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«Questo è un caso che riguarda essenzialmente l'amore di una madre, ma anche i suoi diritti. A che punto io e il padre di Archie abbiamo perso i nostri diritti di genitori nel decidere cosa vogliamo per nostro figlio?». Hollie Dance ha proprio ragione. Se i tribunali del Regno Unito non avessero consegnato loro figlio Archie Battersbee, contro la loro volontà, nelle mani degli operatori sanitari convinti che la morte fosse nel miglior interesse di Archie, egli sarebbe ancora vivo oggi.
Invece, Archie Battersbee, il ragazzo 12enne del sud-est di Londra, al centro di una dura battaglia legale, è morto alle 12.15 del 6 agosto (le 13.15 ora italiana), due ore dopo iniziata la procedura di distacco dei supporti vitali, nutrizione, idratazione e soprattutto la ventilazione. La notizia della morte è stata data dalla madre all'esterno dell'ospedale: «Archie è morto alle 12.15. Sono la mamma più orgogliosa del mondo. Era un bambino bellissimo, e ha combattito fino all'ultimo minuto», ha detto. E la zia Ella Carter, tra le lacrime, ha descritto brevemente cosa è accaduto: «Sono state tolte tutte le medicazioni alle 10. Le sue condizioni sono rimaste completamente stabili per due ore, finché gli è stata ridotta la ventilazione. A quel punto è diventato completamente blu. Non c'è nulla di dignitoso nel guardare un familiare o un bambino soffocare. Nessuna famiglia dovrebbe essere costretta a vivere questo. È una barbarie»
Alla fine è morto come aveva vissuto per tutta la sua breve vita, abbracciato calorosamente dalle persone che lo amano. La sua morte è avvenuta 122 giorni dopo che Hollie Dance ha trovato suo figlio Archie, privo di sensi il 7 aprile, strangolato accidentalmente in casa a Southend-on-Sea, nell'Essex. Sua madre crede che sia stato causato dall'aver tentato la "sfida del blackout", una pericolosa moda che ha preso piede su Tik Tok, che ha ucciso almeno altri due bambini.
L'incidente di Archie ha presto portato i suoi genitori, Hollie Dance e Paul Battersbee, sulle prime pagine dei tabloid britannici quando sono stati coinvolti a fine aprile in una dura battaglia legale, avviata dal Barts Health NHS Trust, amministratore del Royal London Hospital dove era ricoverato Archie. I medici di Archie sono stati irremovibili nel sostenere che il suo supporto vitale dovesse essere tolto. Hollie e Paul non erano d'accordo con il Trust, insistendo che Archie avrebbe dovuto avere più tempo per valutare le effettive possibilità di riprendersi.
"Con tutto il rispetto, i medici hanno detto che Archie non sarebbe durato 24 ore ed eccoci al giorno 121", aveva detto Hollie due giorni fa. "Altri paesi danno ai loro figli 6 mesi. Perché questo paese (Regno Unito) dovrebbe essere in grado di porre fine alla vita di un bambino, a qualsiasi età, nel giro di poche settimane? Volevano porre fine alla sua vita dal secondo giorno in poi". E da quel momento, Hollie ha promesso che avrebbe combattuto fino alla fine per salvare suo figlio. E quando tre giorni fa ha perso anche l'ultimo disperato appello per prolungare la vita di Archie, la famiglia ha messo le proprie energie sull'ultima battaglia legale contro il Trust presso l'Alta Corte, per dare ad Archie una "morte pacifica e dignitosa" in un hospice, fuori dal clima avvelenato dell'ospedale.
Una morte dignitosa è stata l'ultima richiesta della famiglia. Avrebbe comportato il trasferimento di Archie all'ospizio di St. Mary, a breve distanza in auto dal Royal London Hospital. Hollie ha detto alla Nuova Bussola Quotidiana: "Tom, il fratello di Archie, aveva già riservato un posto all'hospice per suo fratello minore alcuni giorni fa in modo che Archie potesse trascorrere i suoi ultimi momenti in un bellissimo giardino con scoiattoli e fauna selvatica, sotto il sole estivo (...) Archie non vede la luce da quattro mesi e vogliamo dare ad Archie l'ultimo saluto che vorrebbe, lontano dall'ambiente teso, chiassoso e caotico dell'ospedale. Ma l'ospedale ha rifiutato di lasciar andare Archie".
