portarla indicando loro la possibilità di uscire dal loro disagio.
Ma la medaglia dell'accoglienza ha anche un'altra faccia: il riconoscimento che questa croce è la conseguenza di una tendenza disordinata. Perché delle due l’una: o il disagio è reale e si può portare come una “croce”, chiedendo a Dio la Grazia per sopportarlo, oppure è una tendenza normale e allora hanno ragione i movimenti gay. Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, nello stesso paragrafo, il 2358, afferma che l’omosessualità è una «inclinazione, oggettivamente disordinata». Perché se così non fosse allora non ci sarebbe neppure bisogno di un’accoglienza particolare. E, d’altra parte, se ci fosse solo il giudizio senza l’accoglienza, il cristianesimo sarebbe ridotto a una dottrina che giudica, ma non sa e non prova neppure a guarire la persona bisognosa.
Papa Francesco ha fatto benissimo a non cadere nella trappola dei giornali laicisti che vorrebbero inchiodare i cattolici come cattivi perché nemici dei gay, ricordando che, proprio a norma di Catechismo, i cattolici sono tenuti ad accoglierli come persone che subiscono una tendenza disordinata, e di fatto li aiutano come nessuno fa. Sarebbe auspicabile che noi cattolici ci ricordassimo di rileggere tutto il paragrafo del Catechismo:

"Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione".

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

7 - LA MATERNITA' RENDE FELICI...ANCHE CHI NON LA SCEGLIE
Il 95% delle donne cui è negato l'aborto vive felice...l'aborto non è favore della salute mentale della donna.
Fonte UCCR online

Qualche giorno fa il “New York Times” ha pubblicato un articolo dal titolo abbastanza inquietante: “Cosa succede alle donne a cui è negato l’aborto?”.
Si è cercato di rispondere alla domanda attraverso il “Turnaway Study”, uno studio realizzato da ricercatori dichiaratamente abortisti su 200 donne che hanno cercato l’aborto ma sono state respinte in quanto la gravidanza era troppo inoltrata per svolgere legalmente la procedura di uccisione del feto umano.
L’autore dell’articolo ha accompagnato il lettore attraverso la storia di S., una delle donne a cui è stata negata l’interruzione di gravidanza. Il lungo post parla di svariate tematiche arrivando poi a rivelare che oggi S. è una persona contenta e il suo bambino è «la cosa migliore che le sia mai accaduta. Lei dice: “è più che il mio migliore amico, più che l’amore della mia vita”. La donna ha realizzato quello che in termine tecnico si chiama “bonding”, ovvero il processo di formazione del legame tra i genitori e il loro bambino.
Quando l’autore dell’articolo ha raccontato questo a una delle autrici della ricerca, Diana Greene Foster, essa non si è affatto sorpresa. «Questo appare in linea con il nostro studio: circa il 5% delle donne a cui è stato rifiutato l’aborto, dopo aver avuto il bambino, ancora non desidera averlo. Mentre il resto di loro si assesta». Da questa sorprendente affermazione se ne ricava che il 95% delle donne a cui è stato negato l’aborto ha lo stesso futuro di S., ovvero contentezza e felicità materna.
E’ evidente che il “New York Times” ha dovuto subito cercare di negare con varie teorie questa frase, dando la parola ad un bioeticista pro-choice, Katie Watson, il quale ha accusato queste donne di mentire a loro stesse e alla società: «psicologicamente è nel nostro interesse raccontare una storia positiva e andare avanti». Ecco che entra in campo l’ideologia: non si ascoltano le donne ma la teoria e se i fatti la negano, tanto peggio per i fatti. Eppure non erano proprio i pro-choice a sbandierare il loro attivismo come fosse a favore della donna?

