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ANCHE QUEST’ANNO LA MARCIA PER LA VITA E’ STATA UN GRANDE SUCCESSO
I cattolici non scendono mai in piazza, ma se lo fanno è per motivi importanti fondamentali
di Donata Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
Colorata, serena e allegra: così si potrebbe dipingere la passeggiata romana del popolo pro-life italiano che, ieri, ha attraversato il centro della Capitale durante la Marcia Nazionale per la Vita. Nazionale, a ben vedere, è quasi riduttivo perché - accanto a tante sigle dell'associazionismo italiano, impegnate a difesa della vita umana fin dal suo concepimento - hanno marciato anche delegazioni giunte a Roma per l'occasione dalla Polonia, dalla Francia e persino dalla lontana Cina. Durante la prolusione iniziale anche Jeanne Monahan, la Presidente della March for life degli USA, ha salutato tutti i partecipanti, promettendo di camminare in mezzo a loro fino in fondo. La Marcia - giunta alla sua terza edizione - si è snodata per quasi tre ore, tra palloncini colorati, canti e balli, dal Colosseo a Piazza San Pietro, culminando col saluto di Papa Francesco, addirittura fermatosi tra i manifestanti per una benedizione speciale. All'Angelus poi il Papa ha ricordato l'importanza di impegnarsi a difesa della vita fin dal suo concepimento. I numeri ufficiali in questi caso sono spesso imprecisi, eppure le forze dell'ordine hanno parlato di circa 30mila persone, senza contare i tanti volontari e organizzatori. Numeri che certo non possono essere più ignorati da quell'imperante cultura della morte, quel mondo che si finge sordo alla sempre più forte voce dei tanti che lavorano, pregano e vivono per dire sì alla vita. Considerando quanti si sono salutati ieri in Piazza San Pietro, dandosi appuntamento all'anno prossimo, questa esperienza sembra destinata a lasciare un segno ancora più evidente di anno in anno. Durante una breve sosta in Piazza Venezia, c'è stato modo di avvicinare un gruppetto di ginecologi obiettori - che hanno sfilato con camice e stetoscopio - le giovani psicologhe di un consultorio marchigiano, scout - come sempre piacevolmente chiassosi e travolgenti - un manipolo di giovanissimi seminaristi inglesi, una coppia di genitori indaffarati a radunare i nove figli, mamme che si appartavano per allattare, una nonna - veterana di tutte e tre le edizioni - che ha contagiato d'entusiasmo figlie, generi e nipotini ma, soprattutto, tanti, tantissimi giovani, specialmente universitari. È' il caso di Camilla e Serena, due ragazze di ventuno anni che studiano lingue e ingegneria a Trento, scese a Roma su invito di una loro coinquilina; se gli chiediamo come mai hanno scelto di farsi otto ore di pullman per testimoniare il loro sì alla vita, rispondono quasi stupite da tanta ovvietà: ''Come si può non capire che con l'aborto si sta uccidendo una persona?'' La mobilitazione delle ultimissime generazioni, di fronte a tematiche sensibili come quella della vita nascente e della difesa della famiglia, è oramai un dato di fatto che contagia anche oltreoceano visto che, alla gemella March for Life di Washington, quest'anno, la partecipazione degli under 30 è stata davvero ampia. Alla Marcia romana di ieri i giovani e i giovanissimi hanno costituito la buona maggioranza dei manifestanti, riuscendo a lanciare, con la propria presenza, il messaggio più diretto e concreto di speranza per il futuro del genere umano. Michele, ad esempio, è toscano e ha solo 20 anni: ci racconta, giustamente orgoglioso, di essere venuto anche con la propria fidanzata perché ''essere in due a testimoniare che la vita è sempre bella ha un sapore ancora più speciale.'' Particolarmente significativa, poi, la presenza di molte famiglie, che hanno scelto di festeggiare la festa della mamma senza lasciare a casa i propri bimbi. Vasco e Maria Assunta, tra le tante, sono una coppia padovana di trentatré anni che ha deciso di partecipare anche con le figliolette, tutte e due con meno di cinque anni: ''Ci tenevamo a esserci anche con loro, nonostante la fatica, per testimoniare la bellezza di essere famiglia! Il bello di questa Marcia è che non si manifesta