Ancora una volta, gli avvocati del Christian Legal Centre che hanno sostenuto la famiglia in tutto questo tempo, hanno lavorato tutta la notte per preparare gli atti legali necessari per un'altra scadenza ingiustificabilmente stretta fissata dai tribunali. L'udienza dell'Alta Corte, presieduta dalla giudice Theis, è durata sette ore e ha portato a un ulteriore, estremo, appello il giorno successivo, 5 agosto. Anche questo è stato respinto, così come il successivo, disperato ricorso alla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo). E quindi è andata delusa anche l'ultima speranza della famiglia, con la condanna di Archie a morire nel suo letto d'ospedale secondo il protocollo di morte del Barts Health NHS Trust. Così, come nella vita, i desideri della famiglia sono stati negati anche nella morte.
Quando la Bussola ha interpellato l'ufficio stampa del Barts Trust sul motivo del rifiuto della richiesta della famiglia, Molly Downing, ha risposto per il Trust con un'e-mail affermando: "Archie è in una condizione così instabile che c'è un rischio considerevole, (...) il trasferimento in ambulanza in un ambiente completamente diverso molto probabilmente accelererebbe quel prematuro deterioramento che la famiglia vuole evitare".
Era chiaramente un pretesto che oltretutto usava le parole della famiglia fuori contesto. In effetti la situazione di Archie era delicata, ma non poteva essere definita un problema insormontabile. Innumerevoli pazienti ad alto rischio vengono continuamente trasportati in aeroambulanza per cure salvavita, o in ambulanza da un ospedale all'altro. Ricordiamo tutti il caso analogo di Alfie Evans nel 2018: quando papa Francesco chiese il ricovero di Alfie Evans all'ospedale pediatrico vaticano Bambino Gesù, la direttrice Mariella Enoch disse alla Bussola: "Siamo molto esperti nel trasportare bambini gravemente malati anche sui lunghi voli internazionali. Abbiamo trasferito una bambina di 7 anni dalla Siria che era stata gravemente ustionata in un bombardamento ed era quasi morta pochi giorni fa. È ricoverata in terapia intensiva. Possiamo trasportare Alfie". Se ci sono i mezzi per un trasporto così lungo e difficile, figurarsi per Archie. E infatti, un medico esperto, che per la famiglia Battersbee ha portato evidenze all'udienza dell'Alta Corte, ha testimoniato che, secondo la sua opinione professionale, "c'è una probabilità dell'1% che Archie abbia un infarto durante il trasporto".
Senza dubbio, questo è stato l'ultimo atto di crudeltà possibile che il Trust poteva infliggere al ragazzo disabile e ai suoi genitori affranti. È stata la conferma di ciò che Hollie diceva da tempo: "Archie è loro prigioniero e ci hanno tolto tutti i diritti come genitori di Archie, vogliono renderci spettatori impotenti e disarmati".
Ma Hollie non è mai apparsa debole né uno spettatore impotente. Anche quando Archie è stato abbandonato da ogni istituzione legale nel suo paese d'origine e da quelle specifiche entità internazionali - CEDU e UN CRPD (Commissione Onu per i Diritti delle Persone Disabili), che dovrebbero garantire il rispetto delle Convenzioni che tutelano i diritti dei disabili e dei vulnerabili - ha parlato di "lotta ad oltranza". E man mano che la battaglia legale infilava sconfitta dopo sconfitta, continuava indomita a prepararsi per il prossimo round. Alle conferenze stampa Hollie, affiancata da parenti stretti o amici, appariva come una moderna Budicca, stoica e ribelle, che sfida le probabilità.
