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Al Comune di Siena, una lista civica che appoggia la maggioranza di centrodestra ha chiesto l'uscita dalla rete RE.A.DY. la rete contro le discriminazioni. Oggetto del contendere è, ancora una volta, l'utero in affitto, che l'Arcigay senese, membro della RE.A.DY. locale, insiste nell'appoggiare. Siena aveva aderito a RE.A.DY. nel 2014, quando la giunta e la maggioranza consiliare erano di centrosinistra. A sollevare la questione è stata la lista Sena Civitas, rappresentata in Consiglio Comunale da Pietro Staderini, che ha recentemente presentato una mozione ad hoc. A spiegare a Pro Vita & Famiglia i contorni della vicenda è stato un altro esponente di Sena Civitas, Paolo Del Prato, esperto di questioni di bioetica e di politiche familiari.
Dottor Del Prato, c'è una ragione per la quale la maggioranza di centrodestra al Comune di Siena ancora non abbandona la rete RE.A.DY.?
«Non saprei darle una risposta, è comunque un dato di fatto che la maggioranza, che anche Sena Civitas sostiene, a differenza di altre amministrazioni di centrodestra, non ha ancora preso nessuna iniziativa a riguardo, allora ci siamo attivati noi con questa mozione. Contiamo che anche Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia seguano l'esempio di altri comuni, come Pistoia, Arezzo, Pisa, Treviso, Udine e Cremona. La nostra è una lista civica di area moderata che si riconosce in determinati valori, quindi abbiamo pensato noi di compiere il primo passo, fermo restando che, con questa nostra iniziativa, non intendiamo affatto voltare le spalle di fronte a discriminazioni di alcun tipo».
Dai dati dell'UNAR, oltretutto, sembrerebbe che non vi sia alcuna emergenza discriminazione avente a che fare con l'orientamento sessuale…
«È proprio così. Sono dati nazionali ma non abbiamo elementi per affermare che a Siena la situazione sia molto diversa. L'ultima rilevazione dell'UNAR, organismo decisamente super partes, risalente al 2017, certifica che la maggior parte delle discriminazioni sono di ordine razziale, etnico e religioso. Quelle riconducibili a motivazioni legate all'orientamento sessuale sono state 324, pari al 9,1% e, di queste, solo 38 (pari a circa l'1%) legate a motivazioni connesse alla "identità di genere". Non vogliamo con questo ignorare le discriminazioni di questo tipo ed è bene che il Comune le affronti con adeguati progetti di prevenzione, a patto, però, che non vengano scelti soggetti schierati ideologicamente come, appunto, l'Arcigay, che della rete RE.A.DY fa parte, e che non ha mai preso apertamente posizione contro l'utero in affitto. Ciò è per noi inaccettabile e, per questo motivo, chiediamo al Comune di uscire da RE.A.DY.».
È quindi l'utero in affitto, l'elemento più divisivo e controverso?
«Vorrei citare un episodio che mi ha visto coinvolto. Ero stato invitato da un gruppo scout senese a discutere proprio dell'utero in affitto. Avevano organizzato un dibattito, ospitando le voci contrarie e quelle favorevoli alla pratica. La nostra controparte era l'Arcigay di Siena. È la conferma che queste organizzazioni non hanno una posizione contraria anzi, pur con tutti i distinguo pretestuosi che offrono, sono sostanzialmente favorevoli. E questa è una posizione che vede contrari non solo noi ma anche una gran parte del mondo femminista e persino una parte dell'attivismo lgbt. Queste associazioni, quindi, ritengono accettabile qualcosa che dovrebbe essere inaccettabile per chiunque. Nella mozione citiamo comunque un altro fattore, che è quello educativo. Questi soggetti sono gli stessi che vogliono andare nelle scuole a parlare di "fluidità di genere", anticamera – come è noto – per la diffusione tra i minori di farmaci "bloccapubertà" che in altri Paesi, come nel Regno Unito, stanno cominciando a destare forte preoccupazione dal punto di sanitario e psicologico. Riteniamo che su questi temi non debba essere permesso l'ingresso nelle scuole a figure ideologizzate che portano avanti teorie molto controverse di un punto di vista scientifico».
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