contro qualcuno, ma per qualcuno; non si reclamano nuovi diritti, ma si ricorda che ne esiste uno inviolabile, quello a nascere in una famiglia.'' Accanto alla difesa della vita nascente, infatti, altrettanto sentita tra i partecipanti - ma anche per espressa intenzione degli ideatori della Marcia - è l'esigenza di ricordare come il luogo naturale di accoglienza della nuova vita sia la feconditá della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna. Rossella e il marito Luca, sempre di Padova, ci spiegano infatti che affermare l'importanza di sostenere la famiglia, oggi, è data dal fatto che il dono della vita non è mai solo una questione privata, ma coinvolge tutta l'esistenza di ogni società: ''La bellezza della vita va sempre testimoniata ad alta voce, e i nostri figli sono la manifestazione, per Grazia, di questa bellezza! Ecco perchè non potevamo lasciarli a casa!'' Felice concomitanza, poi, quella tra la Marcia e la giornata di sensibilizzazione per la campagna ''Embrione uno di noi'': nei punti di raccolta a inizio e fine della camminata, infatti, si raccoglievano firme per richiedere all'Unione Europea un disegno di legge che vieti le sperimentazioni sull'embrione umano.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LA DIFESA PER LA VITA NON E’ PIU’ UN TABU’
È importante quello che sta accadendo con la Marcia per la Vita: i cattolici non devono vergognarsi di difendere i valori fondamentali e portare in piazza le proprie battaglie.
di Andrea Tosini - Fonte: Voci dalle nebbia
Erano appena un migliaio in quel di Desenzano nella primavera del 2011. Erano saliti a quota 15mila nel 2012 a Roma. Ieri, sempre per le strade della Capitale, hanno sfilato in più di 30mila. È il popolo prolife italiano, che si è radunato per la terza edizione della Marcia per la Vita in favore della difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale. La rilevanza dell’evento, il principale nel suo genere nel Paese, va però molto al di là dei suoi numeri. Esso ha infatti costituito il tanto atteso momento della ritrovata unità per il mondo prolife nazionale, per troppo tempo percorso da divisioni al suo interno. Ma il fatto ancor più dirompente che la Marcia ha messo davanti agli occhi dell’Italia è che l’intero discorso che ruota attorno alla vita umana può (e deve) finalmente riprendersi lo spazio pubblico che gli spetta. Perché la domanda che sorge di questi tempi è una sola: di fronte a certe realtà come il progressivo obnubilarsi delle coscienze riguardo al dramma dell’aborto, di fronte ai tentativi di sdoganare l’eutanasia in nome di un malinteso senso di pietà e davanti all’esplicito tentativo di smantellare la famiglia naturale basata sull’unione feconda di un uomo e di una donna, può una persona – sia essa ispirata dalla fede o semplicemente dalla retta ragione – restare silente nei confronti di fenomeni che silenziosamente ma pervicacemente consumano nel profondo, sia sul piano personale che sociale, la nostra umanità? È un interrogativo che non può più essere eluso e ognuno di noi dovrà provare a dare una risposta. La Marcia della Vita, pur avendo soltanto un paio di anni, ha certamente avuto il merito di costringere ad aprire gli occhi un po’ a tutti, anche a chi si ritiene distante dagli ideali che ispirano l’evento. Ed è proprio grazie a iniziative come questa che il popolo prolife, attualmente minoritario sul piano culturale ma in continua e costante crescita, può finalmente forgiarsi, svilupparsi e prendere forza. La speranza – ma vorrei già poterla chiamare certezza – che emerge dopo questo 12 maggio è che il tema della difesa della vita umana non sia più un tabù; una questione che non potrà essere più essere colpevolmente dimenticata dalle nostre coscienze, dalla politica e dalla società, a maggior ragione in un periodo in cui la storia ci impone di discutere a trecentosessanta gradi sui nostri valori e sulle nostre azioni. Ecco perché la Marcia continuerà ad andare avanti instancabile nel suo cammino. Appuntamento dunque alla prossima tappa: il 4 maggio 2014, per la quarta edizione della Marcia della Vita! E in questi dodici mesi il mondo prolife non starà a guardare.
