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Dal 28 marzo va in onda ogni venerdì sera su Mtv il docu-reality Generation cryo – fratelli per caso. È la storia di una ragazza diciassettenne, BreeAnna, lesbica, nata da fecondazione eterologa. Il format, importato dagli Stati Uniti dove non ha mancato di sollevare polemiche, affronta con linguaggio giovanile e pochi scrupoli morali il tema dei figli “venuti dal freddo”. Chi sono? Cosa vogliono? Cosa pensano della loro vita?
Posto che si tratta di un prodotto televisivo e posto che il mezzo influisce sul messaggio e sulla sua rappresentazione, Generation cryo è una trasmissione interessante per almeno due ordini di ragioni. La prima è che, fatta la tara a un certo finto spontaneismo, il problema della fecondazione extracorporea è affrontato dal punto di vista dei figli. Non più, quindi, genitori che rivendicano diritti o desideri, ma giovani adulti con una certa consapevolezza di sé e del mondo. Il secondo motivo di interesse risiede nel fatto che il reality porta allo scoperto domande, frustrazioni, problematiche che dall’eterologa derivano. E lo fa in maniera totalmente laica e disinibita, senza paternali e infingimenti, dando la parola a un gruppo di ventenni che hanno il volto perforato da piercing, lo sguardo spesso fisso sugli smartphone, il “cinque” come modalità di saluto. Ma anche i figli venuti dal freddo – come tutti i ventenni del mondo – si fanno delle domande. E io chi sono? Da dove vengo? E soprattutto: chi mi ha voluto, in qualunque modo mi abbia voluto, cosa c’entra con me?
Generation Cryo è il video diario di BreeAnna che si presenta spiegando che la sua storia «inizia con due donne e nessuna di loro aveva un pene, così – piano B –, un giorno un uomo misterioso si è recato in una banca del seme, è entrato e ha fatto quel che doveva fare in un bicchiere». Le due donne, Sherry e Debra, hanno scelto dal catalogo un uomo alto, atletico e intelligente, il donatore #1096. «Poi hanno messo della musica soft e acceso delle candele e fatto il tutto con una pompetta da sugo… che schifo!». Ora che è quasi maggiorenne, BreeAnna vuole dare un nome e un volto a #1096, la cui identità è coperta da rigoroso riserbo e segreto. Ma grazie al Donor sibling registry (un registro online attivo dal 2000 che aiuta a rintracciare tutti i figli nati dallo stesso donatore) BreeAnna ha scoperto di avere quindici fratellastri sparsi sul suolo statunitense. Il programma racconta i viaggi di BreeAnna in giro per l’America sulle orme del “donatore”, la conoscenza che si trasforma spesso in amicizia coi suoi fratelli di provetta e le loro famiglie, le loro indagini su quell’uomo che nessuno di loro osa chiamare «papà».
Così, tra una video confessione e l’altra, tra una sera trascorsa a suonare la chitarra in spiaggia e un’altra passata a spulciare fra i registri comunali e universitari alla ricerca di #1096, ci si immerge all’interno del mondo poco dorato di ragazzi dilaniati dal voler sapere «chi è» quell’uomo e la paura di scoprirlo. Perché, magari, «l’ha fatto solo per soldi e perché gli piace il sesso», oppure perché, una volta conosciuto, quell’uomo potrà andare a incrinare l’equilibrio faticosamente raggiunto in famiglie dove padri sterili si sentono in colpa per non essere «abbastanza uomini» e madri inquiete vivono ancora nel sospetto «di aver tradito i propri mariti». Perché si capisce, no? Che il donatore rimanga anonimo è meglio per tutti: per lui e per le coppie. Che rimanga un arcano, un numero segreto, evita complicazioni affettive e legali. Il problema è che “questo meglio” non è “il meglio” per i figli. I quali cercano con quelle quattro cifre un legame perché «incontrarlo, forse, darebbe pace a tutte quelle domande che nemmeno io sono in grado di pensare». Così, man mano che si avvicinano a lui, scoprono che «ha il mio naso, le mie labbra carnose, ama la matematica e gli scacchi come me». Sono le domande che bollono nel sangue e che nessuna crioconservazione potrà mai raggelare.
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