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Caro direttore,
sul tema dell'aborto e della Ru486 sono grato ad 'Avvenire' per il dibattito che sta animando e accogliendo, sollecitando così le migliori riflessioni sul tema antropologicamente fondante della dignità della vita umana e della tutela della salute. Vorrei perciò soffermarmi proprio su questi due aspetti per definirne le dimensioni normative partendo dalla legge 194. Chiarisco subito che la legge non fonda affatto la legittimità delle richieste abortive sull'esigenza di tutelare la dignità della donna, come sembrano far intendere alcuni commenti, quanto piuttosto sulla protezione della sua salute. E non poteva essere altrimenti, essendo il concetto di dignità particolarmente scivoloso. È più 'degna' la donna che abortisce della vita che ha nel suo grembo? Interrompere volontariamente la gravidanza è un atto 'degno'? Il legislatore della 194 ha deciso di valutare i casi legittimi di Ivg con il diverso parametro della salute della donna: il «serio pericolo per la sua salute fisica o psichica » è l'unico motivo per cui lo Stato italiano appronta protocolli sanitari volti alla soppressione di un essere umano. Questa è la realtà giuridica, certamente cruda e per molti moralmente inaccettabile («è come affittare un sicario», ha affermato papa Francesco). Nella legge 194 non ci sono riferimenti a una facoltà di scelta, a libertà assolute o altri concetti che facciano intendere l'attribuzione di un diritto di abortire senza limiti. Quello piuttosto - come lei direttore ricorda spesso - era l'obiettivo del quesito referendario dei Radicali che assieme a quello opposto del Movimento per la Vita furono sconfitti nel referendum del 1981 (peraltro il primo con l'11,58% di sì; il secondo con il 32%). Il dato storico non va mai dimenticato. Certo è che da alcuni anni è in atto una rilettura dei protocolli abortivi da parte di élite politico-culturali, che fanno leva sulle nuove possibilità offerte dalla chimica e dalla farmacologia. La tesi è che, essendo la Ru486 un farmaco autorizzato dalle Agenzie italiana ed europea per i medicinali, nessuno può opporsi alla sua somministrazione in Italia. Non è vero. L'Aifa e l'Ema autorizzano la commercializzazione dei farmaci, ma non hanno alcun potere in ordine alle procedure legali di somministrazione degli stessi. Queste rimangono una prerogativa di ciascuno Stato membro e delle sue articolazioni regionali che non hanno certo devoluto a organismi tecnici il proprio potere legislativo e regolatorio in materia di salute. Ciò che invece si fa passare è che una volta approvata scientificamente la Ru486 nasca automaticamente un diritto a poterne fruire come metodo abortivo. Sfugge però a chi lascia intendere tutto questo che, pur legittimando l'aborto, la legge 194 ha previsto una serie di pesi e contrappesi finalizzati a rendere piena consapevolezza sulla drammatica interruzione di una vita umana e sulle ripercussioni di ordine fisico e psichico che essa comporta nei confronti di chi decide. Questo è il senso e il ruolo dei Consultori, dei dialoghi per la rimozione degli ostacoli alla gravidanza, del periodo di riflessione legislativamente previsto: tutti passaggi delicatissimi e necessari, stabiliti dalla 194, che - piaccia o non piaccia - rimane l'unica fonte legislativa nella somministrazione di qualunque farmaco o tecnica abortivi. Il dialogo informativo e lo spazio temporale dei sette giorni che precedono l'Ivg sono centrali e funzionali alla ratio della legge 194 che, nello sbilanciamento giuridico a favore della donna in ordine alla sua salute, indica - pur tenuemente - la compresenza della dignità di una vita nascente che può essere soppressa. Di qui il rilevante ruolo dei Consultori e le loro funzioni di servizio multidisciplinare volto al sostegno dei cittadini, grossolanamente associato dalle nuove linee guida del ministro Speranza (e da qualche commentatore) ai diversissimi compiti dei poliambulatori che, invece, somministrano prestazioni sanitarie specialistiche. Male allora non sarebbe, anche solo per onestà intellettuale, se i tanti fini costituzionalisti e commentatori politici che abitualmente rimbrottano il governo per l'uso disinvolto della decretazione d'urgenza, che esautora il nostro Parlamento dalle proprie funzioni legislative, lo facessero anche quando a modificare i contenuti di una legge sia addirittura un atto ministeriale, cui lo stesso premier Conte ha detto, a caldo, di non sapere nulla.
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