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LA GRAVIDANZA IPER-MEDICALIZZATA, UN'ANSIA ITALIANA
L'Organizzazione Mondiale per la Sanità prescrive una sola ecografia per gravidanza, le coppie italiane ne fanno 7-8 per gravidanza, perchè?
di Carlo Bellieni - Fonte: Avvenire, 27 dicembre 2012
L'Organizzazione mondiale per la sanità prescrive un'ecografia per gravidanza, il sistema sanitario italiano tre, e le coppie italiane ne fanno 7-8 per gravidanza, secondo il più recente rapporto dell'Istituto superiore di Sanità. Dato confortante perché segnala una alta cura della gravidanza? Forse sì, ma forse segnala anche una ipermedicalizzazione di cui potremmo fare a meno. Nel Nord Europa le ecografie non sono così frequenti. In Canada se ne fanno in media 3,1 e in Francia 5. Ma anche sul versante dell'amniocentesi il record è italiano: qualche anno fa la Francia si preoccupava per avere il «record mondiale di amniocentesi» avendo raggiunto l'11% delle gravidanze, contro il 5% inglese e l'1,7% americano. Oltralpe non sapevano che in Italia si viaggia sul 20%. Sembra strano che in tempi di spending review su questi eccessi non vi sia una sforbiciata; forse perché sarebbe estremamente impopolare dissuadere i futuri genitori dal correre a individuare minime imperfezioni fetali (cosa che è ormai routine anche quando non ha finalità curative) o da 'richieste sociali', magari dispendiose, che vanno a rompere qualche supposto limite etico. Wohlfram Henn ha scritto in un articolo intitolato Consumismo nella diagnosi prenatale: «L'abuso di test genetici per la selezione fetale in base al sesso è già un grave problema. Ora nell'epoca della commercializzazione della genetica umana, è banale pensare che nuove possibilità di selezione prenatale più sofisticate non agirebbero secondo la legge della domanda e dell'offerta». Questo sguardo verso uno scenario futuro interessa anche il presente. Perché, come recita un proverbio inglese, «per chi ha un martello, tutto diventa un chiodo»: l'alta diffusione della diagnostica prenatale per ricercare anche malattie non curabili (e non letali) è davvero dovuta a una richiesta delle donne o a una pressione sociale, per cui si fa – per routine – anche se non serve a curare? E quando si scopre un'anomalia non curabile (e non letale), dove porta la pressione della 'società della perfezione'? La sociologa Carine Vassy, dell'Inserm di Parigi spiega in un suo studio recente che la richiesta delle donne non è mai stata presa seriamente in considerazione per scegliere se far entrare o meno la diagnosi prenatale nella routine in Francia. Insomma, il trend è in ascesa, i protocolli internazionali dicono che si sta eccedendo, ma cosa si può di fronte all'ipermedicalizzazione della gravidanza (in cui il medico sente la pressione di fornire ogni dettaglio del feto) e al dramma di una società imbevuta d'ansia, come quella dei genitori che non permettono a se stessi di pensare che il figlio possa essere qualcosa meno che perfetto, perché respirano un clima di competizione e di abbandono verso chi ha bisogno di un anche minimo aiuto? La diagnosi prenatale curativa è un bene, ma l'eccesso in diagnosi prenatale è uno spreco di denaro, un andare a braccetto tra medicina e leggi del mercato, un peso eccessivo accordato alla curiosità o, forse soprattutto, all'ansia indotte dall'ambiente sociale. Questo succede quando in una società basata sulla famiglia e sulla solidarietà – come era l'Italia fino a qualche decennio fa – vengono picconate le certezze fino a farle crollare: non si accetta più nulla che non sia pianificato e che costi una fatica eliminabile. Ci si butta alla ricerca di una medicina che – moltiplicando gli esami – cancelli le incertezze; ma aggiungere esami a esami non sempre dà la risposta voluta, e qualche volta aggiunge incertezze a incertezze, mostra piccole imperfezioni o anomalie non previste, che si potrebbero anche accettare o addirittura curare dopo la nascita, ma che scoperte in 'tempo utile' possono indurre in seria tentazione di rinunciare a quel figlio.