È stata sempre Hollie a comandare le forze che si sono via via unite alla causa di Archie, attraverso la sua pagina Facebook, Archie's Official Army (spreadthepurplewave). Gestito da amici fidati, ha mantenuto centinaia di migliaia di follower aggiornati sui progressi di Archie negli ultimi quattro mesi con messaggi quotidiani, commenti, video, foto e articoli multimediali sulla vita di Archie al Royal London Hospital. Quando amici e seguaci indignati volevano radunarsi fuori dall'ospedale e protestare, è stata Hollie a calmare le acque. Nella prima occasione ha scritto: "Per favore no, non vogliamo proteste, vogliamo preghiere per Archie". L'ultimo post della giornata del 3 agosto diceva: "NON sosteniamo alcuna forma di protesta in ospedale, [quando il supporto vitale di Archie viene ritirato]. Archie non avrebbe mai voluto nulla del genere, quindi per favore non presentarti in ospedale poiché la sicurezza ti chiederà di andartene". E questa mattina ha invitato il suo esercito a radunarsi in silenzio fuori dall'ospedale mentre Archie veniva messo a morte.
Eppure, la morte non è la fine di Archie e non sarà l'ultima cosa che vedremo di Hollie Dance e del suo esercito. Ha promesso di costruire l'eredità di Archie Battersbee. Hollie, con il supporto della propria parlamentare locale Anna Firth, ha già previsto programmi per sensibilizzare al problema delle sfide online e alle tendenze dei social media che possono danneggiare permanentemente i bambini. Un altro post sulla pagina Facebook diceva: "Anna Firth è anche desiderosa di lavorare con l'esercito di Archie per ottenere una legge in cui le famiglie nella situazione di Hollie e Paul possano ottenere più aiuto per esplorare ogni strada possibile per prendersi cura del loro bambino prima di essere portati in tribunale e privati dei loro diritti; esamineremo anche le normative relative ai test sulla morte cerebrale e vedremo se sarà possibile aggiornarle".
Nessuno avrebbe potuto combattere più duramente di Hollie Dance e Paul Battersbee per il figlio. Almeno questo sarà di conforto a Hollie Dance. "So di aver fatto tutto il possibile", dice. "Tutto quanto."
Ulteriore approfondimento di Scienza&Vita: Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola Quotidiana rivela altri particolari con il seguente articolo "Morte cerebrale e dignità, le domande del caso Archie Battersbee" dell'8 agosto 2022
«Archie Battersbee è morto sabato pomeriggio... (Archie Battersbee passed away on Saturday afternoon...): inizia così il comunicato stampa del Barts Healt NHS Trust, il fondo che amministra il Royal London Hospital protagonista della battaglia legale contro i genitori di Archie per poter rimuovere i sostegni vitali al 12enne in coma dal 7 aprile scorso. Dunque, anche l'ospedale ci dice che Archie è morto sabato 6 agosto. E non il 10 aprile quando i medici hanno chiesto ai genitori di poter espiantare i suoi organi. E neanche il 31 maggio, giorno della risonanza magnetica che secondo il giudice avrebbe constatato la morte del ragazzino. È morto il 6 agosto, dopo che gli era stato tolto il ventilatore che lo teneva in vita; è morto per soffocamento, ed è stato uno spettacolo agghiacciante, ci ha testimoniato una persona presente. Dunque, se le parole hanno un senso, Archie era vivo fino alle 14 di sabato 6 agosto, per stessa ammissione dei medici.
Sta proprio qui una delle questioni che la vicenda di Archie ha riportato in primo piano. Quando si può dichiarare morta una persona? Oggi generalmente si fa coincidere la morte della persona con la morte cerebrale, ovvero con la definitiva cessazione di qualsiasi attività encefalica. [...]
Il caso di Archie inoltre ci fa comprendere a quali rischi ci si espone dando troppo per scontato il concetto di morte cerebrale. Secondo le leggi in vigore se si seguissero tutte le procedure, si dovrebbero prima effettuare tutti gli esami e i controlli necessari per arrivare alla diagnosi di morte cerebrale; e in quel momento si può dichiarare ufficialmente la morte della persona. È a quel punto che, eventualmente, si può parlare di espianto degli organi.
