SE RIPARARE E' PIU' ECOLOGICO CHE RICICLARE
E' una società che si cura solo di alcune limitate risorse e lo fa unicamente per paura che finiscano: una società che genera dunque un ambientalismo ''utilitarista'' o minimalista
di Carlo Bellieni
Il 22 aprile 1970 due senatori statunitensi, per coinvolgere l'opinione pubblica sui temi dell'ambiente, istituirono il World Earth Day. Giunta oggi alla sua quarantaduesima edizione, la Giornata mondiale della Terra è diventata un evento internazionale che richiama l'impegno di tutti verso il pianeta, in particolare laddove la tutela dell'ambiente ancora vacilla, dove l'inquinamento non è né monitorizzato né limitato, e dove desertificazione e disboscamenti selvaggi hanno portato a un impoverimento ambientale che mette a rischio l'accesso di interi popoli all'acqua e al cibo. Il World Earth Day ci richiama anche a una consapevolezza più alta. L'ambiente non si difende solo per paura che le risorse finiscano — la paura è una motivazione senza respiro — ma per una certezza: nulla è realmente inutile e dunque nulla è da sprecare. Caspar David Friedrich, «Il grande recinto» (1832, particolare) Purtroppo la "società del rifiuto" divide in maniera arbitraria le cose e le persone in "utili" e "inutili". E cerca di disfarsi delle seconde senza porsi eccessivi problemi etici o strutturali sulla fine che faranno questi "rifiuti". È una società che si cura solo di alcune limitate risorse e lo fa unicamente per paura che finiscano: una società che genera dunque un ambientalismo "utilitarista" o minimalista. Una versione di questo atteggiamento è l'ambientalismo estetico, che divide gli esseri viventi in esseri più o meno piacevoli: si preoccupa della scomparsa dei panda ma non di quella dell'antico asino da soma; salvaguarda le "grandi scimmie" dagli esperimenti — come fa una recente direttiva europea — perché "simili all'uomo", ma non il cane o il topo. Non stupiamoci allora se, di fronte all'inquinamento montante, c'è una cultura utilitarista che pensa di risolvere certi problemi con stentate scappatoie invece di intensificare la sostenibilità ambientale. Pesticidi e solventi danneggiano la fertilità, ma la società non sa fare altro che rendere più facili le tecniche mediche per rimarginare — in modo oltretutto assai poco efficace — questa ferita; la vita nelle società occidentali è sempre meno "naturale", ma invece di migliorarla si mettono sul mercato farmaci o trattamenti per parare i danni, o per fornire chimicamente quello che invece la natura offre a piene mani. C'è però un ambientalismo che non si muove solo perché incalzato dal timore che le risorse finiscano. Ma perché spinto dalla coscienza sociale e umana che ogni cosa ha un senso, e per questo nulla va buttato, nulla va sprecato o sporcato, dato che nulla è senza valore. È l'ambientalismo che si rifà, tra gli altri, alle scoperte su complessità, armonia e caos nella natura fatte dal premio Nobel Ilya Prigogine, il cui alter ego italiano, il chimico ecologista Enzo Tiezzi, significativamente scriveva nel libro The End of Time (2003): «Obbedire alle leggi di natura, rispettarle, non significa rinunciare alla propria libertà». È un ambientalismo alto che portava lo stesso Tiezzi a schierarsi contro le manipolazioni genetiche sull'uomo e gli ecologisti di Greenpeace in Europa a battersi per l'alt alla brevettabilità delle cellule embrionali umane. «L'equilibrio tra uomo e natura è stato rotto» scriveva nel 2006 un altro Nobel, Adolfo Pérez Esquivel, noto per il suo impegno ambientalista. «Questa situazione — continuava — induce l'umanità a distaccarsi dalla natura in ragione dell'uso e dell'abuso delle risorse naturali e del trasferimento dell'inquinamento da parte delle nazioni sviluppate a scapito di quelle più povere». Questo ambientalismo, centrato sulla bellezza e non sulla paura, fa rivedere le regole ecologiche in modo condiviso, sostenibile e creativo. E fa rivedere anche le strategie comunicative. Come spiegava sulla rivista «Science» Ken Peattie, del Centro per la sostenibilità dell'università di Cardiff, «i messaggi colpevolizzanti sono inefficaci. Puntare sui benefici di uno stile di vita più naturale si è mostrato una via migliore per far ridurre i consumi». Per l'ecologista Julia Hailes anche l'idea di riciclaggio — che, pur meritoria, comporta comunque la distruzione dell'oggetto — deve ormai lasciare il passo all'idea di riparare e riusare il bene: «Riparare un computer è venti volte più ecologico che riciclarlo». Forse si deve imparare a rispettare le cose, prima ancora che imparare dove buttarle: aver rispetto del pane del giorno prima, ancora buono ma un po' insecchito, o della mela lievemente bacata. E pretendere dal mondo della produzione che cessi l'ecatombe di beni fatti per essere gettati via senza usarli o non riparabili. La Giornata mondiale della Terra ci ricorda proprio questo: la certezza che nella natura tutto trova un suo posto.
Fonte: L'Osservatore Romano, 22 Aprile 2012
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