Amici del Timone n�95 del 15 ottobre 2020

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LA DEPRESSIONE PUO' FAR PENSARE ALLA MORTE, MA PURTROPPO ADESSO CI SONO GIUDICI PRONTI A PRENDERCI SUL SERIO
Nel Regno Unito i giudici hanno disposto la morte di un trentaquattrenne malato di una malattia non terminale
di Caterina Giojelli

È morto, anzi, ha "potuto morire", gli è stato dato il permesso di "determinare e controllare la sua vita" fino in fondo dall'Alta Corte inglese. Solo che MSP non era vigile: giaceva sedato, in coma farmacologico indotto in seguito a un intervento chirurgico e incosciente è rimasto finché, in seguito a un'audizione in collegamento video col tribunale, i medici non gli hanno tolto i sostegni vitali. Disidratato e affamato fino alla morte, MSP – queste le iniziali del trentaquattrenne ricoverato al Barnsley Hospital (la corte ha stabilito che non potrà essere identificato fino allo scadere di tre mesi dal decesso e gli avvocati hanno invitato la stampa a valutare "se mai sarà davvero necessario") – è stato dichiarato morto pochi giorni fa.

IL CASO DI "MSP"
Di lui non si conosce il nome, ma si conoscono molti dettagli della sua storia personale, resi noti dai genitori e dallo stesso tribunale che ha avallato l'esecuzione con una serie di argomenti che nel Regno Unito, dove eutanasia e suicidio assistito non sono legali, parlano da soli. MSP non era un malato terminale: soffriva di una patologia invalidante ma non letale. Nella sentenza del giudice Anthony Hayden – lo stesso che, dopo aver definito "futile" la vita del piccolo Alfie Evans ha stabilito che morire fosse nel suo migliore interesse – si fa riferimento a quelle che per il tribunale sono "prove evidenti" del fatto che il ragazzo non avrebbe mai voluto vivere la vita che gli si prospettava.

LA STOMIA E LA PAURA DI NON TROVARE "QUALCUNO CHE MI AMI"
Nel mese di luglio del 2013 era finito in terapia intensiva dopo un intervento chirurgico per trattare una brutta ulcera gastrica. Da allora aveva sofferto di problemi gastrointestinali importanti finché, nell'ottobre 2019, era stato necessario sottoporlo a un intervento di stomia intestinale temporanea. La stomia è un'apertura sulla parete addominale attraverso la quale si porta all'esterno e viene suturato alla cute un tratto di intestino: come molti malati di patologie intestinali, MPS aveva convissuto per un po' di tempo con un sacchetto di raccolta di feci e urine e "lo odiava", ha spiegato la madre in videocollegamento con i giudici. Aveva pregato loro e la sorellastra di non farne parola con nessuno, "Come posso trovare un lavoro in queste condizioni? Come posso trovare una donna che mi ami?": secondo la mamma, MPS si poneva queste domande in continuazione e più volte aveva dichiarato che mai e poi mai avrebbe voluto vivere con uno stoma permanente, decisione messa anche per iscritto il 4 febbraio scorso.

LA TRAPPOLA DELLE DAT
Nelle direttive anticipate sul fine vita il giovane aveva compilato un elenco meticoloso di disposizioni da attuare in caso in cui le sue condizioni fossero peggiorate e la qualità della sua vita fosse stata notevolmente compromessa. "Rifiuto TUTTE le cure o le procedure/interventi medici mirati a prolungare o sostenere artificialmente la mia vita in caso in cui si verificasse una o tutte le seguenti condizioni": e MPS le aveva dettagliate con precisione maniacale, segno per il giudice che ogni scelta fosse stata ponderata con la massima attenzione, dal numero massimo di settimane che avrebbe accettato di passare in stato di incoscienza in attesa di recupero, al numero di dita che avrebbe potuto perdere, alle deturpazioni fisiche in cui avrebbe potuto incorrere fino, appunto, alla formazione di uno stoma, in seguito a intervento chirurgico, permanente o con una possibilità di inversione al di sotto del 50 per cento. Anche sulla musica da suonare mentre fosse caduto in coma era stato precisissimo. A rigor di legge al documento mancava una seconda firma ma per il giudice in quelle parole c'era già tutto per definire il miglior interesse di MSP.