Fonte: UCCR online

8 - MASSIMO DI CATALDO PRESO DI MIRA SUI SOCIAL NETWORK
Quando la donna è una vittima allora l'aborto fa rumore... il reato discrezionale del nostro ordinamento
di Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Il cantante Massimo Di Cataldo è indagato per maltrattamenti e procurato aborto ai danni della ex fidanzata Anna Laura Millacci. Non vogliamo qui indagare sul fatto se Di Cataldo sia o no colpevole, ovviamente non ci compete. Però questa notizia di cronaca tra il nero e il rosa ha portato a galla un reato pressoché misconosciuto: il procurato aborto. E portandolo a galla ha messo in rilievo – per chi lo osserva con una certa attenzione – anche una delle tante contraddizioni di cui è infarcita la legge 194 che ha legittimato l’aborto nel nostro paese.
La contraddizione è evidente. Un fatto che oggettivamente lede un bene indisponibile come la vita, diventa reato solo se la donna lo decide (e solo se non si rispettano alcune procedure). E’ quasi un’operazione al limite del magico: se quell’aborto subito dalla Millacci – posto ovviamente che si sia realmente verificato – fosse stato deciso liberamente dalla stessa donna era da considerarsi atto legittimo. Se invece è stato provocato contro la volontà della donna oppure senza il suo consenso magicamente diventa reato. La discriminante quindi non è il fatto in sé, cioè la conseguenza dell’atto che provoca l’aborto: in un caso come nell’altro siamo sempre in presenza di un piccolo cadavere. Quello che fa la differenza è la decisione della donna. Questo a testimoniare ancora una volta che il vero DNA della legge 194 non è il bilanciamento tra interessi contrapposti (vita/salute della madre versus vita del bambino), non è il verificarsi di alcune condizioni che permettono alla madre di sbarazzarsi del figlio, non è la tutela della salute psicofisica della donna, men che meno un’ipotetica tutela sociale della maternità. Nulla di tutto questo.
Il centro di gravità della legge sull’aborto è il principio di autodeterminazione della donna, principio dal peso specifico così elevato che ha il potere di mutare il vil ferro in oro, cioè un delitto in un “diritto”, un omicidio in un gesto di libertà e responsabilità. Se per l’omicidio la volontarietà è un’aggravante (non in senso tecnico) e lo Stato risponde con la sanzione, per l’aborto la volontarietà introduce nel dorato mondo dei diritti civili e lo Stato risponde offrendo tutti i mezzi disponibili perché la donna eserciti il suo “diritto” ad abortire.
Nel codice penale esiste un articolo, il 50, che non fa scattare la sanzione se un diritto è stato leso con il consenso del titolare del diritto stesso (es. il consenso prestato per un intervento chirurgico). La 194 in un certo qual modo ha applicato questo principio al reato di omicidio prenatale: se consenti all’aborto questo non è reato e il medico non finisce dietro le sbarre. Trattasi quindi di un reato potremmo dire discrezionale.
Ma la legge ha compiuto questa ardita operazione generando tre nefandezze giuridiche. Infatti l’art. 50 specifica che il diritto non deve essere indisponibile: invece la vita del feto è un bene indisponibile. Posto che al contrario ci si voglia riferire al “diritto” di abortire, il diritto deve essere nella disponibilità del soggetto che subisce il danno: ma la madre non dispone del “diritto” di uccidere il figlio. E in terzo luogo il vero titolare del diritto leso è il nascituro il quale di certo in tutti gli aborti che si sono effettuati sulla faccia della terra non ha mai prestato il suo consenso.
C’è poi un altro particolare interessante che avvalora la tesi che il fulcro della 194 è solo la libera scelta della donna. L’art. 18 così recita: “Chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. […] La stessa pena si applica a chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna”. Qui sono illustrate due fattispecie: l’aborto procurato e l’aborto preterintenzionale. Detto in soldoni nel primo caso il reo vuole procurare l’aborto (dolo), nel secondo non c’era questa intenzione, ma l’aborto si è comunque verificato a seguito di lesioni (ed è forse il caso del cantante Di Cataldo).
In diritto penale c’è giustamente una gradazione differente della pena tra condotta dolosa, punita con più rigore, e la preterintenzione, sanzionata con mano meno pesante, proprio perché nel secondo caso il danno più grave provocato non era stato cercato direttamente. Così accade per l’omicidio, ma non per l’aborto preterintenzionale che è trattato dal punto di vista sanzionatorio alla stregua dell’aborto procurato. Per quale motivo? La risposta forse è semplice: perché in entrambi i casi manca il consenso della donna. Sia nel caso dell’aborto procurato che in quello preterintenzionale la donna non voleva abortire e questo basta ad unificare le fattispecie che nella sostanza sono invece assai differenti. La sanzione scatta non perché si è ucciso il nascituro – anche in questo caso come in tutta la legge il bambino è il grande assente, così come nella vicenda massmediatica che riguarda il cantante romano – ma per la violenza perpetrata sulla madre. E quando in ballo c’è la libertà della donna è bene non andare tanto per il sottile e perdersi in vani distinguo tra dolo e preterintenzione.

C’è poi da notare un’ipocrisia del linguaggio dei giudici: si parla infatti di reato di “procurato aborto” (nemmeno di “aborto procurato”) e non di reato di “aborto volontario”. Nel caso dell’omicidio si usa l’espressione “omicidio volontario”, ma allora perché per l’aborto non si fa lo stesso usando l’espressione “aborto volontario” quando un terzo causa un aborto senza il consenso della donna? Perché semplicemente quest’ultima espressione era già stata appaltata per indicare l’aborto voluto legittimamente dalla donna. Si sarebbe così creata confusione o forse si sarebbe capito al volo che tra procurato aborto e aborto volontario nulla cambia negli effetti letali sul feto: sempre di azione che mira ad uccidere si sarebbe trattato. E quindi era necessario usare una coperta linguistica differente per occultare una medesima e ripugnante realtà. Da qui un’ultima domanda: se “omicidio volontario” suona così simile ad “aborto volontario” perché il primo è un reato e il secondo no?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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