ETERNI BAMBINI? NO, SOCIETA' CHE INVECCHIA SENZA CRESCERE MAI...
L'emergenza demografica italiana ha come risvolto una mancanza di presa di coscienza dei giovani adulti che non si decidono mai a diventare grandi
di Carlo Bellieni
L'occidente malato mostra la sua malattia in un sintomo evidente a tutti: ha messo in congelatore dieci anni di vita della gente. Nella vita di europei, americani e australiani, c'è una specie di buco nero: chi ne ha venti anni resta al palo mentalmente e socialmente per un decennio, senza quasi maturare e chi ha trent'anni vive come se ne avesse ancora venti. Tra i venti e i trenta anni non ci si sposa, non si generano figli, non si trova lavoro: si indulge a tutti quei comportamenti che chiameremmo "divertimento". Ho già spiegato sul Timone (n. 143) che questo fenomeno ha una conseguenza sociologicamente terribile: mentre un tempo in cent'anni la popolazione si riproduceva cinque volte, oggi si riproduce solo tre volte, con conseguente invecchiamento medio, minor freschezza, minor gioia di vivere perché le strade sono vuote di bambini, minori posti di comando in mano a chi è fresco ed intraprendente. Avevo chiamato questo fatto "effetto goccia di miele", perché le generazioni, un tempo compatte culturalmente, oggi, invece, come una goccia di miele sotto la forza di gravità, si allungano e sfilacciano, per quel che riguarda la loro tenuta sociale. UN DECENNIO SENZA PRENDERE IMPEGNI Questa malattia sociale non è senza conseguenze. Ne parla in un suo libro la psicologa statunitense Meg Jay, col significativo titolo: The Defining Decade: Why Your Twenties Matter (Il decennio definitivo: perché i tuoi venti anni sono importanti), in cui lamenta l'ibernazione sociale del terzo decennio della vita, che invece di essere dedicato al fare è dedicato per la maggior parte della gente ad un "aspettare" o ad un "parcheggiarsi". Ma l'inattività non ha mai fatto bene a nessuno; e come non vedere in questo decennale far nulla il concime che favorisce la crescita di tanti eventi negativi? Come non pensare che la diffusione di alcol e stupefacenti non calerebbe se nel picco del loro attuale consumo le persone non fossero parcheggiate a "sperimentare nuove sensazioni"? Come non credere che se le famiglie si formassero prima, l'arrivo di un figlio sarebbe atteso e non temuto? Come non rendersi conto che rimandando la gravidanza oltre i trenta si favorisce la sterilità, con il conseguente dolore e con la corsa ai metodi medici, che sono efficaci al massimo in un caso su tre e con annessi vari rischi per la salute del nascituro/a? I MATRIMONI PRECEDUTI DA CONVIVENZE CROLLANO DI PIU' Sul New York Times la stessa Meg Jay (The Downside of cohabiting Before Marriage, reperibile su www.nytimes.com) spiega che il "buco" nel decennio dei vent'anni col rimando del matrimonio è oggi legato alle convivenze e coabitazioni tra "fidanzati". Questo fenomeno viene di solito descritto come saggio preludio ad una vita di coppia salda perché sarebbe una sperimentazione del matrimonio, un "assaggio" per verificare la saldezza di coppia. Invece la studiosa ci spiega, basandosi su un report del Governo degli Stati Uniti (www.cdc.gov/nchs/data/nhsr/nhsr049.pdf), che le coppie che convivono e poi si sposano sono portate a divorziare più di quelle che non hanno un matrimonio preceduto da convivenza. Sembrerebbe strano, invece la convivenza prematrimoniale è un sinonimo di mancanza di impegno: si convive per non prendere un impegno definitivo; ma poi avviene un colpo di scena: se è facile entrare nella convivenza, meno facile è uscirne anche quando la passione è finita e allora ci si adagia, si finisce con lo sposarsi quasi per inerzia. EFFETTI DELETERI SULLA SOCIETA' Non proponiamo di ritornare a destini programmati da altri, né di rinunciare ad un livello alto di istruzione o all'inurbazione per favorire il ritorno ai campi, che tuttavia in buona parte sarebbe salutare. Ma nemmeno di vedere certi comportamenti come una panacea o come inevitabili. Già, perché il decennio che viene ibernato, viene riempito e infarcito di comportamenti individualistici – libertà di droga, sesso, bullismo, autodeterminazione estrema – che, anche per chi non ne vuole affrontare l'impatto etico, hanno una ricaduta sociale negativa perché non insegnano e/o disabituano a compiere i comportamenti sociali e solidaristici. Questo individualismo edonista tende ad annientare la capacità di compiere comportamenti sociali e a disinnescare la capacità di protesta contro le ingiustizie dei potenti da parte di chi è nell'epoca della massima intraprendenza - e anche della massima reattività e possibile turbolenza sociale. In fondo, l'individualismo riassunto nella frase «fai quel che vuoi purché non disturbi gli altri» è l'inno di questo secolo e riassume tanti pretesi progressi nei diritti individuali; e, man mano che i diritti individuali avanzano, vanno nell'oblio la capacità e la voglia associativa, la coesione sociale. Il buco nero di cui parlavamo, è quello di un decennio di vita riempito consumando, comprando, colmando la noia con i divertimenti del sistema (stupefacenti, azzardo, sessualità esibita e ripetitiva) e esorcizzando le responsabilità (famiglia, figli, lavoro). INDEBOLIMENTO DELLA FAMIGLIA Cosa resterà del mondo occidentale dopo questa malattia, dopo il congelamento del decennio dei venti anni che ha trasformato una cultura dellasolidarietà in una della solitarietà (l'essere privi di interessi verso il bene altrui, l'essere privi di forti legami e di impegni e responsabilità verso gli altri)? Resta una spallata alla castità preconiugale che, ora (per chi la valorizza) deve durare (faticosamente) almeno una decina di anni in più; un'altra alla famiglia che per secoli è stato il baluardo sociale degli umili; infine una spallata alla natalità che continua inesorabilmente a crollare. Insomma una spallata ad un modo di concepire la vita che finora aveva più o meno retto, con tutti i suoi limiti, la convivenza in occidente. E resta un disagio e un vuoto che contagia anche chi è più giovane o più vecchio di chi ha tra i 20 e i 30 anni (quelli del decennio rubato); resta un vuoto futuro che nelle prossime generazioni il moltiplicarsi dei nuovi diritti individuali e "solitarizzanti" non potrà colmare.
Fonte: Il Timone, novembre 2015
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