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LE DIPENDENZE COMINCIANO DA BAMBINI
No a telefonini e tablet
di Carlo Bellieni

Gli americani sono bruschi ma chiari: via ogni uso di media elettronici dai bimbi. Almeno sotto i due anni, spiega l'ultimo documento dell'American Academy of Pediatrics, ma anche sopra i due anni sono da usare con la massima cautela: non superare più di un'ora al giorno di visione ( Tv o Pc) e che sia di 'programmi di alta qualità'. E non solo si devono isolare i bambini da un uso improprio dei media digitali, ma anche - riportano i pediatri americani dall'uso che ne fanno i genitori (vivere col Tv dei genitori acceso è dannoso anche per i piccoli che non lo guardano direttamente) e incoraggiare i pediatri a parlare con le famiglie dei rischi legati ai mass media (solo il 15% dei pediatri Usa lo fa). Purtroppo i genitori da qualche parte devono scaricare lo stress, rilassarsi da giornate dure, da lavori che coinvolgono entrambi mamme e papà, e finiscono col relegare i piccoli nelle mani delle nuove babysitter elettroniche. Ultima è l'invenzione di una culla elettronica (la culla 'intelligente') che ninna al posto di papà il bebé che piange, cosa buona, se non fosse il colpo di grazia al contatto fisico, grande cura per una crescita sana.
Insomma, la medicina dice che il bambino deve essere abbracciato e la società invece risponde nei fatti che deve essere irradiato di immagini video; e vince la seconda: recenti dati della Gsma, (l'associazione internazionale degli operatori di telefonia mobile) dicono che il 69% dei bambini europei e giapponesi hanno un telefono portatile di cui due su tre sono smartphones, dunque viaggiano con un potente Pc, pieno di giochi, applicazioni varie e spesso incontrollabili e molto accattivanti.
Vince l'attrazione dello schermo irradiante perché la maggior parte di essi, sempre secondo i dati Gsma, ricevono in dono il telefono tra i dieci e i dodici anni (in Giappone verso i 15), con un intento di fondo errato e pericoloso: tenere sotto controllo il bambino. Certo che la società è pericolosa: traffico, violenza ci assediano, ma un bambino che sa di dover essere disponibile a fornire le sue coordinate ai genitori in ogni istante è un bambino che vive meno libero e soprattutto vive nella consapevolezza dell'angoscia dei genitori.
N on a caso parlavo di 'coordinate', perché se con la voce si forniscono quelle che si vogliono fornire, oggi i genitori possono tenere sotto controllo anche quelle fisiche e territoriali del figlio o della figlia, basta inserire la giusta app nello smartphone che questo diventa una 'spia'; addirittura vengono reclamizzate per i bimbi scarpe con un rilevatore Gps integrato dette per questo 'scarpe intelligenti': alla faccia della spensieratezza e della privacy. Già, perché anche un bambino ha diritto alla privacy; l'ha sempre avuta per secoli, per andare nei prati o in discoteca o dove gli pareva, salvo accorgersi ora che questa privacy può essere aggirata; per far star tranquilli i 'grandi', si dirà, ma a quale prezzo? Anche prima la privacy era imitata, ma in modo meno subdolo: dovunque andasse il ragazzino era conosciuto da vicini e zie; oggi non ci sono più vicini e zie nella società dell'anonimato. Peggio ancora: un tempo il ragazzino doveva rispondere di dove era andato; oggi non serve più, c'è il Gps che parla per lui: fine del dialogo.
C erto poi non è da dimenticare che la televisione può avere un effetto positivo, vedi per esempio campagne anti-fumo, e internet è utilissimo sia per divertimento che per risvolti scolastici; ma c'è ovviamente anche un effetto negativo per i contenuti trasmessi, come ad esempio le pubblicità di cibo ad eccessivo contenuto calorico ma che, come riporta la rivista americana 'Appetite' di ottobre, influenza verso il consumo per esempio dei cereali da colazione a maggior contenuto di zuccheri. Questo perché i ragazzi sono ormai influenzati e influenzabili: non dimentichiamo che i teenagers non hanno ancora sviluppato la regione prefrontale dell'encefalo, quella che ci trattiene da scelte avventate. Sono così influenzabili che per loro le sigle dei cartoni animati o gli stratagemmi per passare di livello nei videogiochi sono comune oggetto di dialogo e di incontro, e gli spot pubblicitari li attraggono più del contenuto dei programmi stessi. La rivista Archives in Medicas Sciences di ottobre mostra che in Spagna il 54% degli spot per ragazzi riguardano cibo ad eccessivo contenuto calorico; e il riscontro è l'estendersi dell'obesità tra i giovani, favorita anche dalla sedentarietà, come spiega la rivista della Società Internazionale per lo Studio della Obesità. Questo evidenzia un dato: la forza della televisione nel catturare l'attenzione è studiata e forte, tanto che riportammo con varie ricerche da noi fatte, che guardare Tv riesce ad estraniare i bambini dal dolore durante le punture in ospedale e che allunga i tempi di reazione agli stimoli sonori misurati in laboratorio. L a suddetta inchiesta della Gsma ci dice anche altre cose interessanti: il 22% dei ragazzi riporta che per colpa di internet e della sua attrazione passano meno tempo con familiari e amici; il 38% di essi prova un reale stato d'ansia quando internet gli è precluso, e il 10% dei ragazzi (il 29% in Giappone) dichiara di aver mangiato di meno e dormito meno a causa di internet come riporta anche la rivista Eatig and Weighting Disorders. A questo sommiamo l'effetto dei cosiddetti 'giochi intelligenti', cioè quelli digitali che servono per istruire i bebé sin da prima che imparino a parlare e ci domandiamo: ma davvero i nostri figli hanno bisogno così presto di nozioni tecniche accademiche, oppure questa supposta istruzione tramite il gioco elettrico-digitale è un alibi per i grandi che così si sentono meno in colpa di aver lasciato per ore solo il bambino? In realtà l'educazione di cui ha bisogno il bambino è primariamente ed essenzialmente un'educazione coinvolgente e affettiva, in cui i contenuti tecnici sono un'appendice, perché più di cose da imparare il bambino ha bisogno di capire chi seguire e di chi fidarsi e amare.
B isogna distinguere tra fare un uso prudente del mondo elettronico, e l'affidargli in toto i bambini; ma è tale l'attrattiva e il fascino studiato a tavolino di questi apparecchi, il segnale di successo sociale che comportano, e la carica di coinvolgimento con suoni e colori e ritmi studiati da fior di agenzie, che passare dal primo stato al secondo è un lampo. Arriva l'inondazione di oggetti che si sono autodefiniti intelligenti: 'giochi intelligenti', 'scarpe intelligenti', 'smart-phones', 'culle intelligenti', e abbiamo un timore: che la società che affida i suoi figli a macchine intelligenti, di intelligenza ne abbia persa molta.

 
Fonte: Avvenire, 29/11/2016