Fonte: Avvenire, 27 dicembre 2012
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MARCIA PER LA VITA: ROMA, 12 MAGGIO 2013
Né vaghezza di contenuti, né stile provocatorio ma solo un forte: “Viva la vita, viva la famiglia, viva i figli… difendiamo gli innocenti”
di Francesco Agnoli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
Nel giorno dei Santi Martiri innocenti, potremmo ricordare la malvagità di Erode, che teme un piccolo bambino, avvolto in fasce in una mangiatoia. Potremmo ricordare quanti oggi temono un figlio, perché malato, perché giunto nel momento "sbagliato", perché costringe alla fatica dell'amore e del servizio. Ma forse questa volta è più opportuno soffermarci su una pianta, sempre più bella, che sta sbocciando lentamente: la pianta del mondo pro life italiano.
Due anni orsono, sul lago di Garda, qualcuno intravide che era successo qualcosa di nuovo. Centinaia di persone, convocate senza mezzi e in poco tempo, aveva compiuto la Prima marcia nazionale per la vita. L'anno successivo, il 13 maggio 2012, 15.000 persone hanno camminato a piedi, dal Colosseo a Castel sant'Angelo, per dire il loro sì alla vita, e il loro no ad ogni forma di violenza e di odio contro di essa (aborto, eutanasia..).
Nessuno si aspettava un simile successo. E forse pochi potevano pensare di vedere un mondo pro life così giovane, così deciso e così sereno. Né vaghezza di contenuti, né stile provocatorio fine a se stesso. Un messaggio ha successo quando unisce la chiarezza e la nettezza ai modi eleganti, pacati, senza inutile retorica né ostentazioni volgari. "Viva la vita, viva la famiglia, viva i figli… difendiamo gli innocenti". Si vive per qualcosa di grande, per ideali alti, e per questo, se necessario, si lotta per difenderli.
Ebbene, da quella marcia sono germogliati in breve frutti molto belli: i Giuristi per la Vita, presieduti da Gianfranco Amato, il cui scopo è di portare anche nel diritto la difesa della vita; la rivista Notizie pro Vita (con annesso sito: www.prolifenews.it), fondata da Antonello Brandi e da alcuni suoi amici, che si propone di formare e di informare sulle tematiche della vita, perché non esiste possibilità di cambiare le leggi (fine di ogni vero movimento pro life), se non si cambia la cultura di morte dominante e se non si illuminano verità da tempo nascoste ed occultate. La battaglia in difesa della vita, infatti, si svolge su vari piani: informare, parlare alla ragione degli uomini, ricordare la verità dell'embrione e del feto e l'ingiustizia dell'eliminarlo, è il primo passo, fondamentale. Occorrono, per farlo, solidi argomenti di ragione, di diritto naturale e di scienza, che proprio una rivista come Notizie pro vita può fornire. Però, sappiamo, non basta: se è vero infatti che il Male si traveste spesso da bene e si copre di vestiti attraenti (l'aborto, per intenderci, che diviene asettica "ivg" e "diritto civile"), è anche vero che noi uomini tante volte scegliamo il male anche se lo cogliamo e lo vediamo come tale. Esemplificando: quanti aborti, oggi, da parte di persone che magari non sanno veramente quello che vanno a fare, tanto invasivo è stato, per anni, il lavaggio del cervello pro choice! Ma anche quanti figli eliminati da chi, semplicemente, ritiene questa strada sì malvagia, ma utile al proprio egoismo e "vantaggiosa"!
