Amici del Timone n�38 del 01 dicembre 2014 | |
IL SUICIDIO ASSISTITO E L'EUTANASIA NEONATALE Come si misura il dolore? E come si dà valore alla vita umana? di Carlo Bellieni Il caso della giovane Brittany Maynard, affetta da cancro al cervello, e che ha chiesto e ottenuto di morire pur non essendo in fase terminale, riporta nel dibattito pubblico il tema dell'eutanasia e del suicidio assistito, perché ne è una ulteriore evoluzione. Che sia chiaro: il dolore richiede compassione, cura ben fatta e capacità di fermarsi quando le cure diventano inutili. Quello che non ci piacciono sono le scorciatoie, e l'eutanasia è una di queste. Come tutte le cose di moda in questo periodo, l'eutanasia non sfugge alla metodica di propaganda fatta di massicce campagne pubblicitarie, testimonial e casi tristemente pietosi. Tanto da far passare in secondo piano l'oggetto-morte e il soggetto-persona cui invece gli stati dovrebbero concedere e garantire sempre migliori cure e aiuti sociali reali e tangibili. Ma ormai, ottenuto il placet popolare, le scorciatoie si moltiplicano. Valga l'esempio dell'eutanasia infantile approvata in vari Paesi: ormai si discute come farla finita una volta presa la decisione, magari con i miorilassanti tipo curaro, se l'agonia è lunga o – comprensibile ma estraneo ad un diretto interesse del bambino - i genitori non riescono ad affrontare una lunga agonia dopo aver sospeso le cure (Pediatrics 2014). Ma si semplificano le cose anche negli adulti: dopo l'arresto cardiaco c'è un periodo di tempo da far passare per decretare la morte, ma questi tempi si possono anche accorciare alla bisogna se si è già decretato che la vita comunque non merita ulteriori chances. "Nei protocolli per questo tipo di donazione di organi" spiegava (Agosto 2008) un editoriale del New England Journal of Medicine"i pazienti che non sono in morte cerebrale ma su cui è in corso una sospensione dei trattamenti di supporto vitale, vengono monitorizzati per cogliere l'insorgenza di arresto cardiaco" e "sono dichiarati morti dopo 2-5 minuti dall'arresto cardiaco e gli organi vengono rimossi". Continua così l'editoriale: "Sebbene tutti concordino che molti pazienti possano essere ancora rianimati dopo 2-5 minuti di arresto cardiaco, i sostenitori di questi protocolli dicono che possono essere considerati morti perché è stata presa la decisione di non rianimarli (…)"Molti obietteranno che non si dovrebbero togliere gli organi e provocare così la morte." Ma, si risponde, "nelle moderne rianimazioni le decisioni etiche sono già la causa terminale di morte". E come si poteva immaginare, questa speciale attenzione è ricaduta anche sui neonati, in cui, avverte James Bernat, sempre sul NEJM, il periodo di osservazione prima di partire con l'espianto scenderebbe a 75 secondi. Questo certo non accade in Italia, ma come è facile scivolare quando si inizia ad andare su un piano scivoloso inclinato. Il Mail Online del 3 ottobre così titola: " Il numero di pazienti con malattia mentale triplica in Olanda e i dottori mettono in guardia che il suicidio assistito è fuori di controllo": 3600 persone eutanasizzate con malattia terminale, ma anche un centinaio con malattia psichiatrica, con un aumento del 150% negli ultimi sette anni. Anche la rivista Current Opinion in Anesthesiology di aprile 2014 spiega i rischi aperti dall'eutanasia per le persone fragili mentalmente. |
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