L'IMPREVISTO E IL COMA INDOTTO
Il 14 maggio scorso, su richiesta del giovane, l'operazione era stata invertita. Pochi giorni dopo però MSP rischiò di lasciarci la pelle: tornò in ospedale con sepsi, sanguinamento, occlusione intestinale e in condizioni gravissime. Il chirurgo gli spiegò che per salvargli la vita bisognava tornare insala operatoria e ricorrere alla stomia. E contrariamente a quanto espresso nelle disposizione anticipate, MSP acconsentì. MSP tornò sotto ai ferri, l'intervento si rivelò più complicato del previsto, e qui, secondo i resoconti dei giornali, i medici stabilirono che il decorso sarebbe stato lungo e la stomia irreversibile. Mamma e papà erano terrorizzati dalla reazione che avrebbe avuto una volta che si fosse svegliato. Avrebbe potuto anche uccidersi. I medici decisero allora di mantenere in stato di incoscienza MSP e rivolgersi alla Corte di protezione, deputata a pronunciarsi al posto delle persone in stato di incoscienza e prive della capacità mentale di prendere decisioni da sole, per capire se ci fosse un modo per rispettare la volontà dell'uomo di non vivere in quello stato.

IL GIUDICE PESA LA VITA DI MSP
Ebbene, secondo il giudice Anthony Hayden molte persone vivono vite perfettamente piene e realizzate con una stomia, ma non era il caso di MSP che aveva espresso un messaggio chiaro e coerente: l'uomo aveva già sopportato un "decennio di gravi malattie" e secondo la sua visione la qualità della sua vita era stata "disperatamente ridotta", "letteralmente, qui non si parla di scegliere di morire, ma della capacità di un uomo adulto di determinare e controllare la fine della propria vita". Nella sentenza ricorda che il giovane si sentiva bello, come diceva alla sorellastra, e che durante il ricovero in terapia intensiva nel 2013 fece molti incubi in cui si sentiva stuprato, probabilmente a causa dei tanti tubi che imprigionavano il suo corpo dopo l'intervento. Ricorda i suoi aspetti narcisistici, la sua esuberanza, la depressione dopo la stomia, la profonda vergogna che gli dava l'eventualità di un intervento salvavita che avrebbe però leso la sua autostima per sempre.

"SEDATELO E LEVATEGLI L'IDRATAZIONE"
Hayden ha stabilito pertanto che i medici potessero procedere nel "miglior interesse del paziente" in questo modo: posto che esiste una possibilità "tra il 60 e il 70 per cento" che il ragazzo sopravviva al ritiro della ventilazione, "se si desidera che le volontà di MSP siano attuate, si dovrebbe interrompere la nutrizione e l'idratazione artificiali con una sedazione continua che possa alla fine compromettere la respirazione e porterà MSP alla morte". Così nella sentenza che dichiaratamente e ipocritamente aggira il divieto di eutanasia e suicidio assistito nel Regno Unito.

MEGLIO LA MORTE CERTA DI UNA VITA DI INCOGNITE
MSP non stava per morire, non era incapace di esprimersi, non poteva farlo solo perché i medici avevano mantenuto incosciente, non aveva bisogno di essere attaccato alle macchine per vivere. Come ha scritto il bioeticista Wesley Smith, a MSP è stata propinata un'eutanasia in slow-motion: drogandolo perché restasse incosciente, perché il suo corpo richiedesse sostegni vitali per vivere, perché la corte potesse deliberare di ritirarli assicurandogli una sedazione terminale (ben diversa dalla sedazione palliativa che accompagna la fine naturale di un paziente e molto in voga tra medici olandesi nauseati dalle iniezioni letali). Un procedimento di allestimento del fine vita che nulla a che vedere con il tanto sbandierato diritto all'autodeterminazione e molto invece con l'abbandono dell'uomo: nessuna presa in carico dell'angoscia umanissima di MSP data dal disagio della stomia, nessuna possibilità che (come accaduto per le migliaia di persone – citate dallo stesso Hayden – sottoposte alle stesse procedure) il trentaquattrenne potesse uscire dalla depressione e avere una vita pienamente degna di essere vissuta, nessuna possibilità di recupero, di essere felici, di trovare un lavoro, di trovare una donna: tutto era già stato deciso da genitori, medici e giudici di MSP. Che pur di non accompagnarlo ad una vita fatta di incognite lo hanno abbandonato a morte certa.

Fonte: Tempi, 13/06/2020

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