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Per far fronte all'emergenza Coronavirus il sistema sanitario nostrano, com'è noto, ha deciso di differire tutti gli appuntamenti già fissati e le chirurgie non strettamente necessarie. Paradosso vuole, tuttavia, che tra le attività che continuano a essere svolte rientri l'aborto: se in un'ala dell'ospedale, dunque, si lotta strenuamente (e con le poche risorse disponibili) contro la morte, in un'altra non si pone freno alla macchina di morte che – stando ai dati ministeriali –, in Italia, uccide circa 80.000 bambini ogni anno, ossia 220 ogni giorno. E si tratta di stime al ribasso, che non tengono conto di tutti gli aborti cosiddetti chimici e di quelli determinati dall'uso di modalità contraccettive che agiscono a concepimento avvenuto. Allargando poi lo sguardo al mondo, i numeri rendono un'immagine ancora più impietosa: con 42.4 milioni di esseri umani uccisi nel grembo materno nel solo 2019, e anche qui il dato è sottostimato, l'aborto risulta essere la prima causa di morte nel mondo. Eppure, anche nel pieno della pandemia di Covid-19 quando ogni bambino che viene al mondo è ancora di più un segno di speranza nel futuro, la cultura di morte prosegue imperturbata la propria strada.
A margine di questo discorso, va inoltre aggiunto il fatto che, in alcune zone d'Italia ma per fortuna non in tutte, proprio a causa delle limitazioni cui tutti siamo costretti in questo momento di emergenza nazionale, l'evento del parto e i giorni immediatamente conseguenti alla nascita, fino alla dimissione, vengono preclusi ai padri dei bambini, ai quali viene addirittura impedito di entrare in ospedale. Ed è così che dei protocolli di sicurezza, assolutamente comprensibili e doverosi in caso di conclamata infezione da Covid-19, vanno a intaccare anche un momento familiare così intimo e delicato, non da ultimo sotto il profilo psicologico e relazionale.
DALL'ITALIA, ALL'INGHILTERRA
Ad ogni modo, l'Italia non è la sola ad aver deciso di non sospendere gli aborti. Nel Regno Unito, anzi, il Governo ha deciso di adottare una misura in un certo senso ancora più controversa, andando a favorire l'aborto chimico con Ru-486 che, oltre a essere fonte di morte per il bambino, è molto pericoloso per la salute fisica e psicologica delle donne, che peraltro si trovano a vivere questo drammatico evento nel privato delle loro mura domestiche. Donne che, nel pieno della pandemia, magari arrivano a prendere la decisione di uccidere la vita che hanno in grembo anche solo per paura di malformazioni derivate da un eventuale contagio – che, la lettura scientifica afferma, non si verificano – o per una perdita di speranza nel futuro.
Riporta Live Action: «Il Segretario di Stato per la salute e l'assistenza sociale ha approvato due misure temporanee in Inghilterra per limitare la trasmissione del Coronavirus (COVID-19) e garantire l'accesso continuo ai servizi di aborto medico precoce:
le donne e le ragazze saranno in grado di assumere entrambe le pillole per l'aborto medico precoce nelle proprie case, senza la necessità di frequentare prima un ospedale o una clinica;
i medici saranno in grado di prescrivere entrambe le pillole per il trattamento dell'aborto medico precoce da casa propria».
Insomma, per ottenere le pillole per abortire (le componenti che la donna deve assumere sono infatti due: il mifepristone, uno steroide sintetico atto ad interrompere la produzione di progesterone, impedendo in tal modo all'embrione di crescere e svilupparsi per mancanza di principi nutritivi, e il misoprostol, una prostaglandina che rilassa il collo dell'utero e induce le contrazioni, permettendo l'espulsione del sacco amniotico contenente l'embrione) basta un semplice click sul mouse da parte di un sedicente medico. Ed è così che il valore della vita viene ancora una volta, inesorabilmente, banalizzato.
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