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«Hai una gravidanza indesiderata? Questo servizio di aborto farmacologico on line aiuta le donne ad avere accesso all'aborto sicuro, tramite pillola, al fine di ridurre il numero di morti causate invece dall'aborto non sicuro». Questa è la presentazione sull'home page di Women on Web un sito che offre alle donne di quei Paesi in cui non è possibile accedere all'aborto chimico, realizzato tramite pilloline varie, la possibilità di ricevere a casa le pasticche necessarie per l'aborto fai da te. Tu ordini on line e loro spediscono in tutto il mondo. Da Amazon ad Ammazzo(n). Accanto alla frase di presentazione troviamo qualche decina di foto di donne sorridenti incorniciate dalla scritta «Io ho abortito!». Clicchi sulle foto e ognuna di loro ti racconta la propria esperienza dolorosa e il percorso che l'ha portata a scegliere l'aborto chimico. Una sorta di Facebook abortivo.
Il "servizio" è aperto solo alle donne che hanno una gravidanza non oltre la nona settimana. A tal proposito Rebecca Gomperts, la responsabile del sito, spiega in un'intervista a Vanity Fair (l'aborto fai da te alla fine è pure glamour): «procedendo nella gravidanza, il feto si struttura, l'aborto diventa più complicato da gestire in ambiente domestico, senza considerare che può essere scioccante abortire un feto che comincia ad avere sembianze di bambino». Guardare in faccia tuo figlio appena abortito, in effetti, questo sì che è poco glamour. Meglio evitare. Vi sono altre condizioni per ricevere le pillole abortive. Le donne devono vivere in un Paese in cui «l'accesso all'aborto subisce restrizioni» (quindi potenzialmente tutti i Paesi) e non devono essere affette da gravi malattie. La donna deve poi rispondere a 25 domande, una specie di test abortivo. E se mentono? «Non chiediamo nessun esame, nessuna ecografia», spiega la Gomperts, «se una donna ci dice di essere incinta da cinque settimane le crediamo e basta. Come possiamo sapere se è vero? Non abbiamo modo». Siamo all'autocertificazione abortiva, l'esito estremo del principio di autodeterminazione della donna. Infine, dietro il versamento di 90 euro – tanto poco costa la vita di un bambino – ecco che si può procedere alla spedizione del pacco della morte.
«Noi non intendiamo sostituirci al sistema sanitario», tiene a precisare la Gomperts, «semplicemente coprire un buco in quei posti in cui le donne non possono esercitare i loro diritti. Lo facciamo spiegando loro che se assumono una combinazione di due farmaci – il misoprostolo, un gastroprotettore che fa contrarre l'utero, e il mifepristone (meglio noto come RU486) – possono indurre, a casa e in sicurezza, un aborto spontaneo». Come un aborto spontaneo? Se io sparo a una persona forse che gli procuro una morte spontanea? In secondo luogo la dottoressa Gomperts ignora, o forse vuole ignorare, che l'aborto con la RU486, studi alla mano, è ben più pericoloso per la salute psicofisica della donna che l'aborto chirurgico. Aspetto questo comunque marginale dato che il primo come il secondo è sempre ugualmente letale per il bambino
La dottoressa Gomperts prosegue poi il discorso puntellandosi a questa falsa equazione che vedrebbe l'aborto spontaneo essere identico sul piano morale a quello procurato: «Il 20 per cento delle gravidanze si conclude con un aborto spontaneo nel primo trimestre. […] Con l'aborto farmacologico è la stessa cosa: le pillole fanno espellere l'embrione». La dottoressa dà prova inoltre di essere forte in logica applicata: «Le donne non vogliono abortire, semplicemente non vogliono aspettare un figlio». É' come dire che chi ha problemi con il Fisco per via delle tasse non è che vuole evadere, vuole solo non pagare le tasse. Lo strumento delle pilloline abortive è un grimaldello efficace per farla in barba alla legge. Nessuno, infatti, saprà che la donna avrà ricevuto le pillole illegali e quand'anche ci fossero complicanze che richiedessero l'intervento di un medico o il ricovero sarà impossibile che qualcuno scopra come sono andate veramente le cose: «i medici non potranno sapere se l'aborto è spontaneo o provocato, e la donna non rischierà nulla», ci tranquillizza la dottoressa Gomperts.
Quest'ultima comprese di avere una vera e propria vocazione all'aborto quando fece la volontaria su una nave di Greenpeace dove ebbe modo di incontrare donne di tutto il mondo che, a suo dire, non potevano abortire nei loro Paesi. Da qui l'idea di avere una nave Greenpeace che solcasse i mari di mezzo mondo non per impedire di uccidere i cuccioli di foca, ma per facilitare l'uccisione di quelli d'uomo. E così nacque girava il: prendi una nave che batte bandiera olandese, vai in quei Paesi dove non si può abortire, tieniti in acque internazionali e accogli sul pontile della nave, che è suolo olandese, quelle donne che vogliono sbarazzarsi del loro figlio. Una baleniera a caccia di bambini che per fiocina usa un aspiratore Karman. E dunque ora la Gomperts con il sito Women on Web ha semplicemente deciso di non navigare più in mare aperto ma in internet, certa che la sua pesca turpe e illegale sarà sempre abbondante.
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