Proprio tenendo presente questi due piani, le marce nazionali per la vita - la prossima a Roma il 12 maggio 2013 (www.marciaperlavita.it)-, non sono solamente manifestazioni pubbliche di un ideale, ma vengono precedute da due momenti importantissimi: il grande convegno per la vita, che si tiene il giorno prima presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, fucina di ottimi bioeticisti da tanti anni, e l'adorazione eucaristica della sera precedente. Nel primo – che quest'anno avrà come relatori d'eccezione il Cardinal Carlo Caffarra, l'Arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, Filippo Maria Boscia, presidente dei Medici Cattolici, Enrico Masini della Comunità Giovanni XXIII, Massimo Gandolfini di Scienza e Vita e tanti altri – si fa informazione e cultura, mentre durante l'adorazione si chiede alla grazia di Dio di illuminare i nostri cuori per renderli capaci di operare secondo Giustizia e Verità. A questi due eventi, segue, appunto, la marcia, che anche quest'anno sarà aperta a tutti coloro che ne condividono le finalità, e che si è dimostrata un evento unico, perché capace di dare visibilità ed unità a tante realtà pro life che in numerosi casi si sono spesso ignorate o semplicemente non incontrate. Il mondo pro life italiano, si sente dire spesso, è diviso e perciò poco efficace. Forse la verità è più complessa. Il mondo pro life italiano, infatti, come in tanti altri paesi, ha scontato (e sconterà) per anni limiti inevitabili: la scarsità di mezzi; la difficoltà di marciare contro corrente; l'insufficiente coordinamento dei carismi (è giusto che vi sia chi ha più a cuore la carità concreta, dell'aiutare le mamme in difficoltà, ad esempio, e chi invece predilige un'altra forma di carità, quella intellettuale nel senso più ampio...).
Accanto a questi limiti, il mondo pro vita italiano ha patito anche l'esistenza di un partito che si diceva cristiano, la DC, ma che ha per primo abbandonato la difesa dei principi non negoziabili, e rispetto a cui non era chiaro come relazionarsi (cosa chiedere e cosa dare); oppure l'esistenza di strategie molto diverse (chi pensava irrinunciabile una battaglia più franca e chi riteneva inevitabili modalità più compromissorie; chi metteva in luce la necessità di educare alla verità, completa, le nuove generazioni, con chiarezza di linguaggio e di idee e chi vedeva in questa chiarezza un ostacolo al "dialogo" con i cosiddetti laici..); infine, non hanno giovato, all'unità, i personalismi e l'incapacità di avvicinare le nuove generazioni, coinvolgendole, ricorrendo ai metodi di comunicazione più moderni, allargando la partecipazione.
Ebbene, non che tutto questo sia sparito, per carità. Fatte salve le buone intenzioni di tutti, sul piano oggettivo è inevitabile che sulle strategie vi siano i sostenitori del dialogo per il compromesso sempre e comunque e quelli che vogliono essere sempre un po' più duri e puri di tutti… ma molto è cambiato.
Sono cambiati, anzitutto, i tempi: è per molti più evidente l'urgenza di difendere i principi non negoziabili; è più grande l'apporto delle nuove generazioni, talora invischiate nella mentalità dominante, ma spesso capaci di comprendere, solo che qualcuno lo testimoni e lo palesi, che la cultura libertaria non ha certo portato né felicità né gioia.
Ecco allora come si può spiegare un evento così grande, il più grande in Italia dall'introduzione della famigerata legge 194, come la marcia per la vita del 2012. Così si spiega l'adesione convinta di 150 realtà diverse, ognuna con la sua specificità, senza che nessuno abbia cercato di farsene unico interprete e rappresentante, o di trarne, con molta fretta, come è successo altre volte, bottini elettorali. Perché quello che certo non giova al mondo pro life italiano è un personalismo fonte di impoverimento e di divisione.
