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Ha avuto una discreta risonanza la notizia della quattordicenne malata di cancro che ha chiesto e ottenuto la crioconservazione del suo corpo (gli esperti dicono "criogenesi": perché "genesi"? Si "genera" qualcosa???) nella speranza che prima o poi possa essere scongelata e guarita.
Dei dettagli di cronaca non ci interessa in questa sede, e i nostri Lettori possono recuperarli altrove – se già non li conoscono.
Vorremmo invece porgere qualche spunto di riflessione a margine della faccenda.
Ci sono 350 famiglie che hanno speso un sacco di soldi per far ibernare i loro cari defunti ora custoditi in un apposito mega freezer che si trova negli Stati Uniti. Forse, se costasse meno (37.000 sterline, hanno pagato i nonni della giovane inglese) ce ne sarebbero molti di più. E' ovvio. Perché la morte fa paura.
La società contemporanea ha fatto del tutto per esorcizzarla. Non se ne parla, quando bisognerebbe: avete fatto caso che alcuni dicono "non c'è più", o altre espressioni soft per non pronunciare la parola morto, come fosse una parolaccia? Non si usa dire quella "brutta parola" ai bambini (… "nonno è volato via con l'aeroplano"). Salvo poi banalizzarla, mostrando ai bambini stessi ammazzamenti violenti delle più diverse specie nei film e nei cartoni animati.
Ma nonostante tutto prima o poi la morte tocca (e ci tocca). Ed è "l'unica cosa a cui non c'è rimedio", dice correttamente la saggezza popolare.
Certamente, anche le aziende che forniscono il servizio di crioconservazione dei corpi (e delle teste, dei cervelli) ammettono che attualmente è impossibile far rivivere un cadavere congelato. Il procedimento comporta lo svuotamento del corpo dal sangue che viene sostituito da un liquido speciale che gelando non dovrebbe danneggiare le cellule, ma è velenoso.
Quindi nella migliore delle ipotesi la crioconservazione è un atto di fede; nel peggiore dei casi si tratta di ciarlataneria.
Si ha fede nella crioconservazione, ma non ci si interroga seriamente sul mistero della morte e sul senso della vita. C'è o non c'è un "dopo"? Perché la risposta a questa domanda può davvero cambiare "tutto".
Certo è che la consapevolezza della morte, finora, ha spinto gli esseri umani a voler migliorare, a voler lasciare una traccia del proprio passaggio, attraverso l'arte, la scienza, i figli… E' forse la consapevolezza di dover morire che ci rende veramente umani.
Si è insinuato, invece, nella mente di chi scrive un atroce dubbio.
Uno degli articoli che parlano della vicenda in questione, su Quotidiano. net, così recita: "Anche se alcune teorie ipotizzano la possibilità di ibernare un intero individuo prima della morte cerebrale in caso di coma irreversibile, oppure per evitare la morte a causa di un male incurabile, in attesa di future cure, restano ancora senza un riscontro scientifico.
Dal punto di vista etico e legale quindi è possibile solo la crioconservazione di corpi morti, che cerca di sfruttare il lasso di tempo che passa dal blocco del battito cardiaco alla morte cerebrale, effettuando così il congelamento in modo da conservare intatte le strutture nervose".
Come fanno a congelare un intero corpo umano nel brevissimo tempo che intercorre tra l'arresto cardiaco e la morte cerebrale? E viceversa?
Il dubbio atroce c'è, vista la facilità con cui – all'estero soprattutto – si danno per morte le persone vive, o ai fini del prelievo degli organi, o ai fini dell'eutanasia.
Speriamo di essere esageratamente sospettosi… Non vorremmo davvero immaginare scenari di fantascienza-horror in proposito.
Come abbiamo già scritto altrove, il bagno nello Stige del piccolo Achille, l'elisir di lunga vita, il ritratto di Dorian Gray, dimostrano che da sempre la creatura anela a sconfiggere la morte, è spinta a valicare il limite: l'uomo anela naturalmente all'infinito.
Il problema è stato risolto, già da un paio di migliaia di anni, per coloro che credono che la morte sia solo un passaggio e che la Vita Vera, quella Eterna, comincerà dopo. E che ci sarà una risurrezione vera, dei corpi, nell'Ultimo Giorno.
Per gli altri resta la speranza del surgelatore.
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