Nel caso di Archie si è dato per scontato che ci fosse morte cerebrale senza aver effettuato tutti gli esami richiesti, tanto che Hollie Dance, la mamma di Archie, ha sempre lamentato di essere stata pressata a donare gli organi fin dal secondo giorno di ricovero di Archie al Royal London Hospital (tre giorni dopo l'incidente). E quella gamma di esami non è stata mai terminata tanto che nella sentenza dell'Alta Corte del 13 giugno il giudice fa propria la tesi dei medici secondo cui era «altamente probabile» la morte cerebrale di Archie.
Affermazione che ha fatto sobbalzare perfino i sonnacchiosi vescovi inglesi: in una dichiarazione del 23 giugno, il vescovo ausiliare di Westminster, John Sherrington, responsabile vita della Conferenza episcopale, ha detto che è necessaria «la certezza morale prima di riconoscere la morte», ovvero vanno seguiti «criteri neurologici precisi». Cosa che «non è stata fatta» nel caso di Archie. «Non si può giudicare sulla vita e sulla morte in base a criteri di probabilità affermando che "è probabile o molto probabile" che sia morto». Monsignor Sherrington concludeva affermando che non sarebbe stato lecito rimuovere i sostegni vitali senza la certezza della morte.
L'assurdità della sentenza - potenziale boomerang per i medici - deve essere apparsa evidente anche nelle successive fasi giudiziarie tanto che il discorso, per raggiungere l'obiettivo, si è poi concentrato esclusivamente sul "miglior interesse" di Archie. E in base a questo si è sentenziato che Archie doveva morire, e morire in ospedale. Tanto che la sua morte è stata certificata solo il 6 agosto, dopo il distacco del ventilatore.
Va dunque registrato questo inquietante passaggio in cui lo Stato decide di far morire una persona neanche più giustificandosi con criteri oggettivi.
Un secondo aspetto che tutta la vicenda di Archie fa risaltare riguarda il concetto di "dignità". Curiosamente sia i medici e i giudici da una parte sia i familiari di Archie dall'altra hanno spesso invocato la dignità di Archie per sostenere le proprie posizioni. Si è invocata la "dignità" per farlo morire e si è invocata la "dignità" per tenerlo in vita e anche per trasferirlo in un hospice quando non c'era più nulla da fare. Cosa è dunque dignitoso? O in cosa consiste la dignità umana? È possibile riconoscere un significato oggettivo di tale dignità?
È qui che si fa chiara la differenza tra una visione religiosa e una agnostica o atea, tra il riconoscimento dell'uomo come trascendenza e una concezione materialista. La vera dignità dell'uomo consiste nell'essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio e nell'essere chiamato alla vita eterna. Per questo la sua vita è indisponibile, e il suo corpo non può essere trattato come un oggetto. Ma se non si riconosce questa creaturalità, allora la dignità viene ridotta a qualità della vita (come nel caso dell'eutanasia e dell'aborto) o comunque a criteri utilitaristici: a certe condizioni si diventa pesi per la società. È la dimostrazione che senza Dio l'invocata dignità diventa in realtà profondamente disumana.
È anche quello che avvertiva con chiarezza Benedetto XVI, che invitava infatti anche gli atei a vivere «come se Dio esistesse»: «Sarebbe bello - disse in un messaggio ai partecipanti al "Cortile dei gentili" il 16 novembre 2012 - se i non credenti cercassero di vivere "come se Dio esistesse". Anche se non abbiamo la forza di credere, dobbiamo vivere sulla base di quest'ipotesi, altrimenti il mondo non funziona. Ci sono molti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto se Dio non è posto al centro, se Dio non diventa nuovamente visibile nel mondo e determinante nella nostra vita».
Quanto è avvenuto ad Archie ne è ancora una volta la dimostrazione.
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