Così accadrà che alla marcia del prossimo maggio: i partecipanti saranno ancora di più, perché sono sempre più numerose le realtà locali, dai MpV alle sezioni di Scienza e Vita ai circoli e alle associazioni di vario tipo, che aderiscono. Unici esclusi? I partiti e i movimenti politici, per evitare strumentalizzazioni mediatiche e non, volontarie o meno. Gli organizzatori, infatti, vogliono che massima sia la concordia sul fine principale, manifestare per la vita, nulli i motivi di divisione nocivi allo scopo. Politici e uomini delle istituzioni sono i benvenuti, solo che marcino con gli altri, insieme ad un popolo che ha fiducia nel futuro e che vuole, con calma e umiltà, cambiare qualcosa, a partire dal basso, verso l'alto.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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''MAI L’ABORTO'': IL NO DI GIORGIO LA PIRA
Una delle battaglie meno ricordate del sindaco di Firenze fu quella per fermare la legge sull'aborto: gli appelli accorati ad Andreotti, Berlinguer e Zaccagnini
di Andrea Fagioli - Fonte: Avvenire
«Beatissimo Padre, questa nuova ondata contro la Santa Sede non deve farci paura. È vero che la Chiesa anche in questa occasione ha preso posizione per il bene e la salvezza dell'umanità, difendendo i bambini e con essi il domani. Forse anche in sede politica si potrebbero ancora salvare le cose se ci fosse il convincimento che 'la salvezza dei bambini' è il valore assoluto da difendere oggi». Lo scriveva Giorgio La Pira a Paolo VI il 27 gennaio 1977. Erano i mesi caldi del dibattito sull'aborto. L'ex sindaco di Firenze sarebbe morto il 5 novembre dello stesso anno, prima dell'approvazione della legge 194 al Senato il 19 maggio 1978 e la promulgazione il successivo 22 maggio. Ma il suo impegno su questi temi, pur nel rispetto della persona che da parte sua non veniva mai meno, «fu forte e originale», come ebbe a dire Marco Carraresi, consigliere regionale dell'Udc in Toscana quando nel 2004, nel centenario della nascita di La Pira (che era nato a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904), curò un fascicolo sul pensiero del 'sindaco santo' in rapporto a difesa della vita e della famiglia. «Nel caso del tema dell'aborto – spiega Carraresi – si può dire che la questione fu una delle ultime che lo assillò fortemente, poco prima di morire, e per la quale intervenne in modo deciso». Ne sono prova (oltre all'articolo pubblicato sull'Osservatore Romano e di cui diamo conto a parte) le lettere e i numerosi telegrammi inviati all'inizio del 1977, oltre che al Papa, al presidente del Consiglio dei ministri e ai segretari di partito. «Torno a raccomandarti vivissimamente di fare il possibile perché non sia reso legale l'aborto in Italia, vero delitto del secolo contro la legge di Dio», scriveva il professore all'allora capo del governo Giulio Andreotti. «Caro Berlinguer – scriveva invece al leader del Pci il 30 gennaio 1977 – riflettendo sulla votazione dell'altro giorno mi pare evidente che ancora tra voi c'è un profondo disagio per questa legge totalmente errata: pensaci, lasciala cadere, farai il bene del popolo italiano ancora sano e buono. Questi problemi sono troppo gravi o travalicano il campo politico. Andiamo avanti invece con leggi in aiuto più serie e più umane». Al segretario del Partito comunista faceva presente che sarebbe «un errore politicamente immenso» votare questa legge, «che ci fa tornare indietro nel cammino percorso, proprio nel momento in cui era invece necessario andare avanti insieme». A Benigno Zaccagnini, segretario della Democrazia cristiana, La Pira riferiva delle lettere ad Andreotti e a Berlinguer, aggiungendo che doveva essere lui, in quanto capo della Dc, a opporsi con tutte le forze «affinché questo 'delitto del secolo' non avvenga». «Ti prego con tutto il cuore – implorava il professore – di premere e se necessario arrivare anche a forti decisioni ma di non cedere». E citava, nell'occasione, un articolo di Carlo Casini, fondatore del Movimento per la vita, il quale ancora oggi dice di avere «viva memoria di un lungo e significativo colloquio con La Pira, durato quasi un intero pomeriggio nel convento della 'Maddalena' a Firenze. Chiunque ha incontrato La Pira – racconta Casini – se lo ricorda come uomo di speranza ( spes contra spem, ripeteva sempre) e perciò della gioia, della fiducia, del sorriso, della battuta incoraggiante e allegra. Ma quella sera La Pira era serio, persino cupo. Parlammo anche di aborto, perché egli doveva prepararsi per un dibattito e la legge permissiva già era all'orizzonte». Quella sera La Pira, abituato a parlare di muri da perforare, a partire dalla cortina di ferro, «parlava di un altro muro, più alto e più duro del primo, che si stava innalzando: quello, appunto, dell'aborto».