Fonte: Voci dalle nebbia
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UNA SOCIETA’ MALATA DI IGIENE
Esagerare nell’igiene ci rende vulnerabili: le schizofreniche contraddizioni della società del rifiuto. Lasciate che i bambini mangino le caccole!
di Carlo Bellieni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
La società moderna che vive sul culto della perfezione, finisce con l’oscillare tra una fobia dell’imperfezione e l’eccesso opposto. Ha fatto il giro del web la notizia che in Canada un docente di biochimica dell’University of Saskatchewan ha ipotizzato un fatto di quelli che attirano l’attenzione: ai bambini farebbe bene mangiarsi le “boogers”, cioè… le “caccole” del naso. È una notizia “buffa”, a qualcuno può anche dar fastidio, e soprattutto non è frutto di uno studio di cui è il risultato, ma è solo un’ipotesi. Dunque non è certo da suggerire né da emulare nonostante il polverone mediatico. Infilarsi le dita nel naso non è da consigliare a nessuno; ma in una “società del rifiuto” che finisce con l’essere eccessivamente legata all’idea di perfezione nelle cose nelle persone e nei rapporti… si rischia l’eccesso opposto: la mania per l’igiene, che è mania se è eccesso - perché si ha paura di tutto (e di tutti) ciò che non è possibile mettere sotto controllo - e l’eccesso porta problemi. I problemi sono vari: dall’inquinamento dovuto all’eccesso di saponi, ai rischi che certe sostanze usate per la disinfezione in eccesso possono provocare. Un recente studio pubblicato sul Journal of Hospital Infection di marzo riporta che diminuire il contatto con i germi nostri “commensali” diminuisce la mortalità, ma aumenta il numero di allergie: è la cosidetta “hygiene hypothesis”. Dal mancato contatto con germi cosiddetti “da strada” che immunizzano contro i loro affini “patogeni”, all’idea che si debba rifuggire da qualunque anomalia dove per “anomalia” non si intende qualcosa di pericoloso per la salute, ma semplicemente qualcosa di imprevisto o “irregolare”, come la buccia di una mela picchiettata da un uccellino. È un eccesso schizofrenico quello di una società che da una parte inietta paura per i germi nelle pubblicità, come se fosse indispensabile per la salute la caccia al germe e come se invece i germi non fossero nostri accompagnatori quotidiani nel nostro intestino, nella nostra pelle; e d’altra parte l’esaltazione dei germi da comprare e ingerire per rafforzare le difese immunitarie. C’è del vero in entrambe le cose, ma l’eccesso finisce col confondere le idee. Ma non sarà un tratto proprio della nostra società quello di non concepire più la vita come complessità, in cui anche l’imprevisto e l’imperfezione rientrano come parti proprie di essa, e fuggire in maniera eccessiva dall’imperfezione (e dall’imperfetto), cosa che determina sprechi antiecologici ed emarginazione di chi ha una “differenza” dalla norma? Tanto da finire col credere “vita indegna di essere vissuta” quella che non è conforme alla norma, alle aspettative, alla media, anche in noi stessi che finiamo col non saperci più accettare se non rientriamo nei canoni della normalità proposti e imposti dai media. In fondo, la nostra è la società del rifiuto: dal rifiuto di noi stessi quando ci sentiamo meno che perfetti si passa al rifiuto delle cose e alla creazione (prima volta nella storia del mondo!) della “monnezza” che una volta non esisteva perché si riusava tutto; e infine si passa al rifiuto. E alla fine la società del rifiuto porta a considerare “rifiuti” anche le persone che non sono “al top”, prima che nascano, o quando sono adulti, ma malati o nei guai per altri motivi. È significativo l’allarme di Zygmunt Bauman (Consumo, dunque sono, 2008: Ed. Laterza, Roma): accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità. Insomma, stiamo attenti: l’igiene è importante (guai a trascurarla), ma l’eccesso di paura è immotivato, è segno di insicurezza, di bisogno eccessivo di controllo; porta a sprechi e ad altri tipi di rischi. Soprattutto nasce in una società che non sa più concepire l’irregolarità e pensa che – a differenza delle patologie che devono essere curate e dei veleni che devono essere eliminati – le differenze e le irregolarità siano un rischio invece della possibilità di un arricchimento e una conoscenza. È bene che i bambini non si infilino i diti nel naso, lo ribadiamo, ma attenti a non proibire loro di star troppo lontani dal giocare con la terra, con gli altri bambini e magari con i bambini che appaiono diversi e hanno particolari esigenze di salute: dalla diversità (e quanto ancora c’è da fare nella cura e nella prevenzione delle malattie!) c’è sempre da imparare.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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