Fonte: Avvenire
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LA PIRA CI SPIEGA PERCHE' DIRE NO ALL'ABORTO
Riportiamo un articolo uscito sull’Osservatore Romano, il 19 marzo 1976
di Andrea Fagioli - Fonte: Avvenire
Le ragioni per dire no all'aborto Giorgio La Pira le spiegò in particolare in un articolo uscito sull'Osservatore Romano il 19 marzo 1976, quasi due anni prima del varo della legge 194. Ma perché il suo no tanto deciso all'aborto? «La risposta è precisa – scriveva La Pira – perché il concepito è già un essere umano. Una persona umana, con il concepimento, è già venuta all'esistenza: un essere umano nuovo e perciò – sia pure in via di germinazione – già in vita; e come una semente già seminata, già radicata, nel 'suolo' materno e avviata a diventare spiga». L'aborto, aggiungeva l'ex sindaco di Firenze, «è, per definizione, atto estintivo della vita di una persona umana: è l'uccisione di un uomo. Vi sono delle grandi carenze, dei grandi 'vuoti', nelle strutture sociali e giuridiche non adeguate (come dovrebbero essere) alla tutela dei nascituri? Siano eliminate – con grande urgenza e determinazione – con provvedimenti legislativi adeguati: ma mai col togliere l'essere, la vita, al nascituro. Non uccidere: è, per tutti, l'intransitabile frontiera della autentica, unica, comune civiltà umana». C'è un «piano storico», un «progetto storico» di Cristo che la storia attua. «Ebbene: chi sono – si domandava La Pira – i protagonisti, gli esecutori, gli attori di questo 'progetto' storico di Dio, di Cristo, che inevitabilmente attraversa e investe tutti i popoli e tutti i tempi? Chi sono? Gli uomini, tutti gli uomini; tutti gli esseri umani, nati e nascituri». Mentre «l'aborto sottrae – con l'estinzione dell'essere del nascituro – una di queste pietre essenziali all'edificazione di questa volta, uno di questi 'colpi di remo' essenziali alla navigazione della nave lanciata verso il 'porto escatologico' nell'oceano della storia». C'è, infine, una terza ragione: quella psicologica, che dice ugualmente no all'aborto e concerne la donna che abortisce: «Si tratta della 'irreparabile', 'ontologica' rottura che si verifica nel profondo della sua psicologia (psicologia del profondo di Jung; il rovescio della psicologia delle altezze di Frankl) e rende misteriosamente e inevitabilmente presente, nel profondo della psicologia della madre, il bambino ucciso». L'aborto, ribadiva La Pira, «non è un atto liberante della donna: anzi, la costituisce per sempre, in un certo senso, in una schiavitù interiore: nessun 'intervento umano' può liberarla. Non c'è riforma sociale, per vasta che sia, mutamento di strutture economiche, politiche, assistenziali, ecc... che possa liberare la donna da questa 'autentica alienazione' interiore che l'aborto in lei invincibilmente causa. Non c'è, per questa liberazione, che la sola divina terapia della Grazia, del 'digiuno' e della preghiera».
Fonte